I procedimenti di nuova opera e di danno temuto – i cui presupposti, com’è noto, sono indicati negli articoli 1171 e 1172 del Codice Civile – sono considerati dal Codice di procedura civile (che ne tratta negli artt. 688 ss.) una species del più ampio genus dei procedimenti cautelari: ad essi, quindi, si applica tutta la normativa (artt. 669bis e ss.) da noi esposta nella premessa apposta al precedente paragrafo, a cui rinviamo.
Con però le seguenti tre particolarità (derivanti dalla loro assimilazione ai “procedimenti anticipatori”- co.6 art. 669octies):1) nel caso di emissione del provvedimento cautelare, l’instaurazione della causa di merito é facoltativa (in quanto non si applicano né il primo comma art.669octies né il primo comma art.669novies); 2) nel caso di estinzione della causa di merito, eventualmente intrapresa, il provvedimento cautelare non perde efficacia (dato che, ripeto, non si applica il primo comma art. 669novies); 3) a conclusione della procedura il giudice deve disporre sulle spese (comma sette art. 669octies).
Di seguito l’iter di una procedura susseguente a una “denuncia” proposta ant causam.
1- Redatto il ricorso (formula A) si iscrive la causa a ruolo. Vale quanto detto nel numero uno dell’iter di un ricorso per sequestro (vedi paragrafo precedente).
2- Lasciati passare alcuni giorni, si controlla, visitando la cancelleria, qual’è stato il provvedimento del giudice. Di solito il giudice in calce al ricorso avrà fissata udienza per la comparizione delle parti, ponendo a carico del ricorrente la notifica, alle controparti, del suo decreto.
3- All’udienza come sopra fissata (o in una successiva) il giudice, sentite le parti, vista la documentazione da queste prodotta, sentiti gli “informatori” da queste indicati, insomma, istruita la causa, prenderà le decisioni di cui agli artt. 1171, 1172 (ad esempio imporrà al “resistente” di non proseguire nell’opera intrapresa, di rinforzare il muro pericolante e così via) e provvederà sulle spese del procedimento (vedi meglio il comma 7 dell’art.669 – octies). E la procedura finirà così.
Ma, si domanderà, se la parte, alla quale è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto, contravviene all’ordine (ad esempio, invece di por termine all’opera nuova, la prosegue)? Ebbene, in tal caso si applicherà l’art.691, il quale stabilisce che “il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del contravventore”. E, a nostro modesto parere, il giudice, così come può intervenire in caso di inottemperanza ad un ordine di non fare, così può intervenire nel caso di inottemperanza ad un ordine di fare (“tu, non hai provveduto alle opere di contenimento del muro pericolante? Ebbene io, giudice, dispongo che esse siano fatte a tue spese”).
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Sanguineti, Pratica civile ragionata
Key Editore