LA RETRIBUZIONE VARIABILE DEL COINTERESSATO

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Avv. Adolfo Tencati

1. La “giusta retribuzione” del cointeressato

L’autonomia della cointeressenza dall’associazione in partecipazione costituisce un argomento che si affianca a quelli proposti dalla dottrina per sostenere l’inapplicabilità al cointeressato del divieto ex art. 2549, 2º co., c.c. nella stesura recata dall’art. 53, 1º co., lett. a), Jobs Act.

L’art. 2554, 2º co., c.c. resta dunque in vigore, legittimando l’attuale studio sull’art. 2102 dello stesso codice. Collegando le suddette disposizioni il riferimento va alla sola partecipazione agli utili, ma completezza vuole l’esame delle altre forme di retribuzione variabile consentite dall’art. 2099, 3ºco., c.c.: le provvigioni e le dazioni in natura. Discutendo le loro caratteristiche si capisce altresì perché non sono applicabili alla cointeressenza.

Prima di tale esame, tuttavia, si evidenzia che le fattispecie elencate dagli artt. 2099, 3º co., e 2102 c.c. si aggiungono a quanto previsto dal contratto collettivo di riferimento, eventualmente migliorato dalle pattuizioni individuali.

Non essendoci peraltro nella cointeressenza una retribuzione base, come emerge dall’art. 2554, 1ºco., c.c., il cointeressato rischia di non ottenere nessun compenso per il proprio lavoro. Si pone quindi il rapporto tra la cointeressenza e i parametri dettati dall’art. 36, 1ºco., Cost.

La norma costituzionale va letta nel senso di completare “in senso sociale la proporzionalità tramite la sufficienza. Così interpretato [N.d.a.], l’art. 36 Cost. evidenzia la sua connessione funzionale con l’art. 3, 2º co., Cost., tendendo a rimuovere uno di quegli ostacoli di ordine economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

In tal modo l’art. 36 Cost. incide sullo stesso concetto di corrispettività nel contratto di lavoro, il quale è speciale sia perché, ove previsto, prescinde dall’interdipendenza tra le prestazioni, sia perché, là dove vi è interdipendenza tra le prestazioni, l’equilibrio sussistente tra di esse si riconduce ad un principio proporzionalistico socialmente orientato”. (Pascucci 2018).

L’art. 36, 1º co., Cost., con il suo difficile equilibrio tra corrispettività della retribuzione e sufficienza alla vita libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia, va rispettato anche quando l’apporto del cointeressato consiste in prestazioni di lavoro autonomo, malgrado il diverso avviso della giurisprudenza.

Peraltro, l’art. 35, 1º co., Cost. si riferisce al “lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”, prescindendo quindi dalla “dicotomica contrapposizione tra subordinazione e autonomia”. Inoltre, esistono disposizioni, puntualmente esaminate dalla dottrina, che equiparano nella sostanza determinate categorie di lavoratori formalmente autonomi alle corrispondenti figure subordinate.

La giurisprudenza, pertanto, non merita accoglimento perché contrasta con i principi costituzionali e con le più recenti tendenze dell’ordinamento.

2. La casistica della retribuzione variabile

2.1. La retribuzione parametrata agli utili dell’impresa

La partecipazione agli utili dell’impresa —riconosciuta al cointeressato dagli artt. 2102 e 2554, 2º co., c.c. —è diversa dalle “retribuzioni incentivanti”. Sono infatti disciplinate soprattutto dalla contrattazione collettiva per esigenze di semplicità ed eguaglianza.

Invece i suddetti artt. 2102 e 2554, 2º co. codificano esclusivamente “un trattamento retributivo applicato ad personam e destinato”, almeno in origine, “alle più elevate qualifiche impiegatizie”.

L’art. 2554, 2º co., c.c. equipara il cointeressato    ai vertici della gerarchia aziendale, ponendo tuttavia soltanto un criterio per il calcolo della partecipazione agli utili.  Quando l’impresa ha struttura societaria il riferimento va agli “utili netti risultanti dal bilancio” di esercizio, ma la sua approvazione e la decisione sulla destinazione degli utili medesimi spettano ai soci.

Perciò, il cointeressato, in quanto creditore della società, non può influire sulla politica aziendale. In altre parole, la società profitta “dell’attività del prestatore di lavoro e [N.d.a.] dovrà corrispondergli come corrispettivo una somma determinata in funzione degli utili realizzati e accertati in bilancio e di questa somma dovrà tener conto tra i costi di esercizio, ma in nessun caso la retribuzione del lavoratore, solo perché pattuita sulla base di una partecipazione agli utili, vale a modificare la destinazione degli utili di bilancio e a comprimere quel diritto agli utili che compete ai soci sulla base della loro partecipazione alla società e a far sì che siano i soci e non la società a dover sopportare l’onere della retribuzione dei dipendenti della società”. (Uberti Bona 1960).

2.2. Il cointeressato retribuito con provvigioni

Stanti gli artt. 2102 e 2554, 2º co., c.c. il cointeressato non può essere retribuito con provvigioni.

La loro non applicabilità alla cointeressenza deriva altresì dalle caratteristiche delle provvigioni. Sono infatti forme di retribuzione destinate “ad incentivare la condivisione degli obiettivi aziendali da parte del lavoratore” perché “l’entità del compenso è commisurata al valore degli affari promossi o conclusi dal lavoratore”.

Il carattere aleatorio delle provvigioni può essere ridotto stabilendo una retribuzione mista [fissa + provvigioni], ammessa dalla giurisprudenza. Viene infatti annullata la sentenza impugnata secondo cui è “legittima la clausola di assorbimento contenuta nel contratto individuale — la quale prevede […] l’assorbimento delle provvigioni nei miglioramenti retributivi del […] minimo — sul rilievo che il principio di adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost. è rispettato dalla [N.d.a.] corrispondenza della quota fissa al minimo retributivo previsto dalla contrattazione collettiva.

Ma non è così perché [N.d.a.], nell’ipotesi in cui il lavoratore subordinato sia retribuito in parte in misura fissa, secondo il minimo previsto dalla contrattazione collettiva, ed in parte con provvigioni calcolate sugli affari promossi che superino un certo tetto convenzionalmente fissato, il riscontro dell’adeguatezza della retribuzione secondo i canoni di sufficienza e di proporzionalità stabiliti dall’art. 36 Cost. deve essere effettuato con riferimento non già esclusivamente al minimo contrattuale, bensì anche alle provvigioni”. (Cass. Civ., sez. Lav., 18/06/1985, n. 3674, OGL, 1986, 390).

Inoltre, la retribuzione con provvigioni è tipica dei lavoratori che operano con i terzi, eventualmente con funzioni rappresentative dell’imprenditore.

Ma l’art. 2551 c.c., richiamato dall’art. 2554, 1º co., dello stesso codice, riserva i rapporti con l’esterno esclusivamente al cointeressante. Da ciò deriva l’argomento per escludere le provvigioni dai sistemi con cui retribuire il cointeressato.

2.3. La dazione in natura

La retribuzione del lavoratore mediante la partecipazione ai prodotti è quasi un relitto storico, che resiste soltanto “nei settori della pesca, della navigazione e dell’agricoltura”.

D’altra parte, quando le norme sulla cointeressenza parlano degli utili immaginano pagamenti in denaro.

Perciò, la partecipazione ai prodotti non è utilizzabile nella cointeressenza.

3. L’irrilevanza di altre forme partecipative

3.1. I piani azionarie riservati ai lavoratori

La recente prassi delle relazioni industriali, confermata dall’art.  2349, 2º co., c.c. riscritto dalla riforma societaria, conosce altri sistemi di retribuzione che si aggiungono a quelle previsti dagli artt. 2099, 3º co., 2102 e 2554, 2º co., dello stesso codice. Il riferimento, in particolare, va ai piani di:

  1. a) stock purchase: al dipendente è garantita la facoltà di acquistare immediatamente azioni della società ad un prezzo fisso, in genere di favore e dilazionato nel tempo, utilizzando parte della propria retribuzione;
  2. b) stock option: al dipendente vengono assegnati, normalmente a titolo gratuito e periodicamente, diritti di opzione ad acquistare o sottoscrivere in una certa data futura e ad un prezzo predeterminato le azioni della società;
  3. c) stock grant: al dipendente vengono attribuite gratuitamente azioni della società”. (Bechini consultato 2022).

Nessuna fattispecie è compatibile con la cointeressenza. Infatti, indipendentemente dal considerare la forma propria od impropria della cointeressenza, descritta dall’art. 2554, 1ºco., c.c., la casistica precedentemente illustrata trasforma il lavoratore in socio della società datrice di lavoro, malgrado l’insuccesso in Italia delle forme di “azionariato collettivo” dei dipendenti.

Lo scopo è di incentivare il lavoratore e di fidelizzarlo con la prospettiva di ottenere un surplus di retribuzione.

È invece discutibile, stante la difficile compatibilità tra con l’art. 36, 1ºco., Cost., la possibilità che il lavoratore sia interamente retribuito con partecipazioni azionarie.

Va poi considerata la libertà individuale di non aderire ai piani azionarie riservati ai dipendenti.

Come emerge dalle precedenti osservazioni, la casistica in esame è diversa da quella ex artt. 2102 e 2554, 2º co., c.c. In tutte le ipotesi c’è una partecipazione agli utili, ma la posizione del percettore è diversa: creditore nella cointeressenza; lavoratore e socio nei piani azionari riservati.

Ma il cointeressato non è un socio, né tantomeno desidera diventarlo. Il suo scopo è di concorrere al finanziamento dell’impresa cointeressante, oltretutto non necessariamente societaria.

3.2. La cogestione dell’impresa

La cogestione delle imprese è incompatibile con la cointeressenza.

Innanzitutto, la dottrina discute i suoi rapporti con la “partecipazione azionaria dei lavoratori”. Inoltre, la gestione partecipata delle imprese è, “in realtà, ancora lontana da una concreta attuazione dell’art. 46 Cost., che consente una partecipazione gestionale da parte dei lavoratori, i quali sarebbero coinvolti nella gestione delle aziende, ben oltre la partecipazione limitata alla mera percezione di utile”. (Angiello 2003; Giasanti 2020).

La cogestione delle imprese si potrebbe realizzare, sul modello tedesco, eleggendo rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza. Del resto, il sistema dualistico che lo prevede è di derivazione germanica.

Tuttavia, si condivide l’idea per cui l’attuale ordinamento societario non consente ciò, neppure “in via interpretativa e per mezzo di una clausola statutaria”.

Il consiglio di sorveglianza è “un organo separato dal consiglio di gestione e con ampi poteri di controllo e vigilanza”.

Ma la disciplina sulla cointeressenza consente eguali possibilità di verifica. L’art. 2554, 1º co., c.c. richiama infatti l’art. 2552 dello stesso codice. Pertanto, il cointeressato:

  • ha in ogni caso diritto al rendiconto;
  • può essere contrattualmente legittimato ad ulteriori verifiche.

Sempre l’art. 2554, 1º co., c.c. richiama l’art. 2551 del medesimo codice. Di conseguenza, la gestione dell’impresa spetta al solo cointeressante, ma la norma non sarebbe violata immaginando la partecipazione del cointeressato al consiglio di sorveglianza.

Ma la già evidenziata ostilità dell’ordinamento italiano alla partecipazione di non soci agli organi sociali impedisce l’ingresso nel consiglio di sorveglianza dei lavoratori o di loro rappresentanti.

In conclusione, l’unica forma di retribuzione supplementare compatibile con la cointeressenza è quella ex art. 2102 c.c., pertanto giustamente richiamato dall’art. 2554, 2º co., dello stesso codice.

 Bibliografia

Angiello L., – La retribuzione. Artt. 2099-2102, Giuffrè , Milano, 2003.

Bechini I., – Stock options – inquadramento, in L’azionariato dei dipendenti. Ascesa e declino delle stock options?, In www.odcec.mi.it, consultato 2022.

Bordiga F., – La funzione del consiglio di sorveglianza. Tra controllo e indirizzo dell’impresa, Giuffrè, Milano, 2016.

Cariello V., – Il sistema dualistico, Giiappichelli, Torino, 2012.

Carrato A., – L’art. 36 Cost. si applica solo con riferimento al rapporto di lavoro subordinato, in www.altalex.com, 2015.

Garbuio C., – l’estensione dell’art. 36 Cost. al lavoro autonomo: tra chiusure giurisprudenziali e aperture legislative , in www.labourlaw.unibo.it, 2022.

Giasanti L., – Art. 2102 c.c. , in Codice commentato del lavoro, Wolteres Kluwer, Milano, 2020.

Nogler L., Brun S., – ho seguito Art. 2102 c.c. , in Commentario breve alle leggi sul lavoro, a cura di De Luca Tamajo R., Mazzotta O., Cedam, Wolters Kluweer, Padova, Milano, 2018.

Pascucci P., – La giusta retribuzione nei contratti di lavoro, oggi (bozza provvisoria), in www.bollettinoadapt.it, 2018.

Passalacqua P., – Il “superamento” dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro – Work Paper Centro studi di diritto del lavoro europeo “Massimo d’Antona” n. 271, in www.csdle.lex.unict.it, 2015.

Santagata Ra. – Partecipazione azionaria dei lavoratori, in ED, annali, vol. V, 2012, on-line.

Topo A., – Le forme di retribuzione, in Contratto di lavoro e organizzazione – Trattato di diritto del lavoro, a cura di Marazza M., Cedam, Padova, 2012, 72.

Treu T., – Le forme retributive incentivanti, in RIDL, 2010, 637.

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