Avv. Prof. Federica Federici
La criminalità giovanile rappresenta una tra le problematiche che destano maggiore preoccupazione a livello sociale. Il tasso di criminalità giovanile in Italia è il più basso di tutti i Paesi dell’Unione Europea, (l’Inghilterra lo triplica con la percentuale del 3,3%, la Francia ne ha un numero quattro volte superiore, con il 4,3% e la Germania ben otto volte, con la percentuale dell’8,2%). Tuttavia si tratta di una vera e propria emergenza, giacché l’escalation attuale nel nostro Paese è più grave che in altri. I delinquenti italiani minorenni aumentano a dismisura; a confermarlo sono i servizi sociali che vedono crescere giorno dopo giorno il numero di ragazzi in carico. I modelli aggressivi forniti dagli adulti, ripresi continuamente da telegiornali, fiction, film e serie televisive, hanno drasticamente abbassato il livello di percezione dell’illecito nei giovani. A ciò si aggiunga la dilagante insoddisfazione della società e la banalizzazione dei disagi emotivi che rende agevole comprendere come il fenomeno si sia diffuso sia in quella parte di società più disagiata e problematica che in quella benestante.
La delinquenza minorile è un fenomeno che si sviluppa attorno al concetto di devianza, ovvero quell’insieme di comportamenti che si allontanano dalle norme sociali, e che esprimono il bisogno di trasgredire per assumere un’identità all’interno della società. Aspirazioni, frustrazioni, aspettative e ansie, irrequietezza e delusioni sono tutti stati d’animo tipici delle fasi dello sviluppo e generazionali, che accompagnano la crescita del minore, il quale – attraverso questi passaggi -assume la consapevolezza di sé e del suo ruolo nel mondo. Allo stesso tempo, per una serie di ragioni di cui diremo in seguito, questa forma naturale e fisiologica di disagio può sfociare in comportamenti antisociali, pericolosi per sé o per gli altri. Ne sono esempi gli atti di bullismo verso i coetanei, l’adozione di comportamenti a rischio (tra cui l’uso di sostanze), fino all’ingresso nel mondo della criminalità minorile (tra le più frequenti forme di quest’ultima troviamo furti, scippi, rapine, estorsioni, atti di vandalismo, violenza contro le persone, spaccio e uso di sostanze stupefacenti).
Le cause
Le cosiddette “devianze” non hanno ovviamente una sola causa. Si tratta di un fenomeno multifattoriale, che può avere molte radici. Una di queste è sicuramente un contesto di deprivazione sociale, che espone soprattutto ragazze e ragazzi che vivono in territori difficili e in famiglie segnate da forte disagio economico, ma i “giovani a rischio” sono anche i cosiddetti “ragazzi senza problemi”, adolescenti provenienti da famiglie di ceto medio e medio-alto, del tutto alieni a situazioni di disagio economico. La radice comune, come sottolineato recentemente dal Garante dell’infanzia, si ritrova spesso nella fragilità dei legami sociali e familiari. E’ la famiglia che rappresenta la principale incubatrice di futuri baby criminali; la disattenzione dei genitori, distratti da mille impegni quotidiani, un controllo asfissiante o troppo serrato, così come un permissivismo eccessivo, possono provocare reazioni violente e di ribellione, all’interno dell’ambiente domestico o all’esterno.
In questo senso, si capisce come il ruolo della comunità educante sul territorio costituisca un fattore cruciale nel contenere questi fenomeni. Fenomeni che si alimentano proprio nella carenza di senso di comunità, di rispetto verso sé stessi e gli altri, di modelli educativi, tutte discrasie che la pandemia ha accentuato e in molti casi (dis)funzionato da detonatore. Difatti l’emergenza che ha tenuto i ragazzi lontani dalla scuola e dai luoghi che per molti rappresentano l’unica alternativa alla strada o a situazioni familiari difficili. Inoltre, l’incidenza della povertà assoluta tra i minori ha superato il 13% nel 2020, cioè la quota più alta dall’inizio della serie storica, nel 2005.
Tradizionalmente sono due i filoni interpretativi della causa della criminalità minorile: l’uno, di tipo endogeno, legato all’aspetto costituzionale bio-psicologico del minore (disagio del temperamento e del carattere, disturbo psichico ecc.), l’altro esogeno, di natura sociologica (l’ambiente degradato familiare e sociale, le “cattive compagnie” ecc.).
Più recentemente sono state sviluppate come anzidetto teorie multifattoriali (che sostanzialmente mettono insieme le cause derivanti dai due filoni principali che sembrano maggiormente idonee a spiegare la criminalità minorile in generale, facendo, pertanto, riferimento sia alle singole problematiche caratteriali che ai rapporti educativi familiari, a quelli scolastici, alle relazione fra “pari’ e con la comunità di riferimento, e all’utilizzo di strumenti invasivi della personalità (droga, alcol ecc.)[1]
Alle tradizionali e numerose cause studiate in criminologia, che motivano il delitto minorile, occorre, a mio parere, aggiungerne una relativamente nuova, e cioè l’uso invasivo e trasgressivo del computer da parte degli adolescenti – che definirei “la sindrome da dark computer” – il quale, mediante la connessione dei minorenni con dei pericolosissimi siti della black list (cioè la lista nera che comprende quelli pedopornografici, i siti del traffico di droga, quelli della prostituzione, i siti delle associazioni mafiose, quelli terroristici ecc.) popola il dark web (cioè la rete oscura), suscitando nelle menti fragili, in particolare in quelle dei soggetti minorenni, un forte potere morbosamente attrattivo ed emulativo dei fenomeni devianti e criminali, costituendo, pertanto, una vera e propria sottocultura criminale minorile.[2]
DARK WEB
Che si tratti di emulazione non è certo una novità: si parte dall’intenzione di emulare i crimini commessi dagli adulti per arrivare al desiderio di andare contro le regole. Ma nel caso del Dark Web la differenza fondamentale, di natura sostanziale con quel tipo di imitazione – basata solo su una ricezione meramente passiva degli strumenti analogici precitati da parte dell’utente – è che l’emulazione digitale deviante e criminale, stante la interattività per il suo fruitore, che può liberamente chattare in maniera attiva sui social, è stimolata e rafforzata proprio da un mondo globale dagli internauti, quindi di natura sostanzialmente diversa da quella meramente passiva e “solitaria”- e quindi ben più debole – indotta dai tradizionali mass media analogici.
Lo strumento digitale non costituisce solamente un mezzo che rafforza il potere emulativo dei contenuti relativi alla criminalità dei media tradizionali, ma causa e cagiona proprio il comportamento criminale, divenendo di per sé il “chatto formatore” – cioè l’informatore-ideatore delle c.d. chat – di gravi ipotesi di reato per i minori “chatto formati” (cioè i minori che vengono informati dalle predette conversazioni a carattere criminale e quindi sono stimolati alla realizzazione concreta di reati), quali, ad esempio, le devianze, che spesso travalicano nella commissione di reati, concernenti il cyberbullismo, e quelle preparatorie dei gravissimi delitti collegati al terrorismo.
La facile disponibilità dell’uso della rete, la sua immediatezza informativa, la condivisione come termometro di consenso, unita soprattutto al presunto anonimato del suo accesso, può condurre ad attenuare sensibilmente i freni inibitori di natura psicologica che scattano al momento del contatto reale con l’altra persona: nella realtà virtuale tutto è concesso senza paura dello sguardo, della critica e della denuncia dell’interlocutore della vita reale.
Così si spiegano i fenomeni di violenza psicologica commessa dal minore – anche quello generalmente ritenuto sano, equilibrato, insospettabile – direttamente con il bullismo informatico per una sperimentazione di curiosità-morbosità che peraltro rischia di creare aggregazioni tra pari. In rete si creano quindi gruppi criminali, così come accade nella vita reale con le baby gang.
Gli adolescenti tendono infatti per propensione naturale e spontanea ad aggregarsi con coetanei accomunati da caratteristiche simili: età, scuola, attività ricreative, interessi, sport avvertendo l’esigenza di sentirsi parte di un gruppo, esigenza rafforzata dalla necessità di affermarsi ed essere accettati in un modo o nell’altro a livello sociale. Si formano le baby gang quando si è accomunati dal desiderio di essere rispettati dalla società, di trasgredire e di sentirsi invincibili. Si tratta di gruppi ben organizzati, strutturati gerarchicamente e regolamentati da precise regole di condotta, i cui componenti sono prevalentemente soggetti problematici, provenienti da contesti e situazioni sociali disagiati come benestanti, che scelgono la microcriminalità o perché desiderosi di beni e denaro o perché annoiati dal benessere e dalla vita comoda.
I giovani sono anche vittime di questi fenomeni, quasi sempre sono gli esclusi e gli emarginati, ragazze e ragazzi che vengono dalle famiglie più povere oppure da quelle meno integrate (come nel caso dei bambini con background migratorio). In questo senso, fenomeni come comportamenti violenti, bullismo, criminalità rappresentano veri e propri fattori di esclusione e di emarginazione, giacché gli atti di bullismo hanno come effetto quello di isolare chi ne è preso di mira, ridicolizzandolo ed emarginandolo, condizionandone la tenuta psicologica, la qualità della vita, la possibilità di sviluppare relazioni sociali e il percorso educativo. A causa della diffusione elevata di dispositivi elettronici e strumenti di comunicazione, il bullismo viaggia su internet e fa leva sulla maggiore possibilità di anonimato e su un senso di impunità e deresponsabilizzazione di chi partecipa, condividendo un contenuto offensivo, all’azione di cyberbullismo. Vittime sono soprattutto le ragazze.
I comportamenti a rischio si traducono spesso e volentieri nell’uso di sostanze non illegali. Tra le sostanze maggiormente utilizzate almeno una volta nella vita prevalgono cannabis, nuove sostanze psicoattive e cannabinoidi sintetici. Minori a senza dubbio preoccupanti i dati sull’uso di cocaina, stimolanti come amfetamine, ecstasy, Mdma, allucinogeni ed eroina. Diffusissimo tra i giovani il consumo di alcol fino al fenomeno del binge drinking, ovvero l’ingestione di forti quantitativi di alcol in poco tempo, fino alla totale perdita di controllo. I sinistri stradali alcol correlati sono numerosi.
[1] Osservatorio – Con i Bambini
[2] Criminalità giovanile: cause, conseguenze e prevenzione (unicusano.it)