La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di assegno assistenziale, in particolare sul punto dello stato di bisogno, affermando che la perdita del posto di lavoro, anche se conseguente a reati commessi in frode al datore di lavoro, crea uno stato di bisogno che l’ex marito non può ignorare se è difficile che l’ex moglie, per età e condizioni di salute, trovi un’altra occupazione.
La pronuncia della Suprema Corte prende le mosse dalla seguente vicenda.
Una signora, impiegata in un quotidiano, è stata licenziata per aver usufruito, grazie a falsi certificati medici, di cinquantasei giorni di malattia non dovuti, oltre che per aver utilizzato il tesserino da giornalista dell’ex marito per andare a vedere alcune partite di pallavolo gratuitamente.
Tali comportamenti dolosi hanno dato luogo ad una condanna penale della lavoratrice e al licenziamento disciplinare della stessa.
La perdita del lavoro ha avuto un notevole impatto sulla vita della signora, nonostante percepisca la pensione. Si tratta infatti di una persona di cinquantasette anni con un’invalidità del 60% che, pur essendo iscritta alle liste per la disoccupazione, difficilmente potrà trovare un’altra posizione lavorativa simile a quella che ha perso.
Pertanto, il Tribunale, a seguito di un ricorso per la revisione degli accordi economici presi con l’ex marito in sede di divorzio, in considerazione delle mutate condizioni di vita della ricorrente, ha ritenuto di dover rivedere i patti che non prevedevano, all’epoca, il versamento di un assegno divorzile a favore della moglie.
L’ex marito si è costituito in giudizio affermando che l’ex moglie non aveva alcun diritto a chiedere un contributo economico da parte sua in quanto lo stato di bisogno nel quale si trovava era ricononducibile alla sua condotta volontaria e dolosa, secondo lui equiparabile all’abbandono volontario del lavoro.
La Suprema Corte ha respinto i motivi addotti dal marito, ritenendo che la situazione che ci occupa non si possa ritenere equiparabile a quella di chi sceglie volontariamente di lasciare la propria occupazione. Il licenziamento disciplinare, infatti, secondo la Cassazione, non ha nulla di volontario: la scelta della signora è stata quella di commettere i reati, non di perdere il lavoro.
Da ultimo, la Corte di Cassazione aggiunge che in ogni caso, quand’anche ci fosse volontarietà, essa non prevale mai sullo stato di bisogno.
Dott.ssa Lucia Massarotti