Svolgimento del processo
Il Pretore del lavoro di Oristano, con sentenza del 5 luglio 1985, dichiarava che l’infortunio subito il 15 ottobre 1979 dal marittimo […] si era verificato in occasione di lavoro e condannava la Cassa Marittima meridionale per l’assicurazione degli infortuni sul lavoro della gente di mare a corrispondere al […] la rendita di invalidità permanente, comprese le rate già maturate.
La pronuncia, con sentenza del 7 aprile 1986, veniva confermata dal Tribunale di Oristano.
Contro questa sentenza la Cassa Marittima, con ricorso del 7 luglio 1986, proponeva domanda di revocazione allo stesso Tribunale, deducendo di avere frattanto appreso, con lettera dell’Inail del 10 giugno 1986, che questo Istituto —in data precedente alla domanda del […] nei confronti della Cassa —aveva già costituito una rendita vitalizia del 100% per l’infortunio in questione in quanto all’epoca il marittimo era socio di una cooperativa di pescatori assicurata con l’I.N.A.I.L.; e ciò escludeva non soltanto il diritto […] ad una altro trattamento pensionistico, ma anche la possibilità che egli fosse compreso fra i marittimi del natante su cui era imbarcato numericamente assicurati dalla Cassa.
Il marittimo [N.d.a.] resisteva alla domanda di revocazione, che, con la sentenza ora denunziata del 31 gennaio 1987, veniva rigettata dal Tribunale. Questo anzitutto escludeva che fossero configurabili le fattispecie revocatorie di cui ai n. 1 e 2 dell’art. 395 c.p.c., cioè l’esistenza del dolo della parte e, rispettivamente, l’accertamento della falsità di prove: quanto alla prima ipotesi perché nel semplice mendacio non si configura un comportamento doloso e non poteva certo considerarsi tale quello del, che si era limitato a tacere il fatto della costituzione della precedente rendita; quanto alla seconda ipotesi, perché non v’era stato un riconoscimento convenzionale o giudiziale della falsità di prove riguardanti il fatto posto a base della revocazione, non essendosi affatto discusso in precedenza della costituzione della rendita Inail.
Il Tribunale, poi, negava anche l’ipotesi del rinvenimento di documento decisivo, di cui al n. 3 dell’art. 395 c.p.c. che la Cassa assumeva doversi ravvisare nella lettera dell’Inail del 10 giugno 1986 con cui le era stata resa nota la costituzione della rendita. E ciò per tre ordini di ragioni, cioè perché incombeva alla Cassa fornire la prova dell’esistenza di altre coperture assicurative a favore del […]; perché tale circostanza poteva essere dimostrata in altro modo e quindi mancava il requisito della decisività del documento; e infine perché la mancata acquisizione del documento medesimo non era imputabile al […], che si era limitato al contegno inattivo, sicché difettava anche l’altro elemento della fattispecie revocatoria, cioè “il fatto dell’avversario” ostativo della produzione in giudizio.
Infine, la sentenza impugnata non poteva ritenersi effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa e perciò, a parere del Tribunale , non si configurava neppure l’ipotesi revocatoria di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c. — Non si era trattato, infatti, di una svista materiale del giudice, cioè di un fatto da questo supposto esistente o inesistente sebbene la sua inesistenza o esistenza risultasse pacificamente dagli atti di causa; nella specie, invece, la costituzione della precedente rendita non risultava da alcun documento di causa, bensì era stata accertata successivamente, con prova acquisita dopo la pronunzia e perciò doveva escludersi in radice l’esistenza di un errore di percezione.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso la Cassa in base ad unico motivo.
Resiste […] con controricorso.
La ricorrente ha presentato memorie.
Motivi della decisione
1.- Deve ritenersi superata l’istanza del resistente volta ad ottenere la riunione del presente ricorso a quello ordinario proposto dalla Cassa contro la stessa sentenza oggetto del giudizio di revoca; questo ricorso, infatti, con sentenza del 12 marzo 1988 è stato dichiarato inammissibile perché tardivo.
2.- È preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal resistente in base al rilievo che l’atto risulta notificato ad istanza dell’avv. […], che non è munito di procura della ricorrente, laddove l’art. 137 comma 1 c.p.c., nel disporre che la notificazione avviene ad “istanza di parte”, abilita ad essa soltanto la parte personalmente o, al limite, il suo procuratore in giudizio, con la conseguenza che il procedimento notificatorio svoltosi ad istanza di un soggetto diverso deve ritenersi inesistente.
L’eccezione è infondata.
In verità essa può giovarsi dell’avallo di un consistente e risalente orientamento di questa Corte, che — appunto muovendo dalla premessa che la legittimazione a presentare l’istanza di notificazione è circoscritta alle persone suddette — considera non imputabile alla parte, e perciò affetta da inesistenza o nullità assoluta ed insanabile, la notificazione non chiesta personalmente dalla stessa parte ovvero dal suo procuratore o difensore munito di mandato per il giudizio (cfr., da ultimo, sent. n. 5378 del 1988). Costituiscono espressione di questo indirizzo le pronunce con cui è stato affermato, ad es., che è radicalmente nulla la notificazione eseguita ad istanza del difensore nominato per un diverso grado del giudizio (n. sent. n. 8129 del 1987; n. 931 del 1981; n. 1256 del 1978), del difensore incaricato solo di assistere la parte (v. sent. n. 9642 del 1987) oppure del procuratore domiciliatario (n. sent. n. 4489 del 1986; n. 1 del 1979; n. 1613 del 1975).
In altre sentenze, però, si trova seguito un indirizzo meno rigoroso, per cui la formulazione dell’istanza da persona diversa dalla parte o dal suo procuratore dà luogo a mera irregolarità della notifica o a nullità sanabile ex art. 156 3ºco., c.p.c. con il raggiungimento dello scopo della notificazione, attraverso la costituzione in giudizio o la comparizione del destinatario (v. sent. n. 1315 del 1979; n. 4280 del 1976).
Secondo qualche altra pronuncia, infine, il vizio deve ritenersi sanato dalla successiva attività della stessa parte nel cui interesse la notifica era stata richiesta, cioè con il compimento di un atto che necessariamente postuli quello notificato, così confermandone ex post l’impugnazione (v. sent. n. 9642 del 1987).
Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto, ritengono che tali orientamenti non trovino adeguato sostegno nei dati normativi.
3.- Il disposto caricato su di me.- Occorre anzitutto osservare che spesso nelle sentenze suddette si trovano accomunati in una considerazione unitaria due aspetti della problematica in esame che vanno, invece, tenuti distinti, cioè, da un lato, l’individuazione dei soggetti ai quali compete di provocare la notificazione di un certo atto processuale e, dall’altro, la possibilità che l’attività in cui si concreta l’esercizio di tale potere venga dagli stessi delegata ad altri soggetti.
Un problema di legittimazione intesa nel primo senso, come titolarità del potere di disporre la notificazione, in realtà non si pone neppure, essendo evidente che, in relazione ad un atto del processo o preordinato al processo, l’iniziativa del procedimento notificatorio non può che spettare alla parte personalmente o al suo procuratore, che la rappresenta in giudizio in ragione del suo ufficio di difensore.
Appunto questo (ovvio) principio esprime l’art. 137 comma 1 c.p.c., che si occupa della prima delle tre fasi del procedimento di notificazione, cioè della c.d. fase di impulso (cui fanno seguito quella diretta alla consegna dell’atto al destinatario e quella di documentazione di tale attività, entrambe proprie dell’ufficiale giudiziario). La norma dispone che le notificazioni possono avvenire, oltre che a richiesta del p.m. o del cancelliere, ad istanza della “parte”; ed è pacifico che quest’ultimo termine comprende entrambi i detti soggetti (la parte di persona e il suo procuratore), come risulta altresì dall’art. 104 d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, che ad essi attribuisce il potere di officiare l’ufficiale giudiziario competente (sent. n. 3742 del 1986; n. 407 del 1985).
Né è ipotizzabile, del resto, una diversa regola, giacché la legittimazione a provocare la notificazione è correlata all’atto che ne costituisce l’oggetto e spetta, quindi, se si tratta di un atto di parte, alla persona cui questo va imputato e, se si tratta di un provvedimento del giudice, al soggetto o ai soggetti del rapporto processuale che ne sono i destinatari. Piuttosto va sottolineato —per quanto si dirà più oltre —che in ordine all’iniziativa della notificazione non opera, come si desume anche dall’art. 137 cit., il principio della difesa tecnica e perciò, ancorché l’atto da notificare debba essere compiuto dal difensore, il potere di provvedere per la sua notificazione va riconosciuto anche alla parte di persona (v. art. 163 ult. comma, che menziona distintamente la parte e il suo procuratore; inoltre il termine “parte” è usato nello stesso significato di cui all’art. 137 in altre norme concernenti la legittimazione alla notificazione, quali l’art. 285 c.p.c. e gli artt. 47, 95 e 104 disp. att.).
L’individuazione dei legittimati di per sé non risolve, però, lo specifico problema di cui si discute (affrontato nelle sentenze suddette), che sorge quando la c.d. attività di impulso sia svolta da altra persona per conto di detti soggetti, nelle quali fattispecie occorre ulteriormente stabilire se l’attività medesima possa essere delegata ad altri e, in tal caso, se per il conferimento dell’incarico si richiedono particolari forme.
Si tratta allora di verificare, alla stregua del sistema positivo, in che cosa consista e quale sia la disciplina dell’attività di impulso, in particolare se questa debba essere necessariamente compiuta dalla parte di persona o dal suo procuratore in giudizio; conclusione quest’ultima alla quale perviene il primo e più rigoroso orientamento, che non distingue fra legittimazione e concreto esercizio della attività, in pratica supponendo l’esistenza di un atto di impulso volto a manifestare la volontà di notifica e riservato personalmente a tali soggetti.
4.- La legge, però, non prevede uno specifico atto formale avente siffatto contenuto.
L’unica norma che concerne in via generale la fase di impulso, cioè l’art. 137, nulla dispone al riguardo, giacché in questo la locuzione “istanza di parte” è usata per designare, come si è visto, una delle tre categorie di soggetti che possono assumere l’iniziativa del procedimento notificatorio, non già per indicare (con il termine “istanza”) la forma o il contenuto della richiesta o, comunque, un distinto atto destinato a tale scopo (la stessa considerazione vale per il termine “richiesta”, concernente l’iniziativa del p.m. e del cancelliere).
Per converso, risulta in modo diretto dall’art. 163 ult. comma (in tema di notifica della citazione) e in modo indiretto da altre norme, che l’attività di impulso del procedimento consiste nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, ovviamente con le indicazioni relative al destinatario della notificazione; le quali, per altro, nella prassi vengono precisate attraverso la parziale predisposizione, in calce all’atto, della relazione di notifica.
Con la consegna vanno eseguiti adempimenti diversi (ad es., pagamento di spese e diritti) e possono essere impartite istruzioni o raccomandazioni all’ufficiale giudiziario relative a modalità da osservare nelle fasi successive, cioè nell’attività di trasmissione (ad es. notifica di urgenza o nello stesso giorno: art. 122 l.18 ottobre 1951, n. 1128) o in quella di documentazione (come prevede l’art. 47 disp. att., per cui la parte può chiedere che nella relazione di notifica sia indicata l’ora in cui il piego è consegnato al destinatario); ma pure queste richieste possono essere formulate in modo informale.
Né è prevista una diretta e specifica documentazione (ad es., mediante processo verbale) in ordine alla consegna dell’atto e al soggetto che materialmente la esegue, giacché l’ufficiale giudiziario soltanto a conclusione del procedimento notificatorio deve dare notizia dell’“istanza”, indicando la parte da cui è stato officiato nella relazione di notifica, che è l’unico atto giuridicamente rilevante (anche) nei confronti del destinatario.
È illuminante, al riguardo, il riferimento all’ipotesi che l’interessato provveda a trasmettere l’atto da notificare mediante lettera raccomandata, come la legge espressamente prevede (nei casi di cui all’art. 104 comma 3 d.p.r. n. 1229 del 1959): l’ufficiale giudiziario non è tenuto a far risultare, nella relazione di notifica, tale modalità della consegna; inoltre, non è prescritta l’autentica della sottoscrizione della richiesta, ancorché l’istante figuri essere la parte personalmente e non il suo difensore. Queste circostanze confermano che nel sistema normativo la c.d. attività di impulso non adempie né alla funzione di manifestare, rispetto alla controparte, la volontà di notificare l’atto, cui la legge non attribuisce autonomo rilievo giuridico, né alla funzione di assicurare che la consegna venga effettuata direttamente dal soggetto legittimato; e perciò non è appropriato il ricorso alle tradizionali categorie negoziali, che postula l’esistenza di un apposito atto dispositivo di cui non v’è traccia nella legge.
L’attività di impulso si risolve, invece, nella traditio dell’atto da notificare e nel compimento di operazioni accessorie, per lo più di carattere materiale, finalizzate esclusivamente al conferimento dell’incarico notificatorio. E in relazione a questa struttura e a questa funzione, circoscritte al rapporto fra il richiedente e l’ufficiale giudiziario, si spiega perché non siano previste dall’art. 160 c.p.c., né siano oggettivamente configurabili, vizi della notificazione inerenti alla fase in esame, neppure in relazione al disposto dell’art. 156 comma 2 (che sancisce la nullità degli atti processuali inidonei allo scopo ed è richiamato dall’art. 160), fatta eccezione dei casi in cui l’atto notificando non consenta l’individuazione della parte istante.
Rispetto al destinatario, infatti, sono irrilevanti le modalità di conferimento dell’incarico all’ufficiale giudiziario, giacché il presupposto del procedimento si realizza con la consegna dell’atto da notificare e lo scopo della notificazione deve ritenersi in ogni caso raggiunto quando alla stregua dell’atto medesimo è certo il soggetto cui essa va riferita.
Il ruolo decisivo che in tal senso svolge l’atto da notificare è alla base del costante orientamento espresso da questa Corte nell’ipotesi che nella relazione di notifica sia del tutto omessa l’indicazione della parte istante. Muovendo dalla premessa che l’omissione non è in alcun modo sanzionata, sicché deve escludersi l’esistenza di una nullità formale, si è precisato che non si configura neppure un vizio extraformale se l’atto notificato consenta di individuare la persona alla quale va imputata la notificazione; soltanto l’incertezza al riguardo rende assolutamente inidoneo il procedimento notificatorio (sent. n. 812 del 1986; n. 2871 del 1984; n. 3371 del 1982; n. 9 e n. 1974 del 1979; n. 2147 del 1977). Con il quale indirizzo implicitamente si riconosce, oltre alla normale irrilevanza di una distinta volontà di notifica, la stretta inerenza e strumentalità della notificazione rispetto all’atto da notificare, in relazione al quale si stabilisce il soggetto al quale deve essere riferita.
In verità, la contraria opinione non si giustifica neppure nell’ottica dell’atto dispositivo, ove si consideri che, spettando la legittimazione anche alla parte personalmente, nulla impedisce che questa si faccia sostituire da altra persona secondo le ordinarie regole della rappresentanza sostanziale. Appunto in base a questa premessa si è ritenuto che il difensore della parte possa provvedere per la notificazione di un atto sebbene sfornito di ius postulandi in quel giudizio, non trattandosi di attività che debba essere svolta nell’esercizio di rappresentanza procuratoria (v. sent. n. 1174 del 1973, in tema di notifica del ricorso per cassazione; tuttavia, in senso contrario, v. sent. n. 8129 del 1987).
Una volta chiarita, poi, la natura dell’attività nei sensi innanzi precisati, a maggior ragione deve ammettersi che essa possa dal legittimato essere demandata ad altra persona, che operi come mero tramite nelle operazioni di consegna dell’atto notificando all’ufficiale giudiziario, cioè in una veste puramente strumentale. E poiché non si tratta di sostituzione in un’attività propriamente processuale, si deve altresì ammettere che l’incarico possa essere dato verbalmente, come in concreto accade, del resto, nella prassi giudiziaria, essendo ben noto che quasi sempre l’operazione è svolta dai difensori a mezzo di semplici incaricati (praticanti, assistenti di studio, segretari, etc.).
È possibile che l’interposizione non risulti dalla relazione di notifica, in quanto l’ufficiale giudiziario, imputando la consegna direttamente al legittimato, certifichi soltanto che la notificazione è avvenuta ad istanza di quest’ultimo; la relata, quindi, non concerne le modalità dell’istanza (analogamente a quanto si verifica per la richiesta a mezzo posta) e dunque non può ex actis sorgere questione circa l’imputazione della stessa.
Un problema siffatto può in astratto profilarsi, invece, se nella relazione di notifica si dia notizia dell’intervento di un soggetto diverso dal legittimato, senza indicare la sua veste di incaricato di quest’ultimo o precisare, comunque, il rapporto che giustifica la qualifica. Una volta ritenuta, pero, la normale irrilevanza, rispetto al destinatario, delle modalità dell’incarico all’ufficiale giudiziario, occorre riconoscere che la carenza di detti elementi non inficia di per sè la notificazione, la quale — secondo quanto in precedenza precisato — può risultare inutilmente eseguita soltanto se alla stregua dell’atto notificato non è dato individuare il soggetto cui essa va riferita, mentre, in caso contrario, si deve ritenere che la persona interposta abbia agito quale nudus minister di detto soggetto, da costui verbalmente incaricata.
Tale imputazione risulta evidente per gli atti di parte formati proprio per essere partecipati alla persona alla quale si indirizzano: per essi la volontà di procedere alla notifica è insita nello stesso atto e non può che essere riferita al suo autore la conseguente operazione di consegna all’ufficiale giudiziario, essenziale alla funzione dell’atto medesimo (di cui in definitiva costituisce attuazione). Tanto deve dirsi, ad es., per l’atto di citazione, in relazione al quale la parte che lo sottoscrive (o conferisce la procura al difensore che lo redige) con ciò stesso manifesta l’intento che sia notificato; e per gli atti del processo che vengono formati dal procuratore per essere portati a conoscenza di altri soggetti (come ad es., I lista dei testimoni che il giudice ha ammesso a deporre, la cui notificazione è del pari attuativa della funzione dell’atto).
In queste fattispecie — che vengono in diretta considerazione nella presente vicenda (con riguardo alla notifica del ricorso) — la persona alla quale l’atto è notificato è sempre tenuta a riferire la notificazione alla parte cui va attribuito l’atto medesimo, ancorché questo risulti consegnato all’ufficiale giudiziario da un diverso soggetto e sussista taluna delle carenze suddette. Nessuna norma pone a carico del destinatario l’onere di accertare se tale soggetto sia un incaricato della parte ovvero di verificare se l’incarico enunciato sia effettivamente esistente (il quale controllo risulta, per altro, quasi sempre inattuabile); inoltre l’assenza dell’incarico, dunque il carattere arbitrario dell’attività della persona interposta, potrebbe essere eccepita dal soggetto cui deve essere riferita la notificazione, non certo dalla controparte (su ciò conviene anche l’indirizzo che qui si respinge, il quale per questa ragione esclude che il vizio possa essere sanato dal raggiungimento dello scopo della notifica).
Per quanto concerne, poi, la parte alla quale vanno imputati l’atto e conseguentemente la sua notifica, è agevole osservare che il possesso del medesimo atto da parte di colui che ne effettua la consegna è di per sè sufficiente per ritenere che egli agisca su incarico del dominus, al quale vanno necessariamente riferite, ai fini della rituale instaurazione del giudizio, le conseguenze della disponibilità dell’atto medesimo, da lui consentita e della quale non può non essere responsabile sul piano processuale (non essendo la disciplina in esame volta a tutelare l’uso indebito dell’atto notificando).
Ciò senza dire che la configurabilità di un vizio comportante l’inesistenza della notificazione, perciò rilevabile in ogni stato e grado, confligge con le esigenze di un ordinato e leale svolgimento del processo. In tal modo, infatti, si finisce con il consentire al legittimato di eccepire in qualsiasi fase la non imputabilità della notifica, in pratica riconoscendogli la possibilità di disconoscere, o meno, il giudizio a seconda della propria convenienza; e ciò in relazione ad una disciplina che non è finalizzata ad assicurare la certezza del diretto compimento dell’attività di impulso ad opera della parte e, conseguentemente, con riferimento a situazioni che non sono immediatamente percepibili dalla controparte, come si è detto.
È appena il caso di sottolineare, infine, che per gli atti diversi da quelli ora considerati occorre in concreto verificare, in base al principio innanzi enunciato, se alla stregua dell’atto sia possibile identificare il soggetto cui la notificazione va imputata.
In conclusione, si deve affermare che l’attività di impulso del procedimento notificatorio, la quale consiste essenzialmente nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, può dal soggetto legittimato, cioè dalla parte o dal suo procuratore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente. In tal caso, l’omessa indicazione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito l’attività suddetta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stregua dell’atto da notificare, risulti ugualmente la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata; e tanto si verifica in ogni caso per l’atto di citazione, il ricorso per cassazione e, in genere, per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte medesima, con la conseguenza che le omissioni suddette non danno luogo ad inesistenza o nullità della notificazione.
Nel caso in esame, alla stregua di tale principio deve escludersi l’esistenza del vizio dedotto dal resistente. Nella relazione dell’ufficiale giudiziario si legge che la notificazione del ricorso per cassazione avvenne “su istanza” della Cassa Marittima, rappresentata e difesa come in ricorso, ancorché “ad istanza dell’avv. […]”; e dalla duplice indicazione circa l’iniziativa della notifica risulta evidente che quest’ultimo provvide a consegnare materialmente l’atto da notificare. È vero che non viene indicata la qualità del legale, cioè l’avere agito su incarico della ricorrente, ma l’omissione è del tutto irrilevante, giacché l’imputazione della notifica alla Cassa scaturisce dallo stesso ricorso e risulta, comunque, attestata nella relazione suddetta, attraverso la prima indicazione.
- 5. – Con l’unico motivo di ricorso, denunciando la violazione dell’art. 395 c.p.c. e vizi della motivazione, la Cassa Marittima Meridionale critica la sentenza impugnata per avere negato l’esistenza delle fattispecie revocatorie di cui ai n. 1, 2 e 3 della disposizione. In relazione a ciascuna di tali previsioni sostiene che:
- a) erroneamente la Corte ha qualificato come “semplice silenzio” su circostanza decisiva il comportamento chiaramente doloso del […], che non solo aveva taciuto l’esistenza del rapporto assicurativo con l’INAIL, ma aveva tenuto una condotta processuale fraudolenta allo scopo di trarre in inganno essa Cassa e di conseguire in danno della stessa una duplice rendita infortunistica;
- b) contrariamente a quanto affermato dalla Corte, la sentenza revocanda era stata resa sul presupposto, evincibile da documenti, che il […] fosse assicurato dalla Cassa e non da altri enti, laddove tali circostanze erano poi risultate false;
- c) la lettera dell’Inail del 13 giugno 1966, in base alla quale era stata scoperta l’esistenza dell’altro rapporto assicurativo — e, dunque, la frode commessa dal […] —documentava un fatto determinante prima ignorato dalla Cassa per motivi di forza maggiore, sicché si configurava anche l’ipotesi del rinvenimento di documento decisivo.
La censura sub a) è infondata.
È vero che ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio, ex n. 1 dell’art. 395 c.p.c., non basta la semplice violazione dell’obbligo di comportarsi in giudizio con lealtà e probità né sono di per sè sufficienti il mendacio o le false allegazioni, bensì si richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria facendo apparire una situazione diversa da quella reale e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità (sent. n. 1128 del 1987; n. 3642 del 1986; n. 3768 del 1983).
Ma del pari non è dubbio che anche il mendacio o il silenzio su fatti decisivi possono realizzare il presupposto della fattispecie se costituiscono elementi essenziali di un’attività diretta proprio a trarre in inganno la controparte e idonea —in relazione alle circostanze — a determinare le conseguenze suddette. Ciò deve dirsi, fra l’altro, quando la stessa domanda giudiziale trovi fondamento sul mendacio o sull’occultamento del vero, costituendo lo strumento per conseguire un ingiusto profitto, e il successivo comportamento processuale, attuativo del disegno fraudolento, sia tale da impedire un’efficiente attività difensiva della controparte e, comunque, da pregiudicare l’accertamento della verità.
Nel caso in esame il Tribunale si è sostanzialmente limitato all’enunciazione del principio di (normale) irrilevanza del solo silenzio, senza valutare in concreto il comportamento del […] nell’ambito dell’azione da lui intrapresa proprio per conseguire nuovamente l’indennità temporanea e la costituzione di una nuova rendita infortunistica, malgrado che avesse già ottenuto l’una e l’altra dall’Inail. In particolare, ai fini del giudizio sull’idoneità della condotta del […] ad incidere negativamente sulla difesa della Cassa, il giudice di merito non ha tenuto conto del peculiare meccanismo della copertura assicurativa garantita dalla medesima Cassa, per cui — secondo la tesi di quest’ultima — l’occultamento del già conseguito trattamento infortunistico determinava l’apparenza di una situazione oggettiva tale da far ritenere esistente il rapporto assicurativo, senza possibilità di svolgere una proficua difesa al riguardo, giacché l’inclusione tra i beneficiari dell’assicurazione (numerica) dei marittimi postula l’inesistenza di altra posizione assicurativa.
Nè il Tribunale ha considerato la circostanza che, proprio con riferimento alla domanda accolta con la sentenza oggetto di revocazione, nei confronti del […] era stato iniziato procedimento penale per truffa in danno della Cassa (precisamente, per truffa quanto all’indennità temporanea e per tentata truffa quanto alla rendita definitiva).
L’accertamento suddetto dovrà essere compiuto, quindi, dal giudice del necessario rinvio.
Non sono fondate, invece, le censure sub b) e c).
Quanto alla prima, va ricordato che la fattispecie prevista dal n. 2 dell’art. 395 c.p.c. si realizza allorché la sentenza revocanda è basata su prove la cui falsità sia stata accertata con sentenza passata in giudicato oppure sia stata riconosciuta dalla parte a cui vantaggio le prove medesime sono state utilizzate dal giudice. Le quali ipotesi non ricorrono nella specie, come correttamente ha statuito la sentenza impugnata.
Quanto all’altra censura, effettivamente non può essere condivisa la sentenza là dove afferma che, ai fini della fattispecie revocatoria di cui al n. 3 dell’art. 395, è necessario che la mancata produzione in giudizio del documento sia dipesa da fatto dell’avversario. Poiché la disposizione fa riferimento anche all’impedimento derivante da forza maggiore e, d’altra parte, essa va coordinata con gli artt. 210 ss. c.p.c., sull’esibizione delle prove, occorre ritenere che per proporre l’impugnativa per revocazione sia sufficiente l’assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento decisivo, di cui egli non abbia potuto nemmeno chiedere l’esibizione perché senza colpa ignorava l’esistenza del documento medesimo o la persona che lo deteneva (v. sent. n. 950 e 248 del 1986).
Ma l’inapplicabilità della disposizione è stata argomentata dal Tribunale pure in base alla natura del documento, costituito dalla missiva del 10 giugno 1986, con cui l’Inail aveva comunicato alla Cassa l’avvenuto pagamento dell’indennità di inabilità temporanea e la costituzione della rendita definitiva. Sotto questo profilo, è stato (esattamente) osservato in sentenza che non trattasi di documento diretto di un fatto giuridico, giacché la scrittura non era destinata a provare le circostanze suddette, ma semplicemente a darne notizia al destinatario; e che pertanto non si configurava il rinvenimento di un documento decisivo, bensì la sopravvenuta conoscenza di un fatto decisivo prima ignorato, di cui la Cassa avrebbe potuto avere conoscenza aliunde (se non fuorviata, secondo la tesi della ricorrente, dall’azione fraudolenta del […]).
Questo ragionamento, che implica apprezzamento di fatto non censurabili in ordine al contenuto e alla finalità della missiva, non è qui sindacabile perché sorretto da motivazione congrua e priva di vizi (v., da ultimo, sent. n. 261 del 1981).
In definitiva, la sentenza impugnata, in accoglimento del primo profilo di censura, deve essere cassata con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa nel Tribunale di Oristano, il quale procederà a nuovo esame della controversia, attenendosi ai principi di diritto e ai rilievi innanzi svolti, e provvederà anche sulle spese di questo giudizio.
p.q.m.
LA CORTE di CASSAZIONE, a SEZIONI UNITE
accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame in relazione alle censure accolte, al Tribunale di Oristano, il quale provvederà anche sulle spese di questo giudizio di Cassazione.
[Omissis].