Gli elementi costituitivi della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione

Il tema della responsabilità civile della P.A. si declina, nella sentenza in esame reda dal G.A. di Napoli, nel senso che la qualificazione del danno da illecito provvedimentale deve essere sussunta nello schema della responsabilità extra contrattuale di cui all’art. 2043 c.c..
Ne deriva, in via di immediata consequenzialità che, per accedere alla tutela risarcitoria, è indispensabile, per quanto non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica.
La lesione, inoltre, deve incidere sul bene della vita finale, che funge da substrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali.
Non solo. L’azione risarcitoria proposta innanzi al Giudice Amministrativo non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, proprio del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell’onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c..
Vuol dirsi, cioè, che sul ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per danni derivanti dall’illegittimo, od omesso, svolgimento dell’attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall’art. 2043 c. c, donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili:
a) il fatto illecito;
b) l’evento dannoso ingiusto ed il danno conseguente;
c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito;
d) la colpa dell’apparato amministrativo.
Quanto al nesso di causalità si specifica in sentenza che la struttura dell’illecito si compone dei seguenti elementi: 1) la condotta (ossia il fatto), che può essere attiva oppure omissiva; 2) l’evento, ossia il danno ingiusto diretta conseguenza della condotta; 3) il nesso di causalità tra i due tra fatto ed evento; 4) l’elemento soggettivo (dolo e colpa); 5) le conseguenze dannose che debbono essere risarcite dal danneggiante e il nesso di causalità tra fatto illecito e danni risarcibili.
Il giudizio di causalità si palesa, quindi, due volte:
– la prima volta, nel rapporto tra fatto ed evento di danno (danno-evento);
– la seconda, tra il fatto unitariamente considerato e il danno-conseguenza.
Si rende necessario, pertanto, distinguere la causalità di fatto (in base alla quale si pone la relazione tra condotta commissiva ed omissiva e danno-evento), regolata dalle leggi scientifiche e la causalità giuridica (in base alla quale si pone la relazione tra il fatto complessivamente e unitariamente considerato e le conseguenze dannose risarcibili), regolata, invece, esclusivamente dal diritto.
La disciplina civilistica del fatto illecito non regola la causalità materiale, i cui dettami devono ricavarsi sistematicamente dagli artt. 40 e 41 c.p., secondo la ricostruzione datane dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a partire dalla nota sentenza del 10 luglio 2002 n.30328 (cd. sentenza Franzese): un fatto può considerarsi causativo di un evento se di esso è condizione necessaria, con l’esclusione, quindi, di concause che da sole siano state sufficienti a produrre il danno.
L’applicazione di tali principi generali è temperata dalla c.d. regolarità causale (o causalità adeguata), secondo cui, all’interno delle serie causali così determinate, si deve dare rilievo solo a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiono del tutto inverosimili. L’indicatore a disposizione dell’interprete, in ambito civilistico, per affermare o meno l’esistenza del nesso è dato dal criterio del “più probabile che non”, a differenza che nel diritto penale laddove vige la regola dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”(art. 533, c.p.p.).
Ciò si spiega con la differenza ontologica tra i due giudizi: nel giudizio penale tutto ruota attorno alla figura del reo e la pena consiste nella limitazione della sua libertà; nel giudizio civile l’obiettivo è il ristoro integrale del danneggiato e la sanzione ha carattere economico.
Infine, si osserva ancora nella sentenza in esame, la causalità di tipo giuridico, che lega il fatto illecito alle conseguenze risarcibili, è disciplinata dagli artt. 1223 e ss. c.c., alla cui stregua il risarcimento deve ricomprendere le perdite che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
Tale disciplina consente al giudice l’individuazione delle singole conseguenze dannose con la precipua funzione di delimitare i confini della già accertata (attraverso la causalità materiale) responsabilità risarcitoria. In sostanza, il giudice è chiamato a valutare l’esistenza di conseguenze risarcibili e, eventualmente, a stabilire a quanto ammontano.

Riferimenti:

Tar Campania, Napoli, sez. I, 25/09/2017, n. 4483

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