Quando si cominciò a parlare del prof. Carlo Gilardi, in Italia, ossia qualche anno fa, dapprima nelle trasmissioni delle Iene in tivù, poi attraverso i primi articoli dei giornali, non solo lombardi, più tardi col racconto delle vicende del ‘’nostro’’ in alcuni convegni o webinar, ebbene, ci fu più di una persona – anche amica – che mi chiese di voler scendere in campo, pubblicamente, di prendere posizione al riguardo: di intervenire polemizzando con i giudici tutelari di Lecco, per le scelte concrete che erano state fatte, contestando le indicazioni degli psichiatri locali, soprattutto protestando contro l’amministratore di sostegno in carica. ‘’È tutto un sopruso, una vergogna, uno scandalo, occorre fare qualcosa!’’. ‘’È stato perpetrato sul lago un autentico sequestro di persona!’’. Non feci nulla del genere. L’esperienza – a parte che tendo sempre meno a firmare alla cieca petizioni o testi consimili (salvo eccezioni) – mi ha portato ad essere tanto più distaccato, del consueto, assai prudente nelle parole e nei bilanci, allorquando in una storia figurino in gioco magistrati, famiglie, psichiatri, servizi sociali e sanitari, persone fragili e sfortunate. Troppo facile sbagliarsi, mi ripeto, dinanzi a questi casi.
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