Le questioni giuridiche, inerenti alle procedure ad evidenza pubblica, trattate nella decisone in esame dall’adito Consiglio di Stato si possono così sintetizzare: 1) se l’art. 31, comma 8, D.L. n. 69/2013, conv. in L. 98/2013, e l’art.7 D.M. 24 ottobre 2007, recanti previsioni inerenti al cosiddetto invito alla regolarizzazione, trovino applicazione anche nel caso in cui il DURC sia richiesto dalla stazione appaltante; 2) se il controllo d’ufficio e storico della regolarità contributiva da parte dell’amministrazione, senza possibilità di regolarizzazione in corso di gara, contrasti con la ratio ed il tenore dell’art. 45 della Direttiva 2004/18.
Con riferimento alla prima questione si richiama l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (sentenza n. 5/2016) secondo cui ai fini della partecipazione alle gare di appalto, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, D.L. n. 69/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 98/2013, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, e restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva.
Quanto all’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, D,M. 24 ottobre 2007 e recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, cit., esso può operare solo nei rapporti tra impresa ed ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i), del Codice dei contratti, ai fini della partecipazione alla gara d’appalto.
In termini più complessi si pone la secondo questione rispetto alla quale, con ordinanza 11 marzo 2015, n. 1236, la IV sezione del Consiglio di Stato aveva rimesso alla Corte di Giustizia la seguente questione interpretativa: <<Se l’articolo 45 della direttiva 2004/18, letto anche alla luce del principio di ragionevolezza, nonché gli articoli 49, 56 del TFUE, ostino ad una normativa nazionale che, nell’ambito di una procedura d’appalto sopra soglia, consenta la richiesta d’ufficio della certificazione formata dagli istituti previdenziali (DURC) ed obblighi la stazione appaltante a considerare ostativa una certificazione dalla quale si evince una violazione contributiva pregressa ed in particolare sussistente al momento della partecipazione, tuttavia non conosciuta dall’operatore economico – il quale ha partecipato in forza di un DURC positivo in corso di validità – e comunque non più sussistente al momento dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio>>.
La sezione remittente aveva evidenziato un paradosso presente nella normativa italiana, ratione temporis applicabile, laddove da un lato impone all’amministrazione di rinunciare alla migliore offerta, e correlativamente, in un’ottica concorrenziale, impedisce al migliore offerente di accedere all’aggiudicazione, anche ove oggettivamente non possa mettersi in dubbio, avuto riguardo alla storia dell’imprenditore ed ai suoi comportamenti passati, nonché alla peculiarità ed incolpevolezza della temporanea irregolarità rilevata, che egli sia un imprenditore corretto ed affidabile.
Dall’altro lato, la disciplina nazionale consente l’aggiudicazione ad un imprenditore che ha sempre manifestato irregolarità ed inadempienze, purché egli, al momento dell’offerta, si sia “messo in regola” con i requisiti previsti dal d.m. 24 ottobre 2007.
Tale quadro normativo inibirebbe altresì alle stazioni appaltanti l’autonoma ponderazione del caso concreto, sul presupposto che la descritta valutazione legale di “irregolarità” operante nell’ambito e per tutta la procedura di evidenza pubblica, sia garanzia di parità di trattamento tra i diversi operatori economici partecipanti alla gara.
Intervenuta sul tema la Corte di Giustizia (sentenza 10 novembre 2016, causa C -199/15), ha sgombrato il campo dai dubbi sollevati dalla Sezione remittente.
Quanto alla compatibilità del diritto nazionale con l’art. 45 direttiva 2004/18/CE – nella parte in cui prevede l’esclusione dalla gara in caso di DURC irregolare alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, anche qualora l’importo dei contributi sia poi stato regolarizzato prima dell’aggiudicazione o prima della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice – la Corte ha fondato la propria risposta affermativa sui seguenti argomenti:
- a) l’art. 45, paragrafo 2, Dir. 2004/18 lascia agli Stati membri il compito di determinare entro quale termine gli interessati devono mettersi in regola con i propri obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e possono procedere a eventuali regolarizzazioni a posteriori, purché tale termine rispetti i principi di trasparenza e di parità di trattamento;
- b) il potere di richiedere integrazioni documentali previsto dall’art. 51 Dir. 2004/18 non può essere interpretato nel senso di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di ammettere qualsiasi rettifica a omissioni che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell’appalto, debbono portare all’esclusione dell’offerente e comunque deve riferirsi a dati la cui anteriorità rispetto alla scadenza del termine fissato per presentare candidatura sia oggettivamente verificabile;
- c) tali conclusioni valgono anche qualora la normativa nazionale, come quella italiana, preveda che la questione se un operatore economico sia in regola con i propri obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, risulti determinata da un certificato rilasciato dagli istituti previdenziali e richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice, atteso che una tale modalità di accertamento è espressamente contemplata dall’art. 45, paragrafo 3, Dir. 2004/18 in forza del quale le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente che attesta che l’operatore economico non si trova nella situazione di irregolarità rispetto agli obblighi previdenziali, un certificato rilasciato dall’autorità competente dello Stato membro in questione e da cui risulti che tali requisiti sono soddisfatti;
- d) è irrilevante l’omesso preventivo avvio del procedimento di regolarizzazione previsto dall’art. 7, comma 3, d.m. 24 ottobre 2007, e ora – come anticipato – recepito a livello legislativo, a condizione che l’operatore economico abbia la possibilità di verificare in ogni momento la regolarità della sua situazione rispetto agli obblighi contributivi presso l’istituto competente; in tali casi egli non può opporre la dichiarazione, in buona fede, di una condizione di regolarità contributiva, certificata dall’ente e riferita ad un periodo anteriore alla presentazione dell’offerta, se, acquisendo le necessarie informazioni presso l’istituto competente, poteva verificare di non essere più in regola, per fatti sopravvenuti, con siffatti obblighi alla data della presentazione della sua offerta.
Infine, la medesima Corte di Giustizia ha osservato che l’art. 45, paragrafo 2, Dir. 2004/18 non prevede un’uniformità di applicazione a livello dell’Unione delle cause di esclusione ivi indicate, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto queste cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. Ha concluso, pertanto, che tale disposizione non obbliga gli Stati membri a lasciare un margine di discrezionalità alle amministrazioni aggiudicatrici a tale riguardo.
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