I messaggi WhatsApp sono prova documentale ai sensi dell’art.234 c.p.c.
In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.39529/2022, riprendendo quanto già più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.
La vicenda processuale che ha dato luogo alla pronuncia riguarda un imputato condannato in primo e in secondo grado per il reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti ex art. 493ter c.p.
Nell’impugnare la sentenza, il condannato solleva quattro motivi.
Quello che interessa in questa sede è relativo all’inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp prodotti in giudizio, stante l’assenza dell’apparecchio e l’estrazione irrituale degli stessi.
La Corte ha stabilito l’infondatezza della questione sollevata sulla base di quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che: “in tema di mezzi di prova, i messaggi “whatsApp” e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.c., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.c. (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019)”.
Qualora non sia in corso un’attività di captazione delle comunicazioni “il testo di un messaggio sms, fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto, ha natura di documento la cui corrispondenza all’originale è asseverata dalla qualifica soggettiva dell’agente che effettua la riproduzione, ed è, pertanto, utilizzabile anche in assenza del sequestro dell’apparecchio stesso (Sez. 1, n. 21731 del 20/02/2019).”
Da ultimo, la Corte ha altresì sottolineato che nel caso in questione i messaggi sono stati scaricati dal computer della persona offesa.
Dott.ssa Lucia Massarotti