Si sofferma in sentenza il Consiglio di Stato sulla Legge 1 giugno 1939 n. 1089 – le cui disposizioni corrispondono oggi al D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) – che disciplina il procedimento amministrativo per dichiarare d’interesse culturale i beni specificamente indicati, i poteri di vigilanza e controllo del Ministero competente, le modalità di protezione diretta dei beni stessi.
L’insegnamento della giurisprudenza è nel senso che, ai fini della tutela vincolistica archeologica, l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può esser dimostrata anche per presunzione, essendo a tal scopo non rilevante ex se che i materiali da tutelare siano stati già portati alla luce o siano ancora interrati.
A tal fine, invero, è sufficiente che il complesso delle aree archeologiche risulti adeguatamente definito e che la misura adottata col vincolo appaia adeguata alla finalità di pubblico interesse cui esso è preordinato.
Inoltre, si ritiene esser misura proporzionata e congruente con i predetti scopi l’apposizione del vincolo archeologico, quale misura di tutela complessiva di un’area abitata nell’antichità, anche se non cinta da mura, giacché le esigenze di salvaguardia concernono non solo i reperti in sé e solo se addossati gli uni agli altri, ma tutta la complessiva superficie destinata in illo tempore all’insediamento umano.
Di seguito alcuni passaggi fondamentali della giurisprudenza del Consiglio di Stato:
– «l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato» (Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 805);
– «l’amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata» (Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2005, n. 5069);
– «quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l’autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell’antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano» (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 522).
– «è legittima la sottoposizione a vincolo archeologico di un’intera zona, considerata come parco o complesso archeologico, anche se i reperti riportati alla luce siano stati rinvenuti soltanto in alcuni terreni vincolati, purché – … – dalla motivazione del provvedimento di vincolo e dall’attività istruttoria svolta emergano le specifiche ragioni che giustificano una valutazione unitaria della zona di pregio archeologico e sia indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali della zona vincolata>> (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6152).
Riferimenti: