LA TUTELA DELLA VITTIMA DI REATO NEL SISTEMA PENALE: UN MUNUS PUBLICUM

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Pasquale avv. Lattari Mediatore esperto e formatore in giustizia riparativa iscritto elenco mediatori esperti in Giustizia riparativa Ministero Giustizia. Curatore collana “Percorsi di giustizia riparativa” della Key Editore ed autore di monografie Key in materia. Responsabile delle attività di giustizia riparativa del Consultorio Familiare della Diocesi di Latina – sede sin dal 2006 dell’ufficio di mediazione penale in ambito minorile e dal 2017 della mediazione adulti ex lege 67 del 2014 – e responsabile Centro di Giustizia riparativa e mediazione penale minorile della Regione Lazio; corresponsabile del Centro Antiviolenza per minori ed adolescenti della Regione Lazio con sede a Latina a seguito protocollo con Garante Infanzia ed adolescenza della Regione Lazio.

Il ruolo della vittima di reato nel sistema penale è sempre stato secondario, nel processo penale poi è ancor più ristretto alla mera costituzione di parte civile per le azioni risarcitorie nel processo penale.

Di recente la normativa internazionale – Direttiva UE 29/2012 – ha riconosciuto precipui diritti alle vittime inducendo gli stati nazionali a normarli.

Da sempre lo Stato reagisce al reato per accertare i fatti, per individuare il colpevole, per determinare irrogare ed eseguire la pena prevista dalla norma penale che tutela beni ed interessi dell’intera collettività. La vittima è secondaria non solo nel processo ma a partire dal diritto penale. Si osserva.

nel processo penale il giudice decide a seguito della formazione della prova derivante dalla dialettica processuale tra pubblica accusa – il pubblico ministero è ufficio pubblico che rappresenta l’intera collettività lesa dal reato esercitando tutti i poteri conferiti anche alla polizia giudiziaria – e l’imputato difeso dal suo avvocato. La parte offesa – nel gergo processuale – è spesso testimone nel processo e se intende perseguire civilmente il reo può farlo costituendosi parte civile. In tutto il proc.to penale – indagini preliminari e dibattimento – subisce spesso la cd vittimizzazione secondaria…traumi e pregiudizi derivanti dal contatto con il processo e con i suoi operatori. La persona vittima quale testimone è esaminata – non ascoltata!! – per ciò che ha subito; e le restanti parti processuali non certo gli riservano un trattamento di riguardo… (ad iniziare dall’intimazione a compartire come testimone a pena di sanzioni!!). Il processo risulta quindi un “ambiente” ostile per la vittima, non consono ad accoglierne i traumi patiti dal reato.

– nel diritto penale:  

nella teoria generale del reato il fatto antigiuridico e il principio di offensività si fondano sull’offesa ad un bene giuridico (reati contro la personalità dello stato, contro l’ordine pubblico, contro la famiglia, contro la persona, contro il patrimonio sono titolati dal codice penale) ossia ad interessi generali che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela con la fattispecie penale fondata appunto sull’interesse collettivo e non certo sulla vittima e sulla sua persona. Anche il principio di colpevolezza riguarda la persona del reo e non della vittima.

nella teoria della pena la minaccia dell’irrogazione e poi l’inflizione – finalizzate alla cd prevenzione generale (intimidazione di tutti i cittadini a non delinquere per rafforzare i precetti penali presidi dei valori tutelati) ed alla cd prevenzione speciale (neutralizzazione del reo e sua rieducazione) –l’esecuzione della pena prevista dalla norma come castigo (cd teoria retributiva) sono nella logica del “male” alla collettività intera. La persona/vittima non è contemplata in alcuna maniera.

nella criminologia – nata nel XVIII sec. – tutto si incentra attorno alla figura del criminale in quanto persona e della criminalità come fenomeno sociale e collettivo nutrendosi delle scienze giuridiche che si occupano del reo e del reato appunto il diritto penale, penitenziario, processuale penale.

Il sistema penale e processuale è quindi reocentrico.

L’attenzione alla vittima [1] è relativamente recente sia da parte della normativa che degli operatori del diritto.

Da ultimo con il d.lgs. del 15 dicembre 2015, n. 212 “Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI” il legislatore italiano ha recepito la Direttiva 29/2012 introducendo numerose norme nel codice di rito – in particolare artt. 90 bis, 90 ter 90 quater cpp – circa diritti in capo alla vittima ad avere ascolto, garanzie e tutela (vd art. 8 e 9 direttiva 29).

E tuttavia c’è il rischio che tali norme processuali si riducano a mere formalità se non vi è cultura e strutture idonee – i Centri per le vittime – a trattare, recepire ed accogliere le istanze delle vittime.

Tuttavia in tale sistema di sostanziale “marginalità” della vittima l’affermazione che Un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime.”[2] può apparire un fulmine a ciel sereno.

E tuttavia con onestà intellettuale non si può non riconoscere l’evidenza che il reato è sì violazione della relazionalità e convivenza sociale ma anche – in particolare nei reati che hanno come vittima la persona – turbamento dei diritti delle persone vittime.

É quindi coessenziale che lo Stato nella risposta al reato si faccia carico non solo di processare il reo ma anche di “rendere giustizia” alle vittime facendosi carico dello status complesso di dolore, traumi, rabbia, paura vergogna etc.. (cd vittimizzazione primaria) della persona delle vittime.

E la riprova che le vittime vogliono partecipare al processo non solo per il risarcimento e per le indennità materiali ma perché si aspettano che lo Stato con il processo accerti, individui i responsabili irroghi le pene previste – in sostanza che la verità sia accertata – e che affermi l’ingiustizia patita dalle vittime ed operi il riconoscimento della vittima e del suo status.

Ed affinché ciò che è stato non abbia a ripetersi… …Che corrisponde spesso al fine primario che spinge le vittime a denunciare e vincere la vergogna.

Dalla prospettiva delle vittime “lo ius puniendi (che comprende l’intero arco dei poteri statali che vanno dalle indagini della polizia giudiziaria sino all’esecuzione della pena, passando per il processo) cessa così di costituire mero ius, e diviene munus, servizio: in adempimento, al tempo stesso, di un preciso obbligo di cui lo Stato è debitore nei confronti dei propri consociati…. …la sentenza n. 192 del 2023 sul caso Regeni. La Corte afferma qui che dall’adesione dell’Italia alla Convenzione ONU sulla tortura e dall’art. 3 CEDU sorge non solo il divieto di infliggere materialmente sevizie e crudeltà, ma anche il dovere di svolgere indagini penali effettive e complete sulle denunce di tortura; e invoca per la prima volta (citando la giurisprudenza della Corte EDU in materia di extraordinary renditions) un “diritto alla verità” di cui sono titolari le vittime di tortura e, in definitiva, tutti i membri della comunità, i quali hanno un preciso diritto a che sia fatta luce sulle circostanze che hanno condotto alla commissione del reato”.. Di qui la conclusione: in conformità agli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano, il processo penale deve svolgersi, in nome (anche) della tutela delle vittime del reato.”[3]

Una visibile conseguenza delle previsioni della direttiva UE 29 circa i diritti delle vittime (art. 8 e 9) è il diffondersi dei servizi di assistenza alle vittime (art. 8) che attuano in concreto il riconoscimento della tutela e diritti previsti dalla Direttiva. [4]

Anche la giustizia riparativa è una forma di tutela e valorizzazione nell’ambito del sistema giustizia dei diritti delle vittime.

Proprio la direttiva 29 del 2012 ne delinea le caratteristiche e le definizioni recepite dalla riforma Cartabia (art.42 e seg.ti)

“Il ricorso alla giustizia riparativa nell’ambito dei sistemi penali – nato da esperienze spontanee in molti paesi del mondo – è oggi incoraggiato da varie fonti sovranazionali, tra cui spiccano la direttiva 2012/29/UE sui diritti, l’assistenza e la protezione della vittima dei reati, nonché la Raccomandazione Rec (2018)8 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Quest’ultima, riconoscendo i «potenziali benefici del ricorso alla giustizia riparativa» a complemento dei processi penali tradizionali, o in taluni casi (reati a minore contenuto offensivo) in alternativa ad essi, riconosce nel proprio preambolo la giustizia riparativa quale «metodo attraverso il quale i bisogni e gli interessi» di tutti gli stakeholders, inclusi la vittima e l’autore, «possono essere identificati e soddisfatti in maniera equilibrata, equa e concertata». Una simile tecnica, prosegue il preambolo, muove dal riconoscimento del «legittimo interesse delle vittime ad avere più voce in merito alle misure opportune da adottare in risposta alla loro vittimizzazione, a comunicare con l’autore dell’illecito e a ottenere riparazione e soddisfazione»; e risulta in definitiva funzionale a produrre un «senso di responsabilità degli autori dell’illecito e a offrire loro l’opportunità di riconoscere i propri torti», ciò che «potrebbe favorire il loro reinserimento, consentire la riparazione e la comprensione reciproca e incoraggiare la rinuncia a delinquere».”[5]

La GR intende rispondere al reato con modalità diverse e complementari rispetto alla reocentricità del processo penale restituendo spazio, respiro ed attività alla vittima ed al suo status di vittimizzazione primaria cercando di evitare la cd vittimizzazione secondaria solitamente derivante dalle strutture procedimentali e processual-penali.

[1] anche la vittimologia nasce come disciplina autonoma in tempi recenti – attorno al 1940 – ad opera dei primi studiosi Wetham e Menbdelsohn che ne operarono definizione.

[2] DIRETTIVA 2012/29/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2012 “considerando n.9”

[3] F. Viganò Verità e Giustizia in sistema penale pg 5-6

[4] Articolo 8 Diritto di accesso ai servizi di assistenza alle vittime 1. Gli Stati membri provvedono a che la vittima, in funzione delle sue esigenze, abbia accesso a specifici servizi di assistenza riservati, gratuiti e operanti nell’interesse della vittima, prima, durante e per un congruo periodo di tempo dopo il procedimento penale. I familiari hanno accesso ai servizi di assistenza alle vittime in conformità delle loro esigenze e dell’entità del danno subito a seguito del reato commesso nei confronti della vittima.

  1. Gli Stati membri agevolano l’indirizzamento delle vittime da parte dell’autorità competente che ha ricevuto la denuncia e delle altre entità pertinenti verso gli specifici servizi di assistenza.
  2. Gli Stati membri adottano misure per istituire servizi di assistenza specialistica gratuiti e riservati in aggiunta a, o come parte integrante di, servizi generali di assistenza alle vittime, o per consentire alle organizzazioni di assistenza alle vittime di avvalersi di entità specializzate già in attività che forniscono siffatta assistenza specialistica. In funzione delle sue esigenze specifiche, la vittima ha accesso a siffatti servizi e i familiari vi hanno accesso in funzione delle loro esigenze specifiche e dell’entità del danno subito a seguito del reato commesso nei confronti della vittima.
  3. I servizi di assistenza alle vittime e gli eventuali servizi di assistenza specialistica possono essere istituiti come organizzazioni pubbliche o non governative e possono essere organizzati su base professionale o volontaria.
  4. Gli Stati membri assicurano che l’accesso a qualsiasi servizio di assistenza alle vittime non sia subordinato alla presentazione da parte della vittima di formale denuncia relativa a un reato all’autorità competente.

[5] F Viganò.op cit pg. 8

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