Oggetto della decisione in esame, resa dal Consiglio di Stato, è la corretta perimetrazione del concetto di pertinenza urbanistica che, come insegna un granitico orientamento pretorio, non è riconducibile nell’alveo dell’art. 817 c.c. disposizione che, come noto, definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa.
La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza amministrativa è meno ampia di quella civilistica: gli elementi che caratterizzano le pertinenze in senso urbanistico sono, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto (nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio) e, dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente.
Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme.
Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe.
Si vedano in tale senso:
– Consiglio di Stato, sez. IV, n. 12 maggio 2009, n. 5509 secondo cui <<la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico>>;
– T.a.r. Lazio, Latina, sez. I, 17 febbraio 2015, n. 174 secondo cui <<la pertinenza urbanistica ha caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, in quanto si sostanzia nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione in senso assoluto ed in relazione all’immobile al cui servizio è complementare, dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dal fatto che non vi sia il cd. carico urbanistico. È, dunque, escluso che si possano reputare pertinenze opere di consistenti dimensioni, idonee ad incidere sul preesistente assetto edilizio (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 12 dicembre 2014, n. 1061; id., 22 settembre 2014, n. 727; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 6 novembre 2008, n. 19292)>>.
Riferimenti: