La sentenza resa dal T.r.g.a. Bolzano affronta il tema del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche. Tale riparto, si precisa, deve essere attuato sulla base del c.d. petitum sostanziale, ossia della natura della situazione giuridica dedotta in giudizio, conosciuta dal giudice alla luce dei fatti affermati e del rapporto di cui essi costituiscono espressione.
Nel tempo la giurisprudenza, più volte intervenuta sul tema, ha precisato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla P.A. è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (Cass. civ., sez. un., 7 gennaio 2013, n. 150).
Quando la controversia attenga alla fase di erogazione, o di ripetizione, del contributo pubblico sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione, o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione ed all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (Cass. civ., sez. un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776).
Al contrario, si configura una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. civ., sez. un., ord. 24 gennaio 2013, n. 1710).
La Corte regolatrice, di recente, è ritornata sul tema ribandendo tale indirizzo e chiarendo che anche nella fase c.d. esecutiva del rapporto di concessione del contributo sono predicabili situazioni di interesse e non di diritto: ciò si verifica nei casi di “regressione” della posizione giuridica del soggetto privato, allorché la mancata erogazione (o il ritiro/revoca di essa) consegua all’esercizio di poteri di carattere autoritativo, espressione di autotutela della pubblica amministrazione, sia per vizi di legittimità, sia per contrasto, originario o sopravvenuto, con l’interesse pubblico.
In tali casi, ripropositivi di un aspetto di ponderazione degli interessi pubblici sottesi, la cognizione della controversia azionata dal privato trova sede naturale nella giurisdizione amministrativa.
Spetta, per contro, al giudice ordinario la potestà di conoscere le controversie instaurate per conseguire le provvidenze negate o per contrastare l’amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, agli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo (Cass. civ., sez. un., ord., 18 settembre 2017, n. 21549).
Infine, quanto alla giurisprudenza amministrativa, ha osservato il Consiglio di Stato: “la controversia appartiene al giudice ordinario quando attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un asserito inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, non rilevando che gli atti siano formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione atteso che in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; appartiene, invece, al giudice amministrativo la controversia che riguardi una fase precedente al provvedimento attributivo del beneficio o quello adottato successivamente alla erogazione del beneficio per vizi che attengono al momento genetico, per la presenza di vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario” (Consiglio di Stato, sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4931).
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