DECRETO CAIVANO: LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE MINORILE ALLA CONSULTA. RIFLESSIONI

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Pasquale avv. Lattari Curatore collana “Percorsi di giustizia riparativa” della Key Editore ed autore di monografie Key in materia. Mediatore esperto e formatore in giustizia riparativa iscritto elenco mediatori esperti in Giustizia riparativa Ministero Giustizia Responsabile delle attività di giustizia riparativa del Consultorio Familiare della Diocesi di Latina – sede sin dal 2006 dell’ufficio di mediazione penale in ambito minorile e dal 2017 della mediazione adulti ex lege 67 del 2014 – e responsabile Centro di Giustizia riparativa e mediazione penale minorile della Regione Lazio; corresponsabile del Centro Antiviolenza per minori ed adolescenti della Regione Lazio con sede a Latina a seguito protocollo con Garante Infanzia ed adolescenza della Regione Lazio.

  

Il cd Decreto Caivano «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale.» convertito con legge 159 del 2023 (In GU 266 del 14.11.2023) ha – tra le altre misure penali – introdotto norme nel codice di procedura penale minorile.

-L’art. 8 ha introdotto il nuovo art. 27-bis cppm “Percorso di rieducazione del minore” una nuova forma di definizione anticipata del procedimento penale nella fase delle indagini preliminari.[1]

-L’art. 6 ha aggiunto all’articolo 28 cppm (sospensione del processo e messa alla prova) il comma 5 bis che esclude la sospensione del processo con messa alla prova per il minorenne che ha commesso gravi reati (omicidio doloso violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravate, rapina aggravata).[2]

Ebbene proprio queste due novità sono state inviate al vaglio della Corte Costituzionale da parte di diversi giudici minorili chiamati ad applicarle.

1-Sull’art. 27 bis cppm. , il giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Trento c on ordinanza del 6 marzo 2024ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 perché in contrasto con gli artt. 3 e 31, comma 2, Cost.[3] 

Afferma il giudice che nel nuovo procedimento:

– vi è carenza di elementi conoscitivi per valutare il contenuto del programma ai fini della valutazione della funzione educativa della misura finalizzata alla crescita, maturazione e responsabilizzazione del minore in assenza di elementi atti a provare le risorse personali l’ambiente familiare e della rete amicale, della frequenza scolastica o lavorativa

 la decisione del giudice verte solo sulla congruità e proporzionalità del percorso di reinserimento e rieducazione, ma il giudice minorile ha ritenuto carenti gli elementi conoscitivi indispensabili per valutare tale congruità rispetto al fine cui è preposto il procedimento ex art. 27 bis cppm

ma …«una siffatta valutazione implicherebbe una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile»

– la composizione monocratica del GIP – giudice della fase di indagine – è privo dell’apporto della componente onoraria – prevista per il GUP ed il Tribunale – per la valutazione ai fini educativi e personalistici

Tali aporie e problematicità «risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall’istituto delineato dall’art. 27-bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento»

 Il contrasto, in particolare, appare essere con l’art. 31, comma 2, Cost.- tutela e protezione dell’infanzia e gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo – dell’art. 27 bis in quanto prevede «una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che di tipo educativo» finalizzata alla celerità e deflattività nelle ipotesi di reati di lieve offensività.

E ciò fa assimilare tale nuovo procedimento ad una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto di cui all’art. 27 D.P.R. n. 448/1988 che richiede anche l’occasionalità del comportamento.

Ma l’art. 27-bis si applica anche nelle fattispecie di reato in cui «l’agito deviante, per quanto di lieve entità, non può dirsi occasionale, e quindi necessita di un intervento giudiziario e osta all’immediata fuoriuscita dal processo penale, tramite la sentenza di non luogo a procedere ex art. 27 d.P.R. n. 448/1988».

E quindi ciò è irragionevole …«a fronte di un reato non particolarmente offensivo, né però occasionale, è possibile addivenire, in tempi ristretti, a una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato all’esito del corretto svolgimento di determinate attività, individuate dallo stesso minore, a sfondo socio-lavorativo» …e senza approfondimento e presa in carico del minore come nella messa alla prova: «dietro alla commissione di un reato, non particolarmente grave, né punito dalla legge severamente, possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall’attività di indagine penale propriamente intesa» e, in questa prospettiva, «il fatto reato diventa quindi l’occasione per intercettare il disagio giovanile e assumere quelle misure, seppur non prive anche di una componente afflittivo-retributiva, volte, da un lato, al contrasto della devianza e, dall’altro, alla cura dei bisogni educativi del minore».

Il proc.to penale minorile è appunto questa “occasione educativa” con la quale «risultano pienamente attuati, in tutta la loro forza semantica, i precipitati costituzionali secondo cui la Repubblica protegge la gioventù ed è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Ma le carenze e la celerità e deflattività dell’istituto esclude anche l’apporto dei giudici onorari esperti – di un sapere pedagogico necessario alla valutazione della persona del minore – in quanto il GIP è monocratico.

La tempistica calzante del proc.to – non solo onera la difesa di compiti difficoltosi – ma impedisce anche idoneo intervento dei servizi minorili del Ministero della giustizia che intervengono non elaborando un programma ma appaiono essere di mero supporto al difensore del minore individuando delle attività (lavori di pubblica o con enti del terzo settore) e…peraltro .«l’individuazione delle attività da inserire nel programma da presentare all’autorità giudiziaria non appare essere un’operazione di pronta soluzione e può rilevarsi specialmente difficoltosa per i minori che vivono in contesti familiari e in situazioni sociali periferiche e marginali»

Né è previsto alcun intervento dei Servizi alla fine del percorso: «l’assenza di una relazione, redatta a cura da un soggetto pubblico e altamente specializzato, qual è l’ufficio dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, impedisce di tenere in debita considerazione l’incidenza che l’espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione»

Il tutto conduce alla «impossibilità di assicurare la portata educativa della risposta trattamentale introdotta dall’art. 27-bis, e, allo stesso tempo, larvatamente, ne riesumano la funzione retributiva» … « di fronte a un reato asseritamente commesso da un minorenne, una meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo, scandita dal principio di proporzionalità, anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell’organo giudicante minorile».[4]

Su questi principi la Corte costituzionale:

 -ha ritenuto ragionevole e costituzionale l’esclusione dell’applicazione della messa alla prova del minore nella fase delle indagini preliminari a differenza della disciplina prevista per gli adulti, poiché l’essenziale finalità rieducativa «ne plasma la disciplina in senso rigorosamente personologico, rimanendo estraneo ogni obiettivo di economia processuale»[21]. Tale finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile preclude, inoltre, «un’eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni»[5]

-ha evidenziato come la composizione collegiale e interdisciplinare del collegio giudicante in sede di udienza preliminare minorile risponda alla complessità delle decisioni che tale giudice è chiamato ad assumere, tra le quali, appunto, l’eventuale sospensione del processo con messa alla prova

«poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante».[6]

2Sul comma 5 bis dell’ art. 28 cppm. Il Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, D.P.R. n. 448/1988 per contrasto con l’art. 31, comma 2, Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni che consentono l’applicazione della sospensione del processo con messa alla prova (art. 28, comma 1, D.P.R. n. 448/1988) non si possano applicare al delitto di violenza sessuale di gruppo, di cui all’art. 609-octies c.p., nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter c.p.[7]

Afferma nell’ordinanza che:

la preclusione introdotta dalla norma in esame appare in contrasto con tutto l’impianto normativo che regola il processo penale minorile e che trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 31, comma secondo, della Costituzione»

 -«costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato, ma anche di tutela dell’intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva»

– «impedisce il necessario bilanciamento tra le predette esigenze di sicurezza e ordine pubblico e quelle di “protezione dell’infanzia e della gioventù”, privilegiando automaticamente le prime»

«sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare la possibilità di valutare, caso per caso, le condizioni contingenti, per rendere la risposta del processo penale minorile aderente alla personalità del minore e maggiormente rispondente alle finalità rieducative, di recupero e di reinserimento sociale del minore autore di reato»

-«al fine del perseguimento di tali finalità e dell’individuazione della migliore risposta del sistema alla commissione del reato da parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale è il soggetto di minore età, il giudice è chiamato, di volta in volta, ad esaminare la personalità del minore imputato». Strumento principe è l’9 D.P.R. n. 448/1988, che prescrive di acquisire elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili.

-«sarebbe sommamente ingiusto punire un soggetto che, all’esito di un positivo percorso di messa alla prova, abbia conseguito un totale mutamento di vita e sia divenuto “altro” rispetto a quello che ha commesso il reato»

-«la possibilità di inserire, nel progetto di messa alla prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (consultorio familiare, neuropsichiatria infantile, SERD) e di supporto psicologico, utili nei delitti di relazione caratterizzati da dinamiche affettive disfunzionali (come nei casi di violenza sessuale e nei delitti di pedopornografia), riduce il rischio di recidiva, a beneficio della generalità dei consociati».

La Corte costituzionale – su questi principi – più volte ha affermato che

-la disciplina del rito minorile – proprio nel rispetto dell’art. 31, comma 2, Cost., -ha la finalità di recupero del minore e sull’opportunità di una sua rapida fuoriuscita dal circuito penale[8]

«la messa alla prova costituisce, nell’ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle indicate finalità della giustizia minorile»[9]

– aveva ritenuta illegittima la preclusione posta dall’art. 656, c. 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui vietava la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minori condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis l. 354/1975, in quanto si trattava di un «automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate, dirette a perseguire, con il recupero del minore, la finalità rieducativa della pena» ed «un rigido automatismo, fondato su una presunzione di pericolosità legata al titolo del reato commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche esigenze del minore»[10]

«la messa alla prova del minore è prevista per tutti i reati anche quelli di gravità massima, rispetto ai quali l’ordinamento sospende il processo in vista dell’eventuale estinzione del reato per finalità puramente rieducative, quindi non perché l’imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo perché, ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalità del minore»[11]

Conclusioni.

 Le motivazioni su cui si fondano i rinvii alla Consulta da parte dei giudici minorili nelle ordinanze suindicate non sono da poco.

Le norme introdotte dal decreto Caivano appaiono in contrasto con i principi della Carta costituzionale che sono la ratio stessa del processo penale minorile: una occasione educativa per il minore che ha commesso reati fondata sull’art. 31 co.2 Cost.ne e sull’art. 3 Cost.ne.

La novità legislativa a parere delle ordinanze:

da un lato – art. 27 bis cppm – non consente un’adeguata valutazione della personalità del minore – sotto plurimi profili – consentendone una inidonea fuoriuscita dal circuito penale sin dalle indagini preliminari,

-dall’altro – co 5 bis dell’ art. 28 cppm – impedisce automaticamente al minore la possibilità di accedere alla messa alla prova e di rivisitare le proprie condotte non concedendo idonea opportunità in alcuni reati gravi.

In entrambe le ipotesi le norme processuali del decreto Caivano appaiono non consone – anzi distoniche – ai fondamenti ed ai principi su cui si fonda il processo penale minorile.

A parere dei giudici remittente, in sostanza, il legislatore del decreto Caivano non è stato in grado di coglierne i fondanti principi ispiratori che non tollerano le finalità che hanno ispirato tali interventi da un lato deflattivo e di celerità (art.27 bis) e dall’altro retributivo e sanzionatorio (co. 5 bis art.28 cppm ).

Attendiamo le decisioni della Consulta.

[1] «Art. 27-bis (Percorso di rieducazione del minore). — 1. Durante le indagini preliminari, il pubblico ministero, quando procede per reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, se i fatti non rivestono particolare gravità, può notificare al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale la proposta di definizione anticipata del procedimento, subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e nel rispetto della legislazione in materia di lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da due a otto mesi.

  1. Il deposito del programma rieducativo, redatto in collaborazione anche con i servizi dell’amministrazione della giustizia, deve avvenire, da parte dell’indagato o del suo difensore, entro sessanta giorni dalla notifica della proposta del pubblico ministero. Ricevuto il programma, il pubblico ministero lo trasmette al giudice per le indagini preliminari, che fissa l’udienza in camera di consiglio per deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione.
  2. Il giudice, sentiti l’imputato e l’esercente la responsabilità genitoriale, valutata la congruità del per- corso di reinserimento e rieducazione, con l’ordinanza di ammissione di cui al comma 2 ne stabilisce la durata e sospende il processo per la durata corrispondente. Durante tale periodo il corso della prescrizione è sospeso.
  3. In caso di interruzione o mancata adesione al percorso, i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia informano il giudice, che fissa l’udienza in camera di consiglio e, sentite le parti, adotta i provvedimenti conseguenti.
  4. Nel caso in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento e rieducazione o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 del codice di procedura penale. L’ingiustificata interruzione è valutata nel caso di istanza di sospensione del processo con messa alla prova.
  5. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza in camera di consiglio nella quale, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo, dichiara con sentenza estinto il reato. In caso contrario, restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 del codice di procedura penale».

[2] «5-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai delitti previsti dall’articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sen- si dell’articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 609-ter, e dall’articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del codice penale»

[3] Sull’ordinanza di Trento si veda più compiutamente : L. Camaldo https://www.sistemapenale.it/it/scheda/camaldo-al-vaglio-della-corte-costituzionale-il-percorso-di-reinserimento-e-rieducazione-del-minore-ai-sensi-dellart-27-bis-dpr-n-448-1988-cd-messa-alla-prova-semplificata-recentemente-introdotto-dal-decreto-caivano

[4] Tuttavia per una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 27 bis cppm si veda A. Zampini in https://www.sistemapenale.it/it/articolo/zampini-un-percorso-di-rieducazione-accidentato-sul-piano-normativo-ma-non-incostituzionale-spunti-per-la-messa-in-sicurezza-dellart-27-bis-dpr-n-448

[5] Corte costituzionale sentenza 139 del 2020

[6] Corte costituzionale sentenza. 1 del 2015

[7] Sull’ordinanza di Bari si veda più compiutamente L. Camaldo in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/camaldo-condivisibili-dubbi-di-legittimita-costituzionale-della-disposizione-introdotta-dal-decreto-caivano-che-prevede-alcuni-reati-ostativi-alla-concessione-della-messa-alla-prova-minorile

[8] Corte costituzionale sentenza 125 del 1992

[9] Corte costituzionale sentenza 125 del 1995

[10] Corte costituzionale sentenza 90 del 2017

[11] Corte costituzionale sentenza 139 del 2020

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