Il Consiglio di Stato, in sentenza, ha modo di precisare che la pesca costituisce attività estranea a quelle «dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine», previste ex art. 2135, comma 2, c.c..
La pesca consiste infatti nell’estrazione della risorsa ittica dal suo ambiente naturale, mediante la sua «cattura» e «raccolta», come si ricava dalla definizione dell’imprenditore ittico contenuta nell’art. 2, comma 1, D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 226 (Orientamento e modernizzazione del settore della pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), come modificato dall’art. 6 D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38).