Svolgimento del processo
Su ricorso della Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l., il Presidente del Tribunale di Milano emetteva, con decreto nei confronti della s.r.l. Immobiliare Latina in liquidazione, ingiunzione di pagamento della somma di L. 46.000.000, portata da sei cambiali apparentemente emesse dalla Immobiliare a favore di e da questi girate alla banca.
Il Tribunale di Milano, pronunciando con sentenza n. 4919 del 23 maggio 1985, sull’opposizione al decreto ingiuntivo promossa dalla società ingiunta, e nel contraddittorio della Banca Popolare di Milano, non entrava nel merito delle questioni dedotte in controversia, dichiarando l’inammissibilità dell’opposizione a causa della mancata produzione di copia del decreto opposto.
Avverso detta sentenza proponeva appello la società immobiliare che produceva la copia notificata del decreto e che ribadiva i motivi già svolti nell’opposizione. La Banca, costituitasi, contestava il fondamento della pretesa avversa.
La Corte di Milano, pronunciando con sentenza n. 1219 del 9 giugno 1987, rigettava la proposta opposizione a decreto ingiuntivo condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Superata la pregiudiziale a seguito della avvenuta produzione di copia del decreto ingiuntivo nel giudizio di secondo grado, la motivazione della pronuncia era sintetizzata in quattro proposizioni, e cioè:
1) mancanza di prova dell’emissione a titolo gratuito dei pagherò in questione;
2) mancanza di prova che la banca, portatrice dei titoli ex art. 20 L.C., acquisendo le cambiali avesse scientemente agito in danno del debitore (art. 21 L.C.);
3) mancanza di prova, quanto alle limitazioni del potere di rappresentanza da parte dell’amministratrice della società, emittente dei titoli, che la banca avesse intenzionalmente agito ai danni della società (art. 2384, comma 2, c.c.);
4) mancanza di prova dell’estraneità all’oggetto sociale dell’atto compiuto dall’amministratore, con l’emissione dei titoli.
La decisione si correlava alla tesi in fatto sostenuta dalla società, secondo cui i titoli erano stati emessi dalla sua amministratrice [n.d.a.] di allora […]a titolo gratuito, ed in favore del sig. […] con il quale essa intratteneva una relazione sentimentale.
La Corte riteneva sfornito di prova il fatto dedotto e la sua conoscenza da parte della banca, ininfluenti al fine essendo le modalità di negoziazione delle cambiali da parte del con la banca stessa, così come irrilevanti divenivano, ai fini di causa, i limiti dei poteri dell’amministratrice agli atti di ordinaria amministrazione e l’estraneità dell’emissione delle cambiali all’oggetto sociale, situazioni che in tanto sarebbero state integrate in quanto fossero stati dimostrati inscindibilmente sia i fatti inerenti alla gratuità dei titoli, sia quelli attinenti alla loro conoscenza da parte dell’ultima portatrice della cambiale (la Banca).
Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione la società immobiliare predetta deducendo tre motivi, integrati da memoria; si costituiva con controricorso la Banca Popolare di Milano.
Motivi della decisione
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2621 e 2612 c.c. con riferimento all’art. 3 c.p.p. ed in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
Se male non si sono comprese le ragioni addotte, con questo mezzo la ricorrente affronta il problema dell’emissione a titolo gratuito, o no, delle cambiali, in relazione alla prima proposizione sintetica della pronuncia di secondo grado, come sopra indicata.
Si sostiene al fine che l’emissione delle cambiali, di cui non vi era traccia nella contabilità sociale, avrebbe integrato il reato di cui all’art. 2621 c.c. qualora i titoli avessero obbligato la società, reato per il quale avrebbe dovuto essere fatto rapporto ex art. 3 c.p.p., in allora vigente.
Poiché il rapporto non era stato fatto, si dovrebbe dedurre, in tesi, che esse non vennero considerate obbligazioni della società; da ciò si dedurrebbe ulteriormente la prova presuntiva che le cambiali, in quanto emesse a titolo gratuito, non obbligavano la società.
Non riesce del tutto agevole comprendere quale fondamento possa avere l’iter attraverso il quale la ricorrente intende sostenere che l’onere probatorio della gratuità dell’operazione, attuata con l’emissione di cambiali, e su di lei indiscutibilmente incombente, sia stato soddisfatto nella specie.
A parte, infatti, il rilievo che il riferimento all’art. 2612 c.c. dovrebbe essere del tutto non pertinente, in quanto relativo alla disciplina dei consorzi, e l’ulteriore considerazione che l’asserita gratuità dell’emissione delle cambiali, nel rapporto diretto tra la società immobiliare ed il primo prenditore, non rileverebbe nei confronti della banca ultima prenditrice se non in presenza delle situazioni oggetto del secondo mezzo di cassazione; a parte ciò, giova ripetere, non si vede come da un’affermazione in giudizio di una parte a proprio favore (per l’appunto della società immobiliare predetta) e dalla mancanza di rapporto sui fatti oggetto di detta affermazione ad opera del giudice del merito, possa addursi la dimostrazione dei fatti asseriti.
In particolare, avendo la società immobiliare addotto nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo che la precedente amministratrice non aveva lasciato alcuna registrazione contabile giustificativa dell’emissione dei titoli cambiari, i quali, quindi, dovevano considerarsi emessi a titolo di favore e gratuito, la ricorrente sembra dedurre da questa affermazione un’alternativa: o le cambiali non rifletteva no obbligazioni della società, ed allora le mancate tracce conta bili rifletteva no l’effettiva situazione della società in quanto non obbligata; oppure esse riflettevano obbligazioni sociali, ed allora la mancanza di registrazioni contabili avrebbe integrato, da parte della precedente amministratrice, una situazione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 2621 c.c.
In quest’ultimo caso il giudice del merito non avrebbe potuto ritenere sussistente l’onerosità della situazione se non facendo rapporto al giudice penale ai sensi dell’art. 3 c.p.p. [n.d.a.] precedentemente vigente.
Se questi sono i passaggi della sequenza logica svolta dalla ricorrente, essi sono, se non inammissibili per perplessità ed incomprensibilità, come sostenuto dalla banca controricorrente, senz’altro infondati. Quand’anche infatti si rilevasse che i giudici del merito avevano omesso di fare rapporto, non per questo un fatto, frutto di mera affermazione di parte (mancata registrazione dell’operazione nella contabilità della società emittente, gratuità dell’operazione stessa), a lei stessa giovevole e non data per incontroversa dalla controparte, diverrebbe verità processuale. La dimostrazione della verità di un fatto, rilevante in causa, della cui prova una parte sia gravata, deve seguire l’iter dei mezzi probatori previsti dalla legge, tra i quali non esiste la mera affermazione di fatti giovevoli eseguita da una parte; né la condotta processuale del giudice del merito può fare diventare verità processuale situazioni indimostrate.
Qualora poi la ricorrente intendesse evidenziare, con l’impostazione data al mezzo di cassazione in esame, la carenza di linearità logica nella motivazione della Corte del merito, anche sotto questo limitato profilo il motivo sarebbe carente di qualsiasi validità, sia perché, come già rilevato, la mancata registrazione dell’operazione e la gratuità costituivano mere affermazioni di parte rispetto alle quali il giudice del merito non era tenuto necessariamente a fare rapporto, sia perché la mancata prova di una situazione giuridicamente rilevante nel processo civile (situazione negativa sulla quale gioca l’adempimento o l’inadempimento dell’onere della prova), non costituisce necessariamente dimostrazione del contrario (situazione positiva) giuridicamente rilevante per il processo penale, nel quale non vige il principio dell’onere della prova. Di conseguenza, anche il dovere di rapporto ex art. 3 c.p.p. precedentemente vigente, dalla quale la parte intenderebbe dedurre motivi di gravame in sede di legittimità, è situazione del tutto ipotetica.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 2384 c.c. con riferimento agli artt. 8 e 11 L.C. ed in relazione agli artt. 4 e 13 di cui allo statuto della Immobiliare Latina, tenuto conto dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
La ricorrente, richiamando l’art. 2384 c.c., sostiene costituire obbligo della prenditrice dei titoli accertarsi preventivamente se l’emittente aveva i poteri di obbligare la società. Non adempiendo a questo obbligo, la creditrice si troverebbe in colpa e non potrebbe avvalersi dell’apparenza del diritto risultante dall’emissione dei titoli con la firma dell’amministratore per la società.
La banca non avrebbe adempiuto a detto obbligo né al momento di ricevere i titoli, né successivamente quando il […], chiedendo differimenti per il pagamento o la sostituzione delle cambiali, aveva assunto una condotta tale da ingenerare sospetto.
Ne conseguirebbe che tale negligenza equivarrebbe ad avere agito scientemente in danno del debitore, con conseguente mal governo da parte della Corte di merito sia della disciplina dell’art. 21 della L.C., sia dell’art. 2384 comma 2 c.c.
Si aggiunge che, non risultando la finalizzazione dell’emissione delle cambiali ad operazioni correlabili all’oggetto sociale, quale emerge dall’art. 4 dello statuto, ne conseguirebbe l’errore in cui sarebbe caduta la Corte del merito anche con riferimento all’oggetto sociale, in relazione agli artt. 4 e 13 dello statuto sociale, tenendo inoltre conto dell’art. 2384 c.c. nonché degli artt. 8 e 11 della L.C ..
Nel prospettare la opponibilità alla banca dei limiti derivanti dallo statuto della società immobiliare al potere di obbligarsi cambiariamente del suo amministratore, ipotizzando un onere del prenditore della cambiale di verificare i poteri dell’amministratore della società commerciale emittente, la ricorrente pone una correlazione tra l’art. 12 comma 2 del R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669 e l’art. 2384 comma 2 c.c. nel testo modificato dall’art. 5 del D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, traendo peraltro deduzioni erronee in relazione al sistema normativo vigente.
È noto, infatti, che il secondo comma dell’art. 12 della c.d. L.C. enuncia due precetti tra di loro coordinati, e cioè:
- a) la facoltà di obbligarsi per conto di un commerciante comprende anche quella di obbligarsi cambiariamente, enunciando così un principio del tutto opposto a quello del primo comma dello stesso articolo in settori estranei all’attività di impresa;
- b) vengono fatti salvi i limiti del potere di rappresentanza pubblicati a norma dell’art. 9 del codice di commercio (oggi art. 2206 c.c. e, per quanto attiene alle società commerciali, le forme di pubblicità proprie dell’atto costitutivo e dello statuto). Detti limiti ai poteri degli amministratori con rappresentanza, pertanto, se ed in quanto incidenti sul potere di obbligare cambiariamente la società ed inoltre se sottoposti alla pubblicità propria dell’art. 2298 c.c. con regolare iscrizione nel registro delle imprese (inizialmente ritenuto applicabile a tutti i tipi di società commerciali), secondo il citato testo dell’art. 12 L.C., sono sempre opponibili ai terzi, anche se questi le abbiano senza colpa ignorate, purché dette limitazioni, secondo la dottrina più attenta al fenomeno, possano essere controllate con ordinari mezzi, dovendosi in caso contrario considerare egualmente valido l’atto rappresentativo, in virtù della tutela dell’affidamento del destinatario della dichiarazione negoziale e della sicurezza del traffico giuridico.
Questi principi, peraltro, che nascevano dal coordinamento tra il testo del secondo comma dell’art. 12 L.C. in relazione all’art. 2298 c.c., e sulla cui base si sarebbe potuto fondatamente sostenere la sussistenza di un onere del destinatario dell’obbligazione cambiaria di accertarsi dei poteri di rappresentanza degli amministratori di una società commerciale, pur rimanendo validi per le società di persone, hanno subito una sostanziale evoluzione nel caso delle società di capitali.
Con il secondo comma dell’art. 2384 c.c., infatti, nel testo riformato dal D.P.R. n. 1127-69, si è introdotto un principio del tutto opposto a quello derivante dalla correlazione tra art. 12 L.C. e l’art. 2298 c.c., ed in base al quale le limitazioni statutarie al potere di rappresentanza degli amministratori nell’ambito dell’oggetto sociale, pur debitamente pubblicate nell’atto costitutivo e nello statuto, non possono essere fatte valere se non nell’ambito dell’agire intenzionalmente in danno. La società, quindi, che intenda fare valere detti limiti al potere di rappresentanza, deve dimostrare che il terzo abbia agito intenzionalmente in danno della società, escludendosi per ciò stesso sia la sussistenza di un onere del terzo di accertarsi preventivamente delle limitazioni dei poteri dell’amministratore con rappresentanza, sia la rilevanza, in quanto tale, della conoscenza di detti limiti.
Nel contrasto evidente tra la disciplina dell’art. 12, secondo comma, della Legge Cambiaria e del secondo comma dell’art. 2384 c.c., l’insegnamento di questa Corte, cui si ritiene di dovere dare continuità (Cass. sent. n. 3360-85), ha statuito che la regola applicabile, anche se l’obbligazione si riferisca all’assunzione di obbligazioni cambiarie, è quella dell’art. 2384 comma 2 c.c. che toglie valore, salvo il dolo del terzo, ai limiti risultanti dall’atto attributivo del potere di rappresentanza, anche se pubblicato.
Secondo questo indirizzo, la carenza probatoria rilevata dalla Corte del merito in relazione all’elemento essenziale dell’agire intenzionalmente in danno, non può certo essere superata dalla ipotizzata negligenza della banca per non avere accertato la sussistenza di detti limiti, volta che un onere di diligenza di tal tipo non emerge dalla disciplina dell’art. 2384 c.c. Ed inoltre perché, quand’anche la prova di detta conoscenza fosse stata data, essa non sarebbe ancora sufficiente a reggere la dimostrazione dell’intenzionalità dell’azione pregiudizievole.
All’infondatezza della tesi principale svolta dalla ricorrente sul punto, consegue la irrilevanza in ordine alla dedotta mancanza di prova dell’attinenza dell’emissione delle cambiali in controversia all’oggetto sociale, volta che, in relazione alla disciplina dell’art. 2384-bis c.c. è onere incombente alla società, che adduca la non vincolatività dell’obbligazione assunta dall’amministratore con rappresentanza, quello di dimostrare la carenza di buona fede del terzo in relazione all’estraneità dell’atto negoziale all’oggetto, per cui la società stessa non può giovarsi della semplice mancanza di dimostrazione della attinenza dell’atto all’oggetto.
Anche sotto questo profilo, di conseguenza, il mezzo di cassazione in esame non merita accoglimento.
Con il terzo mezzo la ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 5 L.C., con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., sostenendo che erroneamente la Corte di merito aveva concesso all’opposto gli interessi nella misura bancaria, volta che tale tasso convenzionale non venne indicato con scrittura; assume, quindi, che gli interessi avrebbero dovuto essere riconosciuti al tasso legale.
Sul punto, a parte il rilievo che la s.r.l. Immobiliare Latina, chiedendo alla banca il rinvio degli atti, si era obbligata a corrisponderle i normali interessi passivi bancari, con una scrittura che, pur non contenuta nel titolo, obbligava le parti, vi è da rilevare che sul punto la Corte del merito non ha emesso una specifica pronuncia, limitandosi sul punto alla conferma della sentenza di I grado, in quanto dalle specifiche conclusioni formulate in grado di appello dalla società, quali riprodotte nell’epigrafe della sentenza, non emergeva affatto che detta questione fosse stata oggetto specifico di impugnazione, per cui inammissibile ne è la proposizione per la prima volta in sede di giudizio di legittimità.
Alla soccombenza della ricorrente consegue l’obbligo della rifusione delle spese del giudizio di legittimità.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità (120.000) liquidando gli onorari in L. 2.000.000. (Omissis).