Osserva in sentenza il Consiglio di Stato come l’emissione dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 84, comma 4, D.Lgs. n. 159 del 2011 (Codice antimafia), rientri tra le cause di esclusione dalla gara e comporti ineluttabilmente l’impossibilità di stipulare i contratti con la pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006 in quanto, secondo la previsione dell’art. 116, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 159 del 2011, i richiami alle disposizioni della L. n. 1423 del 1956 e alla L. n. 575 del 1965 si devono intendere riferiti al D.Lgs. n. 159 del 2011 e, in particolare, agli artt. 67 e 84 del Codice antimafia, che contemplano le due misure di prevenzione amministrative della comunicazione antimafia e dell’informazione antimafia, entrambe ad effetto interdittivo.
Il principio di tassatività delle cause di esclusione, conseguentemente, non è in alcun modo violato, perché è evidente che l’impossibilità di contrarre con la Pubblica Amministrazione, prevista dall’art. 38 D.Lgs. n. 163 del 2006, comporta, e anzi impone in modo vincolante (salve talune ipotesi eccezionali previste dal Codice antimafia), l’immediata revoca dell’aggiudicazione e/o l’immediato recesso dal contratto, senza che la Pubblica Amministrazione destinataria della documentazione antimafia – comunicazione o informazione che sia – abbia alcun margine di discrezionale apprezzamento in ordine alla incapacità di contrarre che ha colpito l’impresa a cagione della sua permeabilità mafiosa.
Si consideri che la CGUE con la sentenza da essa pronunciata nel procedimento C-721/2015 ha affermato che <<le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un offerente sia escluso automaticamente da una procedura di gara relativa a un appalto pubblico per non aver depositato, unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di legalità, … finalizzato a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici>>, ricordando che aveva <<già dichiarato che va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico>> e rilevando che <<il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati>>.
Riferimenti:
D.Lgs. 06/09/2011 n. 159