I MINORI VITTIME DI ABUSI SESSUALI. RIFLESSIONI ESPERIENZIALI DI TUTELA*

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Pasquale avv. Lattari Curatore collana “Percorsi di giustizia riparativa” della Key Editore ed autore di monografie Key in materia. Mediatore esperto e formatore in giustizia riparativa iscritto elenco mediatori esperti in Giustizia riparativa Ministero Giustizia Responsabile delle attività di giustizia riparativa del Consultorio Familiare della Diocesi di Latina – sede sin dal 2006 dell’ufficio di mediazione penale in ambito minorile e dal 2017 della mediazione adulti ex lege 67 del 2014 – e responsabile Centro di Giustizia riparativa e mediazione penale minorile della Regione Lazio; corresponsabile del Centro Antiviolenza per minori ed adolescenti della Regione Lazio con sede a Latina a seguito protocollo con Garante Infanzia ed adolescenza della Regione Lazio.

* Le attività all’interno del Centro Antiviolenza per minori ed adolescenti della Regione LAZIO ci attivano riflessioni in punto di tutela dei minori vittime di reato di abuso. Vedi: https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=comunicatoDettaglio&id=3306

La piaga degli abusi sessuali. sui minori è insopportabile. E nonostante ciò in costante e tendenziale aumento. [1]

a vittima di abuso sessuale è soggetto – o peggio un “oggetto” – dispregiato dalle condotte dell’indicato autore posto in una situazione di inferiorità, di minorità; il trauma tocca le dignità ed i valori più profondi della personalità.[2]

Il reato – in generale – ridefinisce in peius la vita della vittima: la persona vittima vive uno “status” di cd vittimizzazione (primaria). Status complesso e profondo che persiste immutato [3] anche se solo apparentemente il tempo ed in parte la condanna del reo ne attenuano gli effetti; in realtà il dolore viene personalizzato, assorbito, ed integrato definitivamente nella vita della vittima con esiti spesso permanenti[4].

Ancor di più quando la vittima di abuso è un minore che diventerà adulto con ferite indelebili ed invisibili.

Abuso[5] è dizione comprensiva di tutti i reati gravissimi contro la persona in particolare contro la sua libertà: violenza sessuale (609 bis cp), atti sessuali con minorenne (609 quater cp) corruzione di minorenne (609 quinqiuies cp), e sfruttamento sessuale: prostituzione e pornografia minorile (600 bis e 600 ter cp) adescamento di minorenni (609 undecies cp).

Il minore vittima è ex se soggetto in condizione di particolare vulnerabilità[6] (art. 90 quater cpp) che si estende ai familiari.[7]

Tali crimini sono talmente gravi che appaiono essere “crimini che non si possono né punire né perdonare”.[8]….Dalla prospettiva della vittima come si può pensare davanti a tal pregiudizi alle vittime minori che l’imputato non sia colpevole???

La mostruosità del reato sembra far sospendere le regole del giudizio ed i principi cardini del processo: la presunzione d’innocenza, l’uguaglianza tra le parti, la terzietà del giudice, il ruolo della pubblica accusa e della difesa.

Per la vittima un’assoluzione dell’autore sarebbe una seconda morte: la negazione dei dolori che hanno vissuto e, soprattutto, il mancato riconoscimento della verità e del suo ruolo di vittima derivante dai reati sarebbe un ulteriore pregiudizio una ennesima vittimizzazione non più per mano dell’aggressore ma dell’istituzione pubblica.

Ma il rischio è l’essenza di ogni processo democratico…il processo giudiziario ha senso se non sia già tutto deciso…Il rischio di accuse infondate, azzardate o strumentali è sempre incombente.

Il processo penale è reocentrico: la vittima è mero testimone di quanto subito e – se si costituisce parte civile – può avanzare, previa condanna del reo, la richiesta di risarcimento danni e/o restituzioni per le conseguenze derivanti dal reato (art. 185 cp/ 2059 cc).

E tuttavia la vittima avanza una domanda di giustizia coincidente con il fine della Giustizia stessa del Tribunale: la verità dei fatti, l’accertamento del responsabile ed una pena congrua e giusta per il reo.

Lo status di vittima non è mai e non si esaurisce in un fatto ed in un’esperienza soggettiva o privatistica.

E tuttavia la giustizia è un evento pubblico non solo perché esercitata in via esclusiva da poteri pubblici (la magistratura giudicante ed inquirente, tutti gli organi di Polizia Giudiziaria ed istituti che provvedono a curare l’esecuzione della pena) “in nome del popolo italiano” ma anche perché

-si violano valori tutelati dalla norma penale che è indisponibile dalle parti (tranne che nei reati minori) e sottostanti al precetto penale che impone l’applicazione della pena

– violata è la persona del minore – protetta precipuamente dalla Costituzione (art. 31 co.2) – ne suoi diritti inalienabili e nella sua dimensione e relazionalità sociale.

La vittima chiede alla giustizia pubblica di essere riconosciuta nell’identità negata, nei suoi diritti calpestati, nei danni patiti.

Il percorso del riconoscimento attraverso il processo si nutre della condanna del reo, del risarcimento e degli indennizzi.

Ma il riconoscimento ha una dignità autonoma ed ex se: il processo costituisce pubblicamente le vittime che sono di nuovo degne di parola per narrare attraverso i fatti la sofferenza degna di ascolto ed accoglimento.

I fatti di reato vengono trasformati in narrazione, testimonianza con natura ed effetti pubblici.

La narrazione dei fatti non è riappropriarsi della propria dignità?? Avere uno spazio di giustizia – il processo – non è dare significato pubblico alla violenza sino ad allora muta e rimasta chiusa in ambiti e spazi privati intersoggettivi??

Tali ambiti di riconoscimento pubblico -peraltro complessi negli ambiti e riti processuali – vengono spesso negletti dagli operatori del processo. Anche perché vi è il rischio che il processo penale sia distolto dalle sue finalità proprie che sono appunto l’accertamento dei fatti, la riconducibilità alla condotta consapevole del reato e alla sua condanna. È, infatti, la persona del reo che rischia e patisce il potere e la forza del processo che rischia una condanna e la sofferenza della pena.

Al riconoscimento della vittima minore contribuisce anche la costituzione di parte civile -ex art. 91 cpp – di enti esponenziali degli interessi lesi dal reato ed istituzioni preposte a perseguire la tutela dell’infanzia ed adolescenza che si schierano accanto al minore anche in rappresentanza della comunità. Un esempio concreto – peraltro uno dei primi in Italia – è la costituzione della Garante infanzia ed adolescenza della Regione Lazio in un giudizio penale che vedeva lesi diritti di adolescenti.[9]

La presenza della vittima in tali meccanismi processuali tuttavia è anche rischiosa e comunque non risolutiva per i suoi dolori e traumi patiti dal reato. Si osserva.

Il meccanismo giudiziario astrae i fatti per incasellarli in istituti e riti processuali.

Invocare giustizia è anche definire…delimitare…e sentenziare… i fatti anche i più mostruosi debbono essere giuridicamente qualificati…formalmente definiti e limitati e racchiusi in un fascicolo…

C’è il rischio che fatti così gravi una volta ingabbiati, incasellati in atti e regole processuali perdano la loro gravità ed assolutezza diventando relativi, cartacei…ridotti…al pari di altri fascicoli…

E ciò attiva una insanabile contraddizione:

-il riconoscimento dell’unicità del proprio essere vittima con un nome ed un cognome ed essere riconosciuti dall’ordinamento come tali …anche dalla sentenza (si spera!!) e constatare che tale unicità solo la sentenza la può dare …ed al contempo constatare che anche tale agognato riconoscimento – unico, essenziale ed importantissimo per le vittime – tuttavia patisce relatività:

-i dolori la vita delle vittime sono divenuti un capo di imputazione, un fascicolo…una sentenza che mai potrà contenere i dolori dell’umanità colpita, dell’infanzia violata

-– il dolore patito dall’azione del reo – il proprium della vittima – resta fuori dalla scena processo – ob-scenum letteralmente – è osceno per la Giustizia del Tribunale.

Eppure la sofferenza patita è la molla che orienta le vittime – adeguatamente informate e tutelate – alla denuncia. E non solo per ottenere la condanna del reo ma anche per sterilizzare l’attività dell’indicato autore ed evitare che altri nelle stesse condizioni patiscano stessa sofferenza.[10]

Nel processo – a ben vedere – la testimonianza in generale deve essere esente da emozioni ed impressioni personali che anzi costituiscono fattori devianti rispetto ai fatti avvenuti.

La testimonianza e lo status di vittima nel processo riguarda i fatti come avvenuti ed il racconto è da verificare nella sua attendibilità e credibilità ben potendo essere frutto di strumentalizzazioni da parte di terzi.[11]

Ed il verificare l’attendibilità dei testimoni minori e vittime – operazione fisiologia in qualsiasi processo – risulta per la vittima minorenne di tali reati quasi sconveniente…

E nonostante ciò tali operazioni sono necessarie anche se temperate ed adeguate nella ritualità dall’ordinario andamento processuale: si pensi all’ascolto protetto dei minori dove è il giudice che pone su richiesta delle parti le domande per l’esame ed il controesame.

Anzi proprio lo status di vittime non attribuisce status di privilegio ma passa attraverso l’uguaglianza sostanziale e processuale delle parti.

Le vittime sono disorientate in tali meccanismi della giustizia: riportare l’evento a una categoria giuridica a formalismi procedimentali e processuali è vissuto con straniamento. Anche i luoghi della giustizia non sono accoglienti del dolore delle vittime: prendere posto in un aula di giustizia e conformarsi al ruolo processuale è desingolarizzare ed incasellare in un ruolo processuale…anche il ruolo di udienza – l’elenco dei processi affissi all’ingresso dell’aula d’udienza – rende una vittima uguale ad un’altra.

Proprio il rituale, i luoghi, i tempi del processo cercano di tenere lontani lo strepitus fori – l’allarme e il clamore che si innesta nell’opinione pubblica e nell’ambiente di relazione dei soggetti coinvolti – circa la mostruosità dell’imputato specie in reati del genere.

Tali clamori, infatti, rischiano alterare le condizioni di imparzialità e terzietà del giudice.

E tali operazioni processuali per la vittima sono fonte di ulteriore vittimizzazione. (cd secondaria)

Ma il processo è talmente indispensabile ed insostituibile per la verità che anche il rischio di ulteriori sofferenze per la vittima è subordinato al procedere della giustizia (anche se gli strumenti processuali – come visto – hanno meccanismi per attenuare l’impatto stigmatizzante sulle fragilità date dalla vulnerabilità della minore età).

Il processo penale è l’unico modo che abbiamo nella nostra civiltà moderna affinché un uomo possa rispondere delle proprie azioni dinanzi ad un giudice terzo che in via esclusiva ha il potere di giudizio per scongiurare e tenere immune il reo dall’istinto vendetta delle vittime[12].

La forza della giustizia risiede proprio in questo divari e rischi:

– tra la gravità dei fatti dell’umanità violata e l’universo delle regole giuridiche e processuali…

-tra l’insondabilità del mistero del male ed il prosaico di un’aula giudiziaria

L’ eccedenza che fuoriesce dal fascicolo e dalle carte degli accertamenti giudiziali è l’umanità della vittima minorenni e e dei mondi che li accompagnano ….i familiari, gli affetti…

Lo scarto ossia la differenza irriducibile che c’è tra l’umanità dei dolori e della loro incomprimibilità e le carte processuali …i ritmi processuali, le regole e le parti… si spera possa essere sanata con altri mezzi e strumenti e con il fluire della vita stessa che farà acquisire alle vittime nel loro stile di vita tali eventi…si spera in maniera non irrecuperabile… Sperando che il crimine non venga dimenticato…e le vittime tornino ad essere persone e non più vittime… È proprio attraverso i riconoscimento di tale status che si supera la vittimizzazione.

Ma tale eccedenza o scarto va adeguatamente accolta ed ascoltata in altri ambiti. Interventi ..sistematici ed integrati – si pensi a quelli dei Centri antiviolenza – con i vari servizi – sociali e territoriali – che possano trattare con interventi professionali ed a rete con tutte le istituzioni tali ambiti.[13] Trattasi dei servizi di cura della relazione tra persone ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale.[14]

Anche per il reo il processo ed il percorso di giustizia per il reo – anche se rischioso – è anche una opportunità di umanizzazione, di rieducazione.

Il reo è chiamato a rispondere delle proprie azioni attraverso il processo e la pena. E tuttavia anche all’imputato il processo ed a volte – neanche sempre – l’esecuzione della pena e quindi dopo o durante il tempo della sua espiazione – che è proporzionale nella durata alla gravità dei reati – offre la possibilità di prendere le distanze dalle proprie condotte di non veder la sua persona ridotta al suo crimine. La pena può essere un modo – se colto adeguatamente – di rendere al criminale la sua dignità di uomo, di riconoscere che ha compiuto un atto libero ma carico di forte disvalore morale e giuridico.

La sentenza rimpatria il reo come persona ma ridefinendo una giusta distanza dagli altri uomini che può essere colmata con l’assunzione delle proprie responsabilità e quindi con l’espiazione della pena finalizzata alla sua rieducazione che non può non contemplare il riconoscimento della vittima a cui le sue azioni hanno arredato gravi pregiudizi.

Anche se – va ricordato – le strutture esecutive e carcerarie spesso non danno questi esiti rieducativi a cui sono orientati dalla Carta costituzionale. Anzi i condannati spesso diventano o si sentono vittime di ulteriori pregiudizi dati dalle condizioni carcerarie che non funzionalizzano la pena alla rieducazione. E chi si sente vittima non può pensare alla propria di vittima, alla persona che ha subito le proprie azioni.

L’autore del reato quindi attraverso la giustizia ha l’opportunità di rientrare nella comunità da persona capace di assumere le proprie responsabilità e di rispondere delle proprie azioni.

L’azione della giustizia si vuole quindi doppiamente umanizzante: per la vittima per operare attraverso un’azione di verità e di condanna del reo, il riconoscimento; per l’imputato, al quale viene offerta l’opportunità – sempre attraverso il processo e l’espiazione della pena – di tornare al luogo emotivo del reato per assumere le responsabilità dei propri agiti e entrare di nuovo nella comunità degli uomini ovvero di persone che rispondono delle loro azioni.

La giustizia per essere tale e non solo formale o astratta o esclusivamente giudiziaria deve quindi perseguire il Giusto insito nella domanda e risposta di Giustizia alle vittime minori attenuando quanto più possibile la vittimizzazione ed accogliendo l’umanità sofferente…E ciò attivando non solo interventi processuali ma sostenendo i minori vittime con servizi di informazione assistenza e protezione (vd art. 12 Direttiva UE cd vittime n. 29 del 2012) sociali integrati.

I reati non sono tutti uguali e non lo sono le vittime …che quando sono minori necessitano di tutela rafforzata, adeguata, idonea.

[1]“Ennesimo record di reati a danno di minori in Italia nel 2022: sono stati 6.857, con un drastico aumento del 10% dal 2021, quando il dato aveva superato per la prima volta quota 6mila. Il peggioramento maggiore riguarda le violenze sessuali, cresciute del 27% in un anno: da 714 nel 2021 sono passate a 906 lo scorso anno, per l’89% ai danni di bambine e ragazze….I dati, elaborati dal Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale, sono stati resi noti dalla Fondazione Terre des Hommes nel Dossier indifesa “La condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo” 2023” vd: https://terredeshommes.it/comunicati/dossier-indifesa-2023-drammatico-record-di-reati-sui-minori/

[2] La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza (cfr.articoli 19, 32 e 34).

[3] Le esperienze delle vittime di reati gravissimi concordano nel manifestare che anche una volta arrivata la giustizia e/o concluso il suo percorso non è cambiato nulla per il loro dolore…vd per es. Agnese Moro ed altre vittime di terrorismo ne Il Libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto. Il saggiatore 2015.

[4] Gli studi della vittimologia hanno evidenziato le fasi della vittimizzazione; dalla condizione di shock (prima fase), al cd congelamento della paura una condizione di eteroassicurazione di calma e distacco (seconda fase) alla fase “io sono stupido” in alternano depressione, risentimento, reazioni fobiche e rabbia stitica in cui entra in scena il senso di colpa per non aver saputo evitare o aver dato adito alla violenza sino alla fase (quarta) in cui la vittima integra, in qualche modo, la sfortunata esperienza nel suo stile di vita. in M.Bouchard Cura e giustizia dell’offesa ingiusta: riflessioni sulla riparazione. https://www.questionegiustizia.it/articolo/cura-e-giustizia-dell-offesa-ingiusta-riflessioni-sulla-riparazione in cui riporta lo studio di M. Symonds, The “Second Injury” to Victims of Violent Acts, in American Journal of Psychoanalysis, suppl. Special Issue: The American Journal of Psychoanalysis at 70 ; Basingstoke Vol. 70, Iss. 1, (Mar 2010): 34-41.

[5] il Consiglio d’Europa nel 1978: “gli abusi sono gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentando alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono le trascuratezze e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”

[6] La condizione di particolare vulnerabilità comporta l’audizione protetta della minore ad opera del Pubblico Ministero (art. 362 co.1-bis c.p.p.) avvalendosi dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile o su delega alla polizia giudiziaria (art. 351 co.1-ter c.p.p.) o, al fine di evitare di chiamare più volte la minore a rendere dichiarazioni, l’incidente probatorio (art.392 cpp)

[7] La definizione di vittima nel decreto 150 del 2022 (art. 42 lett b) in punto di giustizia riparativa: “vittima del reato: la persona fisica che ha subito direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale ..”

[8] L’espressione è il titolo di un testo di A.Garapon Bologna 2004 circa l’emersione della giustizia internazionale a seguito processi della Corte Penale internazionale per i crimini contro l’umanità.

[9] https://www.consiglio.regione.lazio.it/?vw=newsDettaglio&id=3149. Il precedente ha permesso altri casi. È imminente sull’originale precedente ad opera della Key editore il testo: “LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL PROCESSO PENALE DEGLI ENTI ESPONENZIALI. Il Garante Regionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza nei processi penali a tutela delle vittime minorenni: da un’esperienza concreta del Lazio riflessioni giuridiche.”

[10] È quanto tanti minori ed i loro familiari spesso comunicano nel verbalizzare i motivi della propria volontà di denunciare. È l’esperienza in un centro antiviolenza per minori ed adolescenti a confermarcelo: https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=comunicatoDettaglio&id=3306

[11] La credibilità, cioè l’esame della veridicità o falsità, delle dichiarazioni del minore è particolare: i tipici requisiti dell’attendibilità di un teste rappresentati dalla chiarezza, celerità, sicurezza e coerenza del resoconto fornito, si rilevano peculiari e difficoltose nel caso delle deposizioni rilasciate dai minori e dipendono anche dall’età. La giurisprudenza unanime valuta in questi casi diversi elementi ai fini della attendibilità del riferito del minore: l’intrinseca coerenza, le circostanze fattuali, l’assenza di circostanze estranee che possano influire sul riferito… che sono inseriti in contesti diversi e che concordano con le modalità con cui hanno subito abusi. Al fine di esprimere un giudizio di attendibilità del soggetto minore occorre una valutazione rigorosa e neutrale da parte dei Giudici, con l’opportuno aiuto delle scienze rilevanti in materia (pedagogia, sessuologia, psicologia). E la Cassazione richiede non solo la valutazione della intrinseca coerenza di tutti gli elementi ma anche di tutte le circostanze concrete. In particolare si verificano precipuamente: le ripetizioni del racconto, delle modalità utilizzate per sollecitare il racconto, delle modalità della narrazione dei fatti (se spontanea o sollecitata, se riferita solo dopo ripetute insistenze da parte di figure significative), il contenuto e le caratteristiche delle primissime dichiarazioni, nonché delle loro modificazioni nelle eventuali reiterazioni sollecitate.

[12] “A chi è offeso Oh quanto piace poter far la sua vendetta” Oratorio di A.Scarlatti Aria “Oh preservami per mia pena” di Caino.

[13] Anche la Giustizia Riparativa è uno spazio di parola e di dialogo relazionale che può consentire alla vittima il riconoscimento e la riparazione anche se – va detto – in tali reati è altamente improbabile che si possano attivare programmi di giustizia riparativa in ragione della forte asimmetria tra le parti che il reato ha provocato e soprattutto per l’elevatissimo rischio di ulteriore vittimizzazione; a cui si accompagna il rischio di strumentalizzazione del programma da parte dell’imputato.

[14] È quanto afferma la sentenza della Cassazione n. 6595 del 2024 circa la giustizia riparativa..ma su profili di criticità vd su questa rivista articolo: LA GIUSTIZIA RIPARATIVA. La prima sentenza della Cassazione sulla natura e finalità della Giustizia Riparativa.

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