Sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE della REPUBBLICA presso la CORTE d’APPELLO di TRIESTE;
nei confronti di:
L.S., (OMISSIS);
avverso la sentenza 1138/16 del GUP presso il TRIBUNALE di UDINE in
data 18/10/2016;
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott.
Antonio BALSAMO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Il G.i.p. presso il Tribunale di Udine ha dichiarato L.S. responsabile del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma
2, lett. b), così riqualificata l’originaria ipotesi di cui al comma 2, lett. c), dello stesso articolo.
Questa, in sintesi, la vicenda come ricostruita nella sentenza impugnata. Il giorno (OMISSIS), intorno alle ore 01:30, l’imputata – coinvolta in un sinistro – veniva rinvenuta priva di
coscienza all’interno di un’autovettura e trasportata presso l’ospedale civile di (OMISSIS) per le cure del caso. Il suo apparente stato di ebbrezza alcolica ne determinava la sottoposizione all’esame ematico per la verifica del tasso alcolemico. Il prelievo era avvenuto a fini d’indagine e non per necessità terapeutica, avendo le forze dell’ordine esplicitamente richiesto tale accertamento, come emergeva dal modulo utilizzato per il consenso informato, sottoscritto dall’imputata, documento dal quale era parimenti emersa l’assenza del previo avviso all’interessata della facoltà di farsi assistere da un difensore.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Trieste, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento alla ritenuta inutilizzabilità dei risultati dell’accertamento sanitario. In particolare, il ricorrente, pur consapevole dell’indirizzo di questa Corte sulla distinzione tra il prelievo ematico effettuato in ambito sanitario secondo gli ordinari protocolli del pronto soccorso, che non rientra tra gli atti di P.G. per i quali la legge impone l’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., e quello effettuato, sempre in ambito sanitario, ma a seguito di richiesta da parte della P.G., sul presupposto della individuazione di indizi di reato a carico del soggetto ricoverato, per il quale la mancanza di tale avviso determina una nullità di ordine generale, ha rilevato, di contro, che l’accertamento sanitario sarebbe imposto dalla legge in caso di incidente, a prescindere dall’esistenza di indizi di reato in capo al conducente, con la conseguenza che gli accertatori avrebbero l’obbligo di richiedere l’esame ai sanitari della struttura ove il conducente sia stato condotto in ogni caso in cui lo stesso risulti coinvolto in un incidente. Da tale premessa, il deducente fa discendere la conseguente arbitrarietà di una distinzione delle modalità di accertamento del reato nel caso di ricovero del conducente coinvolto in un sinistro, a fronte della non chiarezza di ciò che si intende per “protocollo sanitario”, tenuto conto che le funzioni istituzionali del personale sanitario non rientrano fra quelle di cui all’art. 55 c.p.p. e ss., e che il prelievo del sangue ed il successivo esame di laboratorio, pur potendo essere utilizzati come fonti di prova nel processo penale, non costituiscono tipici atti investigativi.
Con memoria a firma di difensore, L.S. ha contestato il contenuto del ricorso, opponendo l’inattendibilità del dato emerso dalla prova ematica, effettuata a distanza di oltre 5 ore dal sinistro e rilevando che il giudice di merito avrebbe fondato la sua decisione sulla scorta di elementi inidonei a contrastare il parere scientifico allegato a difesa. Sotto altro profilo, ha obiettato che il prelievo ematico sarebbe stato eseguito dai sanitari su incarico delle forze dell’ordine e che, pertanto, esso deve considerarsi vero e proprio atto d’indagine, per il quale opera l’obbligo di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p., contestando il ragionamento del ricorrente alla stregua del diritto alla difesa, costituzionalmente garantito e chiedendo il rigetto del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato.
Nell’impugnata sentenza si afferma che l’accertamento compiuto dal personale sanitario è conseguito al fatto che gli operanti avevano trovato la L. – in stato di incoscienza – all’interno dell’autovettura, in palese stato di ebbrezza. Per tale ragione, costoro avevano richiesto al personale sanitario di sottoporre la donna a prelievo ematico per la verifica del tasso alcolemico, esame, tuttavia, non preceduto dall’avviso alla stessa della facoltà di farsi assistere da un difensore, sebbene si trattasse di attività espletata unicamente in conseguenza della richiesta degli organi accertatori e non nell’ambito di un protocollo medico-terapeutico. Pertanto, pur ritenendo provato, in base alle risultanze dall’annotazione di P.G., uno stato di ebbrezza alcolica della donna al momento del sinistro, il G.u.p. ha ritenuto l’inutilizzabilità dell’atto di accertamento a fini probatori, siccome affetto da nullità di ordine generale, tempestivamente eccepita dall’imputata, procedendo alla derubricazione del reato nell’ipotesi più lieve prevista dall’art. 186 C.d.S., per il principio del favor rei.
Il motivo è infondato. Il tema introdotto dal motivo di ricorso chiama direttamente in causa la natura degli accertamenti esperiti ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 5, nel caso di conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, e pone il problema, già dibattuto in giurisprudenza, della valenza probatoria di essi, allorchè vengano espletati a seguito di richiesta degli organi di polizia. Com’è noto, l’accertamento del tasso alcolemico può essere operato direttamente dalla polizia giudiziaria, mediante esame spirometrico, avvalendosi cioè di apposito apparecchio di misurazione in dotazione (c.d. etilometro), oppure attraverso le metodologie cliniche e analitiche in uso alla struttura sanitaria o l’esame dei liquidi biologici. Proprio con riferimento a tale seconda ipotesi, si è – anche di recente – chiarito che sussiste l’obbligo di previo avviso al conducente coinvolto in un incidente stradale di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 356 c.p.p., e art. 114 disp. att. c.p.p., in relazione al prelievo ematico presso una struttura sanitaria finalizzato all’accertamento del tasso alcolemico, qualora l’esecuzione di tale prelievo non avvenga nell’ambito degli ordinari protocolli sanitari, ma sia autonomamente richiesta dalla polizia giudiziaria (cfr. sez. 4 n. 3340 del 22/12/2016 Ud. (dep. 23/01/2017), Rv. 268885; n. 53293 del 27/09/2016, Rv. 268690, sez. F. n. 34886 del 06/08/2015, Rv. 264728).
Tale indirizzo deve essere ribadito, in linea generale, anche in questa sede, sebbene le argomentazioni del ricorrente meritino di ricevere una risposta che dia conto della delicatezza del tema rassegnato al vaglio di questo giudice e della necessità di individuare un netto discrimine tra le differenti situazioni prospettabili, sgombrando al contempo il campo da possibili interferenze tra i diversi piani in cui si articola l’attività della polizia giudiziaria e del personale sanitario e da equivoci che le stesse soluzioni interpretative possano ingenerare.
4.1. Ai fini di valutare la correttezza dell’operato della polizia giudiziaria e la sua conformità alle garanzie difensive dei soggetti controllati, nella fase dell’accertamento degli illeciti declinati nell’art. 186 C.d.S., comma 2, infatti, deve tenersi distinto il piano del diritto dell’individuo alla scelta consapevole di essere sottoposto ad atti potenzialmente lesivi della sua integrità fisica, da quello più strettamente correlato al suo diritto di difesa. Quanto al primo profilo, qui non rilevante, deve soltanto ribadirsi che la mancanza di consenso dell’imputato al prelievo del campione ematico per l’accertamento del reato di guida in stato d’ebbrezza non costituisce una causa di inutilizzabilità patologica degli esami compiuti presso una struttura ospedaliera, posto che la specifica disciplina dettata dall’art. 186 del nuovo codice della strada – nel dare attuazione alla riserva di legge stabilita dall’art. 13 Cost., comma 2 – non prevede alcun preventivo consenso dell’interessato al prelievo dei campioni (cfr. sez. 4 n. 1522 del 10/12/2013 Ud. (dep. 15/01/2014), Rv. 258490; n. 10605 del 15/11/2012 Ud. (dep. 07/03/2013), Rv. 254933 (in cui la S.C. ha, tuttavia, chiarito che il prelievo non sarebbe effettuabile laddove il paziente rifiutasse espressamente di essere sottoposto a qualsiasi trattamento sanitario); n. 15189 del 18/01/2017, Rv. 269606). Quanto al secondo aspetto, invece, esso riguarda direttamente il tema all’esame e concerne la ratio giustificatrice dell’obbligo disciplinato dall’art. 114 disp. att. c.p.p., la cui violazione determina una nullità ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 356 c.p.p., sulla natura della quale è sufficiente un semplice rinvio all’orientamento, ormai consolidato, di questa Corte (cfr. Sez. U. n. 5396 del 29/01/2015, P.G. in proc. Bianchi).
4.2. Tale previsione introduce direttamente i temi che il ricorso ha posto all’attenzione di questo giudice di legittimità, soprattutto con riferimento ai casi – non infrequenti – in cui l’atto di polizia giudiziaria proceda, per così dire, parallelamente rispetto all’accertamento eseguito in ambito medico, allorchè il soggetto controllato venga cioè trasportato, a seguito di incidente stradale, presso un presidio sanitario e ivi sottoposto alle cure del caso. Proprio con riferimento a tale specifico profilo, il ricorrente assume che, nel caso di incidente stradale, la polizia giudiziaria avrebbe l’obbligo di disporre in ogni caso il trasporto in ospedale dei soggetti coinvolti, sicchè la richiesta di esecuzione dell’esame prescinderebbe dalla sussistenza di indizi di reità a carico del conducente, discendendo direttamente dalla legge, nel caso in cui costui sia coinvolto in incidente stradale.
4.3. La soluzione ermeneutica non è condivisibile. L’art. 186 C.d.S., comma 5, nel disciplinare il metodo di accertamento del tasso alcolemico mediante esami clinici e analitici, prevede espressamente le concomitanti condizioni del coinvolgimento dei soggetti in un incidente stradale e della loro sottoposizione a cure mediche. Da ciò è lecito dedurre che la seconda condizione non sia inscindibilmente legata alla prima e che, ove non ci sia stato il trasporto presso una struttura sanitaria, la verifica del tasso alcolemico avvenga con le forme di cui al comma 4, del medesimo articolo da parte della P.G., che si avvarrà, quindi, della strumentazione in dotazione, secondo le procedure stabilite nel regolamento. A conferma di tale assunto, pare utile un richiamo al comma 4 citato, nel quale il legislatore indica i casi nei quali la P.G. procede a verifica mediante le apparecchiature in dotazione (vale a dire: nel caso di positivo esito dell’esame speditivo di cui al precedente comma 3; nel caso, per l’appunto, di incidente; quando abbia motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool). Se ne ricava, come logico corollario, che la P.G. può ricorrere alla misurazione mediante etilometro anche in caso di conducenti coinvolti in incidente stradale e che non sussista, in tali ipotesi, alcun obbligo di delegare l’accertamento del tasso alcolemico ad un presidio sanitario.
Sgombrato il campo da tale iniziale equivoco, l’attenzione deve ora spostarsi sul piano della natura degli accertamenti cui il soggetto, coinvolto in un incidente stradale, può essere sottoposto e dai quali emergano elementi di valutazione dello stato di alterazione psicofisica da assunzione di alcool, a seconda cioè che tali esiti siano contenuti nella documentazione rilasciata dall’apparecchio in dotazione della polizia giudiziaria, oppure in una certificazione sanitaria, eventualmente estesa alla prognosi delle lesioni accertate. Trattasi – in entrambi i casi – di atti certamente utilizzabili nel processo penale ai fini dell’accertamento di una condotta del conducente rilevante ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b) o c), (sul punto, è sufficiente un rinvio all’orientamento consolidato di questa sezione, rinvenibile in varie pronunce, tra le quali, con riferimento all’apparecchio etilometro, cfr. sez. 4 n. 32631 del 07/06/2017, Rv. 270422; n. 15187 dell’08/04/2015, Rv. 263154; n. 45514 del 07/03/2013, Rv. 257696; n. 41084 del 04/10/2011, Rv. 251117; mentre, con riferimento agli accertamenti in ambito sanitario, cfr. sez. 4 n. 10605 del 15/11/2012 Ud. (dep. 07/03/2013), Rv. 254933; n. 1522 del 10/12/2013 Ud. (dep. 15/01/2014), Rv. 258490); ma tale equipollenza probatoria non elide le diversità afferenti alla natura degli atti e alle condizioni cui soggiace la loro utilizzabilità nel processo penale.
5.1. Nel primo caso, infatti, si tratta di un vero e proprio atto di polizia giudiziaria, equiparabile a quelli previsti negli artt. 352 e 354 del codice di rito, al quale, pertanto, ha facoltà di assistere il difensore dell’indagato e soltanto in relazione al quale, proprio in considerazione della sua vocazione probatoria e della conseguente necessità di un controllo sulla regolarità dell’operato della polizia giudiziaria, il legislatore ha previsto l’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. (cfr. Sez. U. n. 15453 del 29/01/2016, Giudici, Rv. 266335), norma che va ad integrare la previsione di cui all’art. 356 c.p.p., rendendo concretamente esercitabile il diritto ivi previsto, attraverso l’avvertimento all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Tale apparato di facoltà e garanzie è direttamente collegato alla natura dell’atto (un accertamento, cioè, che s’inserisce nel corso di un’attività endoprocessuale), alla qualità dei soggetti che lo pongono in essere e alla posizione dialettica che costoro assumono rispetto all’indiziato di un reato e si giustifica in ragione del fatto che le fonti di prova così assicurate verranno acquisite al dibattimento attraverso i meccanismi propri del processo penale. Esso è, peraltro, coerente con il disposto di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p., secondo cui, quando “nel corso di attività ispettive o di vigilanza (…) emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (…) sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice” (cfr., sul punto, in motivazione, Sez. U., n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi). Ciò spiega perchè l’obbligo di dare l’avviso ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p., non sussiste nel caso in cui il conducente del veicolo sia sottoposto agli accertamenti qualitativi non invasivi e alle prove previsti dall’art. 186 C.d.S., comma 3: essi hanno funzione meramente preliminare rispetto a quelli eseguiti mediante etilometro e, come tali, restano estranei alla categoria degli accertamenti di cui all’art. 354 c.p.p. (cfr. Sez. U. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263025). L’esame mediante il c.d. “precursore”, infatti, costituisce un’attività informale della Polizia Giudiziaria, diretta ad assicurare le fonti di prova mediante un’azione di ricerca, individuazione e conservazione, sostanzialmente libera nei modi del suo svolgimento in quanto, non riguardando direttamente la formazione della prova, non è necessario assicurare che essa non trasmodi in arbitrio (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 40755 del 12/07/2017 (in fattispecie nella quale la Corte ha fatto applicazione dei principi rinvenibili nella sentenza delle Sez. U. n. 15453 del 29/01/2016, Giudici)).
5.2. Nel secondo caso, invece, l’accertamento del tasso alcolemico avviene nel diverso contesto delle cure approntate dal personale sanitario della struttura, presso la quale il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro venga condotto, seguendo un protocollo che ha fini ben più ampi di quello esclusivo dell’accertamento del tasso di concentrazione alcolica. Tale attività non è finalizzata alla ricerca delle prove di un reato, ma alla cura della persona e nulla ha a che vedere con l’esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto sottoposto a quel trattamento o a quelle cure, cosicchè non sussiste alcun obbligo di avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p. (cfr. sez. 4 n. 53293 del 27/09/2016; Rv. 268690; sez. 6 n. 43894 del 13/09/2016, Rv. 268505). La successiva utilizzabilità dell’atto in sede processuale va quindi equiparata a quella di un documento e non può considerarsi atto di polizia giudiziaria, anche ove l’acquisizione sia avvenuta ad iniziativa di questa, ma dopo che l’accertamento sanitario sia già stato avviato, esclusivamente nell’ambito di quel protocollo. Ove, invece, l’esecuzione del prelievo da parte di personale medico non avvenga nell’ambito degli ordinari protocolli sanitari, ma sia espressamente richiesta dalla polizia giudiziaria al fine di acquisire la prova del reato nei confronti di soggetto già indiziato, il personale richiesto finisce per agire come vera e propria longa manus della polizia giudiziaria e, anche rispetto a tale accertamento, scatteranno le garanzie difensive sottese all’avviso di cui all’art.114 più volte richiamato (cfr., in termini, sez. 4 n. 3340 del 22/12/2016 Ud. (dep. 23 /01/2017), Tolazzi). In tale ipotesi, cioè, la polizia giudiziaria non farebbe altro che avvalersi di una facoltà espressamente attribuita dalla legge: l’art. 348 c.p.p., comma 4, prevede, per l’appunto, che “La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera”, precisandosi che il ricorso alla collaborazione di tali ausiliari non richiede che costoro siano individuati con l’osservanza delle forme e delle modalità previste per la nomina del consulente tecnico del pubblico ministero (cfr. sez. 3 n. 16683 del 05/03/2009, Rv. 243462; n. 5818 del 10/11/2015 Cc. (dep. 12/02/2016), Rv. 266267). In altri termini, la polizia giudiziaria, in caso di incidente stradale, allorchè la persona sulla quale si siano già addensati indizi di reità con riferimento alle condotte descritte dall’art. 186 C.d.S., sia trasferita in ospedale, ma non sottoposta ad autonomo intervento di soccorso e cura, può anche decidere, anche solo per ragioni di tipo organizzativo, di non procedere con l’esame spirometrico, ma di delegare l’accertamento del tasso alcolemico al personale sanitario che ha ricevuto il soggetto. L’avviso, obbligatorio in tal caso, potrà essere dato anche dal personale sanitario richiesto, atteso che esso non necessita di formule sacramentali, ma deve essere idoneo a raggiungere lo scopo, che è quello di avvisare colui che non possiede conoscenze tecnicoprocessuali, del fatto che, tra i propri diritti, vi è la facoltà di nominare un difensore che lo assista durante l’atto (cfr. sez. 4 n. 15189 del 18/01/2017, Rv. 269606; sez. 3 n. 23697 dell’01/03/2016, Rv. 266825).
Proprio in tale diversità risiede il discrimine rilevante ai fini della presente decisione: chiarito infatti che la necessità dell’avviso non è ricollegata alla tipologia dell’accertamento esperito (esame spirometrico o clinico), ma alla funzione dell’atto e alla sua esclusiva vocazione probatoria, alla stregua di tale presupposto possono essere risolti i problemi derivanti dalle interferenze cui sopra si è accennato. L’obbligo di dare l’avviso ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p., sussisterà, pertanto, non solo nel caso – del tutto pacifico – in cui la polizia giudiziaria proceda ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 4, all’accertamento del tasso alcolemico mediante apparecchiatura in dotazione (c.d. etilometro), ma anche in quello, apparentemente dissimile, in cui essa opti per la delega di tale verifica al personale sanitario, ai sensi dell’art. 186, comma 5 stesso codice, allorchè il conducente di un veicolo, coinvolto in incidente stradale, sia cioè sottoposto alle cure mediche. In tale ipotesi, ove l’esame clinico sia stato condotto su richiesta dell’organo di polizia nei confronti di soggetto già indiziato di una condotta rilevante ai sensi dell’art. 186 C.d.S., l’accertamento dovrà essere considerato alla stregua di un vero e proprio atto d’indagine, per il quale, quindi, opereranno le garanzie processuali proprie di tale categoria di atti e, tra queste, l’obbligo dell’avviso ex art. 114 disp. att.. Quando, invece, la richiesta sia giustificata dalla necessità di ricercare le prove del reato, nei confronti di soggetto che risulti già indiziato, che sia sottoposto alle cure mediche del caso e versi in condizioni di comprendere il significato dell’avviso ex art. 144 disp att., la necessità di tale preventivo adempimento sorgerà solo allorquando l’esame richiesto non rientri nel protocollo sanitario autonomamente avviato dal personale medico, ma costituisca un accertamento eccentrico ed ulteriore rispetto ad esso, che il personale sanitario richiesto, cioè, non avrebbe altrimenti espletato. Sotto tale profilo, non si apprezza, invero, nella locuzione “protocollo sanitario” alcuna equivocità, come pure evidenziato dal ricorrente: ai fini d’interesse, infatti, rileva unicamente la circostanza che la verifica del tasso di concentrazione alcolica abbia determinato l’esecuzione di un esame clinico non necessitato dalle finalità terapeutiche proprie del caso concreto, ciò che solo il personale sanitario stesso può evidentemente attestare. Tale conclusione, peraltro, si pone solo in apparente contrasto con quanto già affermato da questa sezione a proposito dei presupposti in base ai quali la polizia giudiziaria può richiedere al personale sanitario l’accertamento del tasso alcolemico a norma dell’art. 186 C.d.S., comma 5: se è vero che la norma non richiede che siano emersi indizi di reità a carico del soggetto sottoposto ad accertamento, ma solo che si tratti di soggetti coinvolti in un sinistro stradale e sottoposti a cure mediche (cfr. sez. 4 n. 53293 del 27/09/2016, Scuri), l’assunto non esime il giudice dalla necessaria verifica della necessità dell’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p.. Cosicchè, può formularsi il seguente principio di diritto: “nell’ipotesi in cui la polizia giudiziaria proceda ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 5, sussiste l’obbligo di dare l’avviso di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p., allorchè il conducente sia già indiziato di reato, al momento in cui la P.G. ha inviato al personale sanitario la richiesta di procedere ad esami clinici per la verifica del tasso alcolemico, e se l’accertamento non venga espletato a fini di cura della persona, ma sia eccentrico rispetto alle finalità terapeutiche del caso concreto e unicamente finalizzato alla ricerca della prova della colpevolezza del soggetto indiziato”. Nel primo caso, dubitare della natura di atto di polizia giudiziaria dell’accertamento eseguito varrebbe quanto ammettere la possibilità che, in taluni settori del diritto penale, possano essere compresse le prerogative difensive che il codice di rito prevede in ogni caso in cui – nel corso di attività ispettive o di vigilanza – emergano a carico di un soggetto indizi di reato. Nel secondo, invece, l’atto d’iniziativa avrà funzione meramente ricognitiva di un accertamento approntato dai sanitari a fini diagnostici, funzionalmente collegati alla cura dell’individuo e non alla ricerca delle prove di un reato.
Nel caso all’esame, la valutazione del giudice di merito è perfettamente allineata ai principi sopra esposti. La L., infatti, era stata trovata in stato d’incoscienza a bordo di un’autovettura e gli operanti, proprio per il “forte sospetto che la donna potesse essersi messa alla guida dopo aver assunto alcolici”, avevano deciso di inviare apposita richiesta di esami ematologici per la relativa verifica (cfr. comunicazione notizia di reato, ma anche annotazione di P.G., atti consultabili da questo giudice stante la natura processuale della dedotta violazione di legge). E’ lo stesso giudice di merito, pertanto, in base all’apprezzamento riservatogli, a correlare direttamente il palese stato di ebbrezza alcolica della conducente (e, quindi, il conseguente quadro indiziario già addensatosi sulla stessa) alla richiesta di un prelievo ematico finalizzato a verificarne il tasso di concentrazione di alcool nel sangue. Cosicchè, è del tutto corretta la conclusione che l’accertamento espletato dai sanitari avesse finalità investigativa e non curativa, considerato altresì che non è emerso, nè è stato allegato, che la donna, nell’occorso, sia stata sottoposta ad esami clinici o di altra natura, correlati ad indagini diverse dal solo accertamento alcolemico e tossicologico.
PQM
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017