FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato con le formalità di cui all’art. 150 c.p.c., mediante pubblici proclami, […] adiva il Tribunale di Padova – sezione staccata di Este, per sentire pronunciare l’usucapione in suo favore della casa di pietra con campi coltivabili, nella quale viveva, sita all’interno di un compendio molto più ampio in comune di Galzignano. L’attrice affermava altresì di avere, da oltre cinquant’anni, dapprima insieme al marito e (dopo la morte di questo) in via esclusiva, il possesso uti domina continuo, pacifico ed ininterrotto, della sola porzione di compendio costituita dalla predetta casa di abitazione, pertinenza e circostante terreno collinare, di cui forniva i dati catastali, evidenziando altresì che le predette porzioni erano state frazionate proprio ai fini della causa di usucapione; ed esponeva che analogamente avevano provveduto a fare gli altri interessati che detenevano in via esclusiva le residue porzioni di fondo (oltre che una modesta porzione di un manufatto ad uso ricovero attrezzi) a seguito di divisioni avvenuta in tempi remoti.
L’attrice precisava, inoltre, che l’intero fondo rurale era stato acquistato nel 1947 dal dante causa del marito della medesima, il quale aveva avuto cinque figli (tra cui appunto il marito), che, eccezion fatta per quest’ultimo, avevano lasciato l’abitazione avita negli anni Sessanta. Conseguentemente, anche per effetto dei vari decessi e delle successioni occorse, l’attrice descriveva la situazione delle intestazioni formali del fondo, divise per stirpi tra gli eredi di ciascuno dei menzionati cinque fratelli.
Ribadito che le residue porzioni del fondo — già appartenute all’originario compendio immobiliare ma non oggetto del possesso della attrice — erano escluse dalla domanda di usucapione, la […] deduceva che solo in tempi recenti alcuni discendenti ed aventi causa avevano inteso rimettere in discussione le situazioni possessorie consolidate da quasi un cinquantennio; tentativo questo cui si era opposta l’attrice proprio attraverso la proposizione della domanda giudiziale, con la quale intendeva adeguare la incontestabile situazione di fatto a quella di diritto.
L’attrice, pertanto, sul presupposto dell’elevato numero dei possibili legittimati a contestare detta domanda e della impossibilità di identificarli tutti, provvedeva a citare tutti i possibili interessati a contraddire con il mezzo della notifica per pubblici proclami ex art. 150 c.p.c., a ciò autorizzata dal Presidente del Tribunale di Padova, dietro parere favorevole del P.M., il quale imponeva come onere ulteriore la pubblicazione per estratto della citazione su un quotidiano locale nelle pagine di cronaca della zona in oggetto.
Alla prima udienza di trattazione il giudice di primo grado verificava la regolarità degli adempimenti previsti per tale tipo di notificazione e dichiarava la contumacia dei convenuti tutti. Quindi, istruita la causa documentalmente e mediante l’assunzione di testimoni, con sentenza n. 30 del 2012 il Tribunale adito dichiarava l’avvenuto acquisto per usucapione de beni immobili in oggetto.
Avverso tale sentenza, […] convenivano la […] davanti alla Corte d’appello di Venezia per sentir dichiarare l’inesistenza ovvero la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (per insussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 150 c.p.c.) e, quindi, la nullità di tutti gli atti di causa e della sentenza di primo grado, con conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado, con vittoria di spese.
Con la sentenza impugnata, la adita Corte d’appello dichiarava la nullità della notificazione e rimetteva le parti davanti al primo giudice, gravando l’appellata delle spese di lite.
Per la cassazione di questa sentenza, […], in data 4 ottobre 2013, ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi. Le controparti […] hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- 1. – Preliminarmente, va accolta l’eccezione di tardività della notifica del controricorso, mossa dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c..
Ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, il controricorso deve essere notificato al ricorrente entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. Nella specie, il termine per il deposito del ricorso era scaduto il 29 ottobre 2013, per cui il termine per la notifica del controricorso scadeva il 18 novembre 2013, mentre la notifica è avvenuta il 22 – 23 novembre 2013.
In conseguenza di ciò, la parte contro la quale il ricorso è diretto, non poteva presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale. Infatti, l’inammissibilità del controricorso, perché notificato oltre il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., comporta che non può tenersi conto del controricorso medesimo, ma non incide sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione orale (Cass. n. 3325 del 2011; n. 11619 del 2010; n. 9396 del 2006; n. 11275 del 2005).
2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 342 c.p.c., con riguardo all’art. 150 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto), nonché in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), (per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione), per l’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello avversario sub profilo c.d. volitivo-obiettivo (omessa impugnazione del capo di sentenza relativo alla declaratoria di contumacia conseguente all’autorizzazione presidenziale alla notifica dei convenuti per pubblici proclami) e sub profilo c.d. censorio (per l’omessa deduzione delle asserite violazioni di legge al capo di sentenza impugnato)”.
2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 342 c.p.c., con riguardo agli artt. 139 e segg., artt. 150, 156, 157, 354 e 291 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto), nonchè in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), (per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione), per l’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello per avversario sub profilo c.d. “causale”, posto che — affermato e non contestato il rispetto delle forme tutte di cui all’art. 150 c.p.c. — la notifica si presume ed è il notificato a dover
dimostrare l’inidoneità dell’atto a raggiungere lo scopo, prova che parte appellante non aveva fornito e che il giudice di appello non aveva richiesto per pronunciare la nullità della sentenza di primo grado (incorrendo nelle denunciate violazioni di legge)”.
2.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 150 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto), nonchè in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), (per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione), poiché il Giudice di appello ha ritenuto che la conoscenza di taluni dei convenuti da parte del notificante possa escludere la ritualità della citazione a mezzo pubblici proclami, pur quando vi siano molti convenuti (anche tutti individuati e conosciuti) oppure quando i convenuti (o parte di essi) non siano facilmente identificabili o, a maggior ragione, quando i convenuti siano tanti ed alcuni di essi nemmeno chiaramente identificabili (come nel caso di specie)”.
2.4. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto), nonchè in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), (per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione), per l’omessa ovvero irrituale evocazione in giudizio mediante vocatio in ius dei litisconsorti necessari in cause inscindibili)”.
2.5. – Con il quinto motivo, la ricorrente (sul capo di sentenza relativo alle spese legali di soccombenza) deduce la “violazione dell’art. 91 c.p.c.; D.M. n. 140 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto), nonchè in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), (per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione), per avere applicato un criterio della soccombenza secondo l’esito di una fase e non in considerazione dell’esito finale della lite; per la difformità delle competenze liquidate dai parametri di liquidazione giudiziale ex D.M. n. 140 del 2012: sia con riguardo al valore della causa; sia con riguardo alle attività effettivamente calcolate ed imputabili”.
- 3. – Preliminarmente, va rilevato che i motivi di ricorso risultano tutti contestualmente formulati, tra l’altro, con riferimento (oltre che alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) anche alla violazione del successivo n. 5.
3.1. – I motivi incentrati sull’asserito difetto di motivazione della sentenza resa dalla Corte d’appello sono, in partibus quibus, inammissibili per non essere riconducibili (venendo dedotti vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio) al modello proposto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione dettata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 2 maggio 2013.
Prevede, infatti, il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Orbene è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione — oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
3.2. – Viceversa, nella specie, la ricorrente sostanzialmente deduce, in termini assolutamente generali (e generici quanto ai lamentati profili di cattiva motivazione) che il percorso logico argomentativo, seguito dalla Corte territoriale per motivare, sotto i vari profili, la decisione impugnata, sarebbe stato compromesso da svariati palesi vizi, omissioni ed incongruenze logico-giuridiche, che determinerebbero, in sintesi, l’erroneità della decisione. Alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale relativo alla più stretta latitudine della configurazione del vizio di omesso esame di un fatto storico, principale. 1 O secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, le censure mosse dalla ricorrente principale in riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, si risolvono pertanto, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica di una inammissibile (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dalla Corte d’appello (Cass. n. 1885 del 2018).
- 4. – Ciò premesso, in considerazione della loro connessione, il primo ed il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente. Entrambi non sono fondati.
4.1. – Ritiene la ricorrente che, a seguito della modifica dell’art. 342 c.p.c. operata dal D.L. n. 83 del 2012 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (vigente dal 12 settembre 2012 e applicabile ratione temporis al giudizio in appello in esame, la cui citazione è stata notificata in data 26 ottobre 2012), l’atto di appello, per superare il vaglio di ammissibilità, dovrebbe essere strutturato in quattro profili: quello “volitivo/obiettivo” indicativo delle parti della sentenza che si intendono impugnare; quello “argomentativo” indicativo delle modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto; quello “censorio” indicativo del perchè si assume esser stata violata la legge; quello “di causalità” giustificativo del rapporto causa ed effetto fra la violazione dedotta e l’esito della lite.
E, ciò premesso, la ricorrente deduce l’inammissibilità della impugnazione, giacché parte appellante, da un lato, avrebbe omesso di impugnare il decreto presidenziale che autorizzava la notifica a mezzo dei pubblici proclami e di avversare la pronuncia di primo grado che, a seguito della accertata regolarità del procedimento di notifica aveva dichiarato la contumacia degli odierni controricorrenti (con ciò violando il profilo “volitivo”); e dall’altro lato avrebbe omesso di indicare il perchè sarebbe stata violata la legge — con l’autorizzazione presidenziale, la notifica ex 150 c.p.c. e la declaratoria di contumacia — incorrendo nella inammissibilità dell’appello sotto il profilo “censorio” (primo motivo).
Inoltre, la ricorrente deduce l’inammissibilità dell’appello avversaria sub profilo c.d. “causale”, posto che — affermato e non contestato il rispetto delle forme tutte di cui all’art. 150 c.p.c. e rettamente applicando le norme in materia di nullità della notifica —la notifica si presume ed è il notificato a dover dimostrare l’inidoneità dell’atto a raggiungere lo scopo, prova che parte appellante non aveva fornito e che il giudice di appello non aveva richiesto per pronunciare la nullità della sentenza di primo grado (secondo motivo).
4.2. – Questa Corte (Cass. sez. un. n. 27199 del 2017) — in coerenza con la regola generale per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (Cass. n. 10916 del 2017); e non trascurando che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Cass. n. 10878 del 2015; sent. CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia) — ha enunciato il seguente principio di diritto:
“Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.
La ricorrente, viceversa — nel contestare l’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello avversario —, prospetta quello che, a suo giudizio, parte appellante avrebbe omesso di porre a base dell’impugnazione della sentenza di primo grado, ma nulla dice riguardo all’esatto contenuto dell’atto di appello (di cui tantomeno riporta i passaggi di interesse), con riguardo proprio alla formulazione dei motivi di appello, limitandosi a trascrivere unicamente le conclusioni dell’atto medesimo ed a riferire, in maniera altrettanto generica, della sua contestazione della “domanda di gravame” e della richiesta di integrale reiezione della medesima (ricorso, pag. 6). Inoltre, altrettanto generico — in quanto non motivato in ordine alla effettiva incidenza sull’asserito vizio di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. — appare il richiamo alla normativa codicistica in materia di notifica e di nullità della stessa.
4.3. – Ciò che, invece emerge con chiarezza dal riportato contenuto delle conclusioni dell’atto di appello è la richiesta degli appellanti di sentir pronunciare, “verificata l’insussistenza dei requisiti richiesti ex art. 150 c.p.c., per la notifica nelle forme straordinarie dei pubblici proclami, dichiararsi l’inesistenza ovvero la nullità della notifica dell’atto di citazione (…) e, per l’effetto, dichiararsi la nullità di tutti gli atti di causa (…) con conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c.” (ricorso pag. 6).
- 5. – Tale essendo, dunque, il thema decidendum, anche il terzo motivo di ricorso non è fondato.
5.
5.1. – La ricorrente sostiene che (incontestabile, a suo dire, che la notificazione per pubblici proclami è prevista dall’art. 150 c.p.c., sia nel caso in cui essa si renda necessaria a causa delle difficoltà dovute all’elevato numero dei destinatari, sia nel caso in cui dipenda dalle difficoltà insite nella identificazione stessa di tutti i possibili destinatari: la parte richiama Cass. n. 6507 del 1998) la configurabilità dei presupposti per effettuare detta forma di notificazione spetta all’insindacabile giudizio dell’organo che emette il provvedimento autorizzativo (la parte richiama Cass. n. 5174 del 1994), o quantomeno alla discrezionalità del medesimo (la parte richiama Cass. n. 4274 del 1990) non suscettibile di essere revocata in dubbio se non con la prova di circostanze contrarie a quelle che ne hanno costituito il presupposto.
5.2. – Questa conclusione è da respingere in quanto in palese contrasto con i principi affermati da questa Corte in ordine al dovere del giudice di merito di verificare la conformità della notificazione eseguita alle prescrizioni di legge; dovere che, nell’ipotesi in esame, non trova certo alcun limite nel fatto che tale procedura di notificazione sia stata autorizzata da un provvedimento dello stesso organo giudiziario. Rileva questa Corte (Cass. n. 27520 del 2011; conf. Cass. n. 10864 del 2014) che è fin troppo ovvio che, a prescindere dalla consistenza dei poteri di indagine e di verifica che possono essere esercitati in tale situazione dal Presidente del Tribunale, il decreto che autorizza la notificazione per pubblici proclami è pur sempre adottato sul presupposto che effettivamente ricorrano le condizioni di fatto richieste dalla legge, sicché laddove si dimostri che invece esse non sussistevano viene conseguentemente a mancare la base normativa che giustificava il provvedimento in questione. Diversamente ragionando, si perverrebbe alla conseguenza di ritenere sottratto ad ogni sindacato giurisdizionale il decreto autorizzativo del Presidente del Tribunale, atteso che, per il suo carattere ordinatorio, contro di esso non sarebbe nemmeno proponibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. Con ricadute, merita aggiungere, gravissime in termini di tutela del principio del contraddittorio, tenuto anche conto del carattere extra ordinem della forma di notificazione per pubblici proclami, riconosciuta espressamente dall’art. 150 c.p.c., che la contrappone alle “notificazione nei modi ordinari”, straordinarietà che va colta nel fatto che essa non è eseguita presso un luogo individuato, in cui si sa o si presume risieda il destinatario, come avviene nelle forme ordinarie, ma attraverso forme di pubblicità notizia (deposito dell’atto di citazione e del decreto presso la casa comunale e la sua pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale), che certo forniscono meno garanzie in ordine al fatto che l’atto verrà a conoscenza dei destinatari.
Alla luce di queste considerazioni, deve pertanto ritenersi che la mancanza dei presupposti di fatto in presenza dei quali viene autorizzata la notificazione per pubblici proclami possa essere denunziata in sede di gravame dal convenuto rimasto contumace, come del resto già affermato da questa Corte (Cass. n. 4274 del 1990; anche Cass. n. 27520 del 2011).
5.3. – A fronte di ciò la sentenza impugnata, attraverso una valutazione di fatto, coerente ai principi appena richiamati, e come tale sottratta al sindacato di legittimità, rileva che, nella specie, l’appellata ben conoscesse le generalità ed i recapiti degli appellanti, alcuni dei quali suoi contraddittori in trattative per la divisione del compendio immobiliare comprendente i beni oggetto di usucapione; e che ben conoscesse, o avrebbe potuto conoscere usando l’ordinaria diligenza, anche le generalità ed i recapiti degli altri parenti interessati alla lite. E che, dunque, non corrispondesse alla realtà l’affermazione nel ricorso presentato al Presidente del Tribunale di Padova per l’autorizzazione, che fosse sommamente difficile la notifica per il numero dei contraddittori e la possibile morte di alcuni di essi e la difficoltà di individuare gli eredi.
- 6. – Anche il quarto motivo di ricorso non è fondato.
6.1. – La ricorrente deduce che, pur trattandosi di pronunciare sulla avvenuta costituzione del diritto di proprietà di bene immobile (a titolo originale) parte appellante avrebbe omesso di svolgere la domanda nei confronti di tutti i litisconsorti del giudizio di primo grado e non della sola […].
6.2. – Considerato che […], come sopra rilevato sub 4.3.) il thema decidendum è limitato alla richiesta di “dichiararsi l’inesistenza ovvero la nullità della notifica dell’atto di citazione (…) e, per l’effetto, dichiararsi la nullità di tutti gli atti di causa […] con conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c.” (ricorso pag. 6), la Corte territoriale ha coerentemente affermato che — in quanto “il vizio di notifica, comporti lo stesso inesistenza o nullità, sviluppa i medesimi effetti prescritti dall’art. 354 c.p.c., oltre che la declaratoria di nullità della sentenza impugnata e di tutti gli atti del primo procedimento” — “rettamente le conclusioni di questa causa d’appello sono prese nei confronti dell’unico soggetto interessato poiché ha proposto la domanda in prime cure ed ottenuto la decisione a sé favorevole”.
Questa Corte ha, infatti, affermato che è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 12541 del 1998; conf. Cass. n. 2053 del 2010). E conseguentemente (in tali casi, come nella specie) l’interesse della parte appellante, come quello della appellata, è riferito esclusivamente alla soluzione della questione di rito, che esula dalla questione di merito (usucapione), anche con riferimento ai soggetti interessati alla risoluzione di quest’ultima.
- 7. – Altrettanto non fondato è il quinto motivo di ricorso.
7.1. – La ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia applicato il criterio della soccombenza secondo l’esito di una fase e non in considerazione dell’esito finale della lite; e si duole altresì della quantificazione in concreto operata.
7.2. – Quanto al primo profilo, in applicazione del principio secondo il quale il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole (ex plurimis Cass. n. 6369 del 2013; Cass. n. 18503 del 2014), la Corte d’appello ha correttamente posto le spese del grado a carico della parte appellata, in quanto soccombente in ragione dell’accoglimento dell’appello e della conseguente dichiarazione della nullità della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del procedimento, avvenuta con le forme dell’art. 150 c.p.c., della sentenza del giudizio di primo grado e di tutti gli atti del procedimento per lesione del contraddittorio, nonché della rimessione del giudizio stesso davanti al Tribunale di Padova.
7.3. – Riguardo poi alla contestata quantificazione delle spese di lite poste a sue carico, va rilevato che — a fronte della affermazione del giudice di gravame circa il fatto che le parti avevano concordato sul valore dichiarato della causa — la ricorrente non specifica quale fosse tale valore (che parte controricorrente afferma maggiore di Euro 100.000,00: v. controricorso pag. 18), ma si limita sostenere che “il valore della causa non può che essere quello dichiarato, moltiplicando i valori catastali delle aree oggetto di usucapione (che, come detto, non riguardavano l’intero compendio indicato catastalmente), nel giudizio di primo grado, ossia Euro 33.300,00”, senza fare alcun minimo riferimento al menzionato valore concordato (evidenziandosi, peraltro, sotto questo profilo una carenza di autosufficienza del motivo). Pertanto — anche a prescindere dalla considerazione che, ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 7, “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa” — la mancanza di specifici elementi, non consente di individuare il valore concordato della causa, e quindi di parametrare ad esso le singole voci, onde pervenire ad una diversa liquidazione delle spese del giudizio di appello.
- 8. – Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, considerato che la dichiarata inammissibilità del controricorso comporta che dal rimborso delle spese del giudizio per cassazione sopportate dai resistenti vanno escluse le spese e gli onorari relativi al controricorso, mentre tale rimborso spetta limitatamente alle spese per il rilascio della procura ed all’onorario per lo studio della controversia e per la discussione (Cass. n. 11619 del 2010; n. 9396 del 2006; n. 11275 del 2005). Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese di questo giudizio alla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 2.200,00 di cui euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
[Omissis].