È illegittimo ricorrere alla sindrome di alienazione parentale nei procedimenti sull’affidamento dei figli

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Avv. Pasquale Lattari

La Cassazione civile sez. I – 24/03/2022, n. 9691 con ordinanza sul ricorso 21633/2021 ha definitivamente dichiarato illegittimo il ricorso alla cd. sindrome di alienazione parentale (PAS) nei procedimenti circa l’esercizio della responsabilità genitoriale.

La PAS sarebbe identificabile con la condizione psicologica del minore che rifiuta l’altro genitore (il padre nella gran parte dei casi) a causa dell’incitamento di quello presso cui è collocato (solitamente la madre). Ed i giudici quando la sindrome viene identificata dai Consulenti tecnici d’Ufficio – accertando la violazione del diritto alla bigenitorialità –  provvedono ad applicare i   provvedimenti ex art. 330 e/o 333 cc limitativi o ablativi della responsabilità del genitore collocatario – spesso con allontanamento del figlio

In un procedimento che appunto analizzava l’allontanamento – peraltro forzoso – del minore dalla madre la Cassazione ha statuito che: “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre” (Cass., 13217/21).

Occorre sul punto evidenziare che il collegio non intende, né potrebbe, sindacare valutazioni proprie della disciplina della psicologia o delle scienze mediche, ma può certo verificarne la correttezza applicativa sulla base di criteri universalmente conosciuti ed approvati.

Orbene, in questo perimetro valutativo, il concetto di abuso psicologico, di cui discorrono i c.t.u., appare indeterminato e vago, e di incerta pregnanza scientifica, insuscettibile di essere descritto secondo i parametri diagnostici della scienza medica, e di ardua definizione anche secondo le categorie della disciplina psicologica.

Non può essere sottaciuto che quest’ultima, a differenza della disciplina medica, utilizza modalità e parametri che pervengono a risultati valutativi non agevolmente suscettibili di verifiche empiriche, che siano ripetibili, falsificabili e confutabili secondo i canoni scientifici universalmente approvati, e di riscontri univoci attraverso protocolli condivisi dalla comunità scientifica.

Tale classificazione della condotta materialmente alienante che la ricorrente avrebbe esercitato sul figlio, sebbene scientificamente inconsistente, ha prodotto il risultato di correlare il supposto abuso psicologico al grave pregiudizio per il figlio, di cui all’art. 330 c.c., prospettando come conseguente – ma in realtà apodittica – la conclusione che il rifiuto del figlio d’incontrare il padre sia, quanto meno, il frutto di una condotta di mera lealtà del minore verso la madre.

In altri termini, il fatto che il minore abbia sempre convissuto con la madre non equivale apoditticamente a sostenere che la sua volontà di non incontrare il padre, o di non incontralo con le frequenze prescritte, sia ineluttabilmente coartata dalla madre, attraverso schematismi, in mancanza di riscontri verificabili su un supposto rapporto di così grave soggezione implicante la negazione di ogni autonomo processo decisionale anche istintivo di un minore ormai dodicenne.

Ciò naturalmente non incide sul pieno diritto del padre di incontrare il figlio e di sviluppare significative relazioni con lo stesso, ma sulle modalità di realizzazione di tale diritto, che il provvedimento impugnato confina nell’esecuzione coattiva del prelievo del minore dalla residenza della madre, con la recisione di ogni relazione con quest’ultima, che pure ne rappresenta la figura di riferimento nella sua vita.

Invero, non può essere sottaciuto, come evidenzia anche parte della dottrina, che ogni decisione che si ponga il problema se privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura, al prezzo di produrgli una sofferenza immediata, deve compiere un difficilissimo bilanciamento: la scelta della prospettiva futura può essere ragionevolmente privilegiata solo se è altamente probabile che dia esito positivo nel lungo periodo e al tempo stesso dalla scelta opposta deriverebbe un danno elevato; è per di più è necessario che la sofferenza nel breve periodo appaia superabile senza lasciare strascichi troppo traumatici.

Nel caso concreto, la Corte d’appello non ha effettuato una corretta ricognizione degli artt. 330 c.c. e segg., per aver del tutto omesso tale bilanciamento, obliterando dunque la concreta eventualità che l’attuazione del diritto alla bigenitorialità attraverso la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre possa tradursi, di fatto, in una immediata sofferenza per il bambino con le relative conseguenti ripercussioni sul suo futuro.”

In ragione di ciò  vi è  la necessità di accertamento da parte del giudice della veridicità dei comportamenti del minore contro il genitore non collocatario a prescindere da tale sindrome di alienazione parentale “tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16; n. 7041/13)”.

Il minore ha diritto alla bigenitorialità:  la presenza comune dei genitori nella vita del figlio al fine di garantirgli assistenza, educazione ed istruzione in un contesto di vita con salde relazioni affettive con entrambi le figure genitoriali (Cass., n. 28723/20; n. 9764/19; n. 18817/15; n. 11412/14).

Anche la giurisprudenza della CEDU in applicazione del rispetto della vita familiare (art. 8 Convenzione EDU) ha elencato diversi principi in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore ai genitori.[1]

La  Cassazione nel richiamare tali principi osserva come: “il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche e’, anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta.”

I minori – in quanto titolari di tale superiore diritto – anche se non parti formali nei procedimenti giudiziari che li riguardano “sono, tuttavia, parti sostanziali, in quanto portatori di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai loro genitori.”

Ne consegue inevitabilmente che “ la tutela del minore, in questi giudizi, si realizza mediante la previsione che deve essere ascoltato, e costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato ascolto, quando non sia sorretto da un’espressa motivazione sull’assenza di discernimento, tale da giustificarne l’omissione” (Cass., n. 16410/2020; n. 12018/19).

“Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di affidamento dei figli minori nell’ambito del procedimento di divorzio, l’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, atteso che è espressamente destinato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni. Tale adempimento non può essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse (Cass., n. 23804/21; n. 1474/21).

In tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell’ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda (Cass., n. 1474/21).” (Cassazione civile sez. I n. 9691/22)

E la Cassazione conclude che “l’ascolto del minore di quasi dodici anni d’età, ormai nella fase autoriflessiva del suo sviluppo cognitivo, era rilevante e necessaria, oltre che obbligatoria, considerata altresì la gravità del provvedimento da adottare, quale ulteriore strumento finalizzato a comprendere se le dichiarazioni del minore riflettano non tanto i suoi vissuti o le sue idee, quanto quelli di uno o di entrambi i genitori o se, invece, esprimono un’adeguata autodeterminazione.” In presenza di tali illegittimità non potevano non annullarsi i provvedimenti che avevano allontanato il minore dalla mamma.

[1] La sentenza richiama i seguenti principi:

– è necessario un rigoroso controllo sulle restrizioni al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, “onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori (Corte EDU, 4 maggio 2017, Improta c/Italia; Corte EDU, 23 marzo 2017, Endrizzi c/Italia; Corte EDU, 23 febbraio 2017, D’alconzo c/Italia; Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c/Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c/Italia; Corte EDU, 23 giugno 2016, Strumia c/Italia; Corte EDU, 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia).”

– è necessario che le autorità provvedano a rispettare  il mantenimento dei legami tra il genitore e i figli “per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare” (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, CEDU 2002) e che “le misure interne che lo impediscono costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’art. 8 della Convenzione” (K. E T. c. Finlandia, n. 25702/94, CEDU 2001).

– è necessario che i provv.ti siano rapidi: “ perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui (Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia).”

 

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