LA COSTITUZIONE DIMENTICATA E LA SORTE DEI PARTITI POLITICI

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Articolo a cura del Prof. Mario Bassani

A rendere confuso il momento che il Paese sta attraversando concorre non tanto la violazione della Costituzione che ancora fortunatamente non si intravede quanto il non tenerne conto quasi fosse un debole criterio e non un complesso di norme che reggono la struttura dello Stato, i diritti e i doveri dei cittadini e le forme di partecipazione alla vita politica.

In che cosa consiste la politica lo dice Aristotele quando ne La Costituzione degli Ateniesi scrive che è attitudine e competenza a governare la polis, formatasi con le prime aggregazioni urbane, per il perseguimento del bene di tutti da soddisfare mediante l’individuazione di obiettivi idonei utilizzando le risorse disponibili. Questa capacità la si acquisisce attraverso una azione collettiva nella sfera politica. Così prevede l’articolo 49 della Costituzione secondo cui  “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi [insieme] liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico [libero dibattito] a determinare la politica nazionale [azione di governo].”

Nel panorama politico odierno i partiti agiscono secondo questi criteri ? La domanda che viene da porsi se si tratta di un nuovo modo di fare politica da parte di movimenti e gruppi, oltre che i social, che  ritengono lo sciogliersi da condizionamenti sia lo strumento più idoneo a guidare la Nazione. Questi movimenti sono caratterizzati da mancata celebrazione di congressi per l’elaborazione di idee e per il rinnovo degli organi direttivi, e la mancanza di tali strumenti pone dubbi su un corretto loro inserimento nelle previsioni del richiamato articolo 49 della Costituzione. Fino a qualche tempo addietro la vita dei partiti si arricchiva di convegni, seminari e corsi residenziali, per mezzo dei quali si approfondivano le tematiche sulle soluzioni necessarie per uscire da crisi ormai ricorrenti. Ma pure questi partiti , salvo quelli diretti da un capo  e dove non è dato di conoscere quali siano le modalità di sua elezione, sono indeboliti da scissioni e da frammentazione. E così i partiti stanno dimenticando le loro origini.

Nel nostro Paese i partiti sono sorti per portare al governo della Nazione masse popolari prima escluse da leggi elettorali elitarie. Dapprima l’organizzazione in partito dei movimenti operai e successivamente, con la rimozione del Non expedit, il sorgere di un partito non dei cattolici ma di impostazione liberal democratica ispirata e poi popolare, che ha posto a suo fondamento i valori della dottrina sociale della Chiesa. Quando sono mancate intese fra queste forze politiche sono state poste le basi della dittatura, mentre in tempi più vicini l’apporto di entrambe ha concorso alla ricostruzione del Paese e poi alla sconfitta il terrorismo.

La storia ci ricorda i momenti conclusivi della Repubblica di Weimar. Alla fine di luglio del 1932 il partito nazional socialista raggiunse la maggioranza relativa, ma quella necessaria per governare richiedeva un intesa fra i socialdemocratici della SDP, i cristianosociali del Centrum e la sinistra del partito comunista. L’intesa non si realizzò per la preclusione di quest’ultima a qualsiasi accordo che vedesse la partecipazione degli “odiati” socialdemocratici. Il mancato concorso ha portato al successivo 31 gennaio la nomina di Hitler a cancelliere conferitagli da dal Presidente Hindenburg, che pure era stato eletto alla carica secondo un metodo democratico. Allora, e anche da noi oggi, è venuto meno il collante dell’idem sentire de repubblica.

Ad amplificare il disinteresse  dei cittadini, ed anche suscitare sentimenti ostili e pure di dileggio nei confronti della politica, contribuisce il linguaggio comune con condiscendenza della stampa, dei dibattiti televisivi il più delle volte rissose e da quanto corre lungo i social. Giova allora farne una rassegna di raffronti con le norme della Costituzione [il numero degli articoli è riferito alla Costituzione]

Il problema dell’immigrazione: l’assunzione di posizioni rigide e indiscriminate non tiene conto di quanto si legge all’articolo 10 commi 2 e 3 secondo cui la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme dei trattati internazionali, e che deve essergli prestato soccorso e accoglienza quando sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione secondo  le condizioni stabilite dalle  leggi della Repubblica .

Ma ancor più la terminologia corrente concorre ad allontanare i cittadini dalla politica.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri viene denominato Premier, facendo ritenere che rivesta funzioni e poteri che  negli ordinamenti di derivazione anglosassone è prevista questa figura. Nel nostro l’articolo 95 gli attribuisce la posizione di primus inter pares per dirigere la politica generale del Governo di cui è responsabile. E’ inoltre deputato a mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

I presidenti di Regione vengono qualificati governatori, come se disponessero di poteri che sono previsti in altri ordinamenti, mentre sono  chiamati a svolgere funzioni di coordinamento e di indirizzo secondo l’articolo 121, c. 4. Gli accordi politici che sono alla base dell’azione di governo e che sono il collante della fiducia accordata dal Parlamento con le modalità e i criteri fissati dall’articolo 94.

I compensi dei parlamentari vengono qualificati stipendi in senso larvatamente spregiativo e con attribuzione di posizione di dipendenti licenziabili a piacimento, mentre sono definiti indennità ex articolo 69, che ha un significato suo proprio nel linguaggio giuridico.

L’attribuzione di cariche ministeriali è definita occupazione di poltrone e gli accordi sottostanti vengono classificati inciucio, mentre si tratta di assunzione di ruoli e responsabilità secondo la previsione dell’articolo 92, c. 2.

Da  ultimo, ma non ultimo , il mutamento di appartenenza di parlamentari alla formazione politica di riferimento, per unirsi ad altri necessari per la formazione di nuove e diverse maggioranze e che nella seconda metà dell’ottocento assunse il nome di trasformismo, e che ora ricevono l’epiteto di voltagabbana. Giova ricordare che  il trasformismo così venne così definito quando nel 1892 durante il governo De Pretis, De Pretis medesimo leader della Sinistra auspicò che gli esponenti più progressisti della Destra entrassero in una coalizione che desse stabilità all’azione di governo. Operazione che, riprodotta nella seconda metà del novecento, trovò la denominazione di taglio delle ali. Accadde anche nei primi anni quando vi furono parlamentari del Partito Popolare che disattesero le scelte degli elettori con motivazioni che nel contesto storico erano meritevoli di attenzione in quanto la scelta operata era stata condizionata dai momenti tumultuosi che il Paese stava vivendo. Erano deputati eletti con il Partito Popolare di Sturzo e De Gasperi che entrarono come ministri a far parte del governo di Mussolini nell’intento di ricondurlo, dall’interno, a rientrare in un contesto democratico.

Occorre innanzitutto considerare che il divieto di mandato è espressamente sancito dall’articolo 67, ove viene affermato che ogni membro del Parlamento non deve rappresentare gli interessi dei suoi elettori indotti a dettare direttive vincolanti. Divieto rafforzato dalla norma richiamata secondo cui ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione. Una volta rimossa la terminologia civilistica, non resta che cercare di individuare una corretta interpretazione. Secondo taluni, quelli che ritengono di essere liberi di mutare schieramento, invocano una facoltà assoluta appunto per quel divieto. Si può allora sostenere che la natura del mandato parlamentare consiste nell’attribuzione di funzioni il cui esercizio è svolto per il benessere della collettività e all’adottare gli strumenti legislativi più idonei al soddisfacimento di interessi generali. Questa funzione è condizionata dai soli convincimenti personali che possono essere condivisi o contrastati nel gioco democratico della formazione di maggioranze e minoranze. L’interpretazione è corretta se il mutamento di opinione è per cause sopravvenute e non a calcoli di personale convenienza.

Infine, ma non da ultimo, si assiste a fenomeni che non tengono conto alla separazione, con le rispettive funzioni, dei poteri. Parlamento con funzioni legislative come regolate dagli articoli 55 e seguenti, Governo dagli articoli 92 e seguenti, amministrazione per l’articolo 97, e funzione giurisdizionale secondo l’articolo 101.

Accade che il potere legislativo assume quello di governo e quello dell’amministrazione quando, anziché adottare norme di carattere generale e astratto secondo la concezione corrente, produce leggi-provvedimento che così sono denominate perché sono sostanzialmente regolamenti, se non addirittura provvedimenti amministrativi. Con l’effetto che la loro sindacabilità, in quanto leggi, deve essere portata alla Corte Costituzionale se il giudice remittente ritiene di devolverle, con oneri più gravosi per il cittadino.  Dal canto suo il Governo eccede nella funzione legislativa con il proliferare di decreti legge senza i requisiti presupposti per la decretazione d’urgenza e di leggi delegate che eccedono i limiti della delega come regolati dagli articoli 76 e 77.

Quanto alla funzione giurisdizionale, il Parlamento produce norme che in un supposto contributo interpretativo o per colmare asserite lacune per reati che il codice  prevede per una  fattispecie già normata e che al solo giudice spetta l’interpretazione e l’applicazione.

Qui finisce una prima analisi, ma intendiamo procedere in una successiva  anche sulla base dei contributi (di dissenso o di assenso) che saranno pervenuti dai lettori.

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