Dott. Alberto Villani
La Corte di Cassazione sez.III con ordinanza del 12 novembre 2024 si è pronunciata nel modo che segue “ in tema di responsabilità professionale dell’avvocato la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito, con un orientamento ormai consolidato, che la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell’iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole (viene di frequente richiamata, al riguardo, l’antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato). Questo principio è stato affermato per lo più in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa, per il cliente, derivante da un’attività processuale che poteva essere compiuta e non è stata compiuta (v., tra le altre, la sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112, e le recenti ordinanze 19 gennaio 2024, n. 2109, e 6 settembre 2024, n. 24007). Tale giudizio si svolge, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Si è detto, in particolare, che in questa materia occorre “distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato” (così la citata sentenza n. 25112 del 2017, testualmente ripresa dalla successiva ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320)
Dalle lettura dell’ordinanza della Corte di Cassazione si evince, che l’accertamento della responsabilità per colpa del legale, presuppone una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale.
Il mero inadempimento da parte dell’avvocato, non è sufficiente ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, essendo necessario verificare che l’evento produttivo del danno sia riconducibile alla condotta del primo. Sarà necessario, altresì, verificare se un danno vi sia stato effettivamente e da ultimo, se, ove fosse stato tenuto il comportamento dovuto, il cliente avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.
L’onere della prova, in conformità a quanto previsto dall’art. 2697 c.p.c., grava su colui che agisce in giudizio e per l’attore potrebbe non essere per nulla agevole dimostrare il danno da lucro cessante, considerato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato, come da consolidata giurisprudenza.
Alla luce degli attuali orientamenti giurisprudenziali, risultano ancora isolati i casi di responsabilità professionale del legale, in ragione del gravoso onere probatorio incombente sull’assistito, lungi dall’essere sufficiente il mero esito negativo del giudizio ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria nei confronti dell’avvocato.