Incidente stradale causato da un cane randagio: chi ne risponde e paga i danni?

Secondo il Tribunale civile di Brindisi (30 marzo 2018, n. 443) non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni richiesta da un cittadino, che, guidando la propria automobile, a causa di un cane randagio che aveva attraversato la strada, aveva perso il controllo del veicolo, che era andato fuori dalla carreggiata.

 Il fatto

In un Comune il Sig. X stava guidando la propria automobile quando, per l’improvviso attraversamento della strada da parte di un cane randagio, perdeva in controllo del veicolo, che finiva fuori strada e nell’urto subiva dei danni. Il Sig. X ha chiesto il risarcimento dei danni al Comune, ed in primo grado il Giudice ha accolto la richiesta, condannando il Comune al pagamento di euro 2.027,28. Il Comune ha allora proposto appello al Tribunale di Brindisi ed anche l’Asl è intervenuta nel giudizio, chiedendo che fosse dichiarata la responsabilità soltanto del Comune, e non dell’Asl. Il Tribunale – sulla base di diverse considerazioni relative al “randagismo” del cane – ha respinto sia l’appello del Comune, sia l’appello incidentale dell’Asl.

La sentenza

I Giudici del Tribunale hanno così motivato la decisione:

1) Non vi è alcuna prova che il cane – che aveva provocato l’incidente – fosse un cane randagio;

2) Nessuno dei testimoni di questo incidente aveva fornito elementi descrittivi di prova dai quali si poteva derivare che si trattava di un cane randagio;

3) Non vi è stata prova che il Comune avesse avuto notizia della presenza nel territorio del cane in questione, e non vi è stata alcuna prova della circostanza che il Comune aveva l’onere di attivarsi per recuperare questo cane.

4) La responsabilità per danni causati dagli animali randagi è disciplinata dalle regole generali della responsabilità extracontrattuale o aquiliana di cui all’articolo 2043, e non dell’articolo 2052 del Codice civile. Era quindi necessario fornire, da parte del danneggiato, la prova di una condotta “colposa”, cioè di una condotta caratterizzata da inavvertenza, distrazione, superficialità da parte del Comune od eventualmente dell’Asl.

 

Valutazione della sentenza

La sentenza ha respinto gli appelli ed ha negato il risarcimento, perché non è stata fornita alcuna prova che si trattava realmente di un cane randagio, definito – secondo l’articolo 1, comma 5, della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (Strasburgo 13 novembre 1987) -“(…) quell’animale da compagnia senza alloggio domestico, o che si trova all’esterno dei limiti dell’alloggio domestico del suo proprietario o custode e che non è sotto il controllo o la diretta sorveglianza di alcun proprietario o custode”.

Il punto rilevante della sentenza è il richiamo ad un’ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. III civile 31 luglio 2017, n. 18922) che ha affermato che “la responsabilità per danni causati dagli animali randagi è disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043, e non dalle regole di cui all’articolo 2052 del Codice civile”. Questi articoli stabiliscono, rispettivamente:

Art. 2043 “Qualunque fatto, doloso o colposo cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Art. 2052 “Il proprietario di un animale o di chi se ne serve per il tempo in cui l’ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Non è quindi possibile – ha stabilito la Cassazione – riconoscere questa responsabilità soltanto sulla base dell’individuazione dell’ente (cioè, nel caso di specie, Comune ed Asl) al quale le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del randagismo, e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, ma è necessaria “la puntuale (…) prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato”. Richiamando questi princìpi stabiliti dalla Cassazione, il Tribunale di Brindisi ha deciso di respingere gli appelli, ed ha esattamente sostenuto, come ulteriore esempio indicativo, che “non vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo che faceva parte della competenza dell’ente, che non si era adeguatamente attivato”.

La sentenza – che non sarà stata accolta favorevolmente dal Sig. X – è corretta, perché ha argomentato sulla mancata prova che l’incidente era stato realmente causato da un cane randagio. Tale prova era necessaria per giudicare sulla responsabilità di questo incidente, come è pure necessaria in tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale disciplinate dall’articolo 2043 del Codice civile.

Prof. Vittorio Italia

 

Riferimenti:

Tribunale civile di Brindisi, 30 marzo 2018, n. 443

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