Prof. Vittorio Italia
- Premessa
Una nuova legge sugli Enti locali si presenta necessaria, perché:
- sono intercorsi 20 anni dal vigente Testo unico sull’ ordinamento degli Enti locali (d.lgs. 267/2000);
- sono intervenute molte e frammentarie modificazioni esplicite;
- specialmente vi sono stati rilevanti cambiamenti nelle norme gerarchicamente superiori alle leggi statali ordinarie, quali le Direttive europee ed i Trattati.
Oltre a ciò, questa nuova legge dovrebbe essere una legge organica, cioè una legge di princìpi, che sia espressione delle autonomie locali – come è stabilito nella Costituzione nell’articolo 5.
Le considerazioni che seguono non contengono tutti i problemi evidenti negli Enti locali, ma i principali di essi, che sono alla base di successive concatenate conseguenze normative, statali, regionali ed anche statutarie e regolamentari locali.
- Le leggi sugli Enti locali nel 1800-1900 e la loro scansione temporale
La necessità di una nuova legge sugli Enti locali emerge dalla constatazione di un dato temporale.
Le leggi comunali e provinciali, che si sono succedute nel 1800-1900 hanno avuto una durata media di “circa” 20 anni.
- Il decorso di 20 anni dal d.lgs. 267/2000 (Testo unico Enti locali) e necessità di una sua approfondita revisione
Il vigente Testo unico degli Enti locali (D.lgs. 267/2000) risale a 20 anni, ed ha avuto numerose e frammentarie modifiche, che hanno reso questa complessa materia ancora più intricata.
Questi frastagliati cambiamenti, che sono come “tessere” di un mosaico, dovrebbero essere ricondotti, coordinati e precisati nel Testo unico. È necessario qualcosa di più, è cioè indispensabile rivedere lo stesso impianto del Testo unico, che si presenta – per le nuove modifiche che sono intervenute nelle norme gerarchicamente superiori – determinante per l’organizzazione e la vita degli Enti locali, sia quelli nelle Regioni a statuto ordinario, sia quelli nelle Regioni a statuto speciale.
- La nuova legge sugli Enti locali come legge organica, cioè come legge di princìpi
La nuova legge sugli Enti locali è qui qualificata come legge organica.
Questo termine non indica soltanto una legge completa.
Tradotto in termini legislativi moderni, si tratta di una legge di princìpi, che – pur essendo allo stesso livello delle leggi ordinarie – stabilisce i princìpi dell’organizzazione e dell’attività degli Enti locali, e condiziona le successive norme statali e regionali che riguardano questo settore.
Da ciò deriva una prima conclusione, e cioè che, se deve essere una legge di princìpi, dovrà essere una legge breve (ad es., di non più di 100 articoli) e le successive disposizioni di dettaglio saranno di competenza delle norme statutarie o regolamentari locali.
In contrario a quanto esposto si potrebbe obiettare che anche nell’attuale Testo unico i princìpi sono previsti, nell’ articolo 1 (“Il presente Testo unico contiene i princìpi e le disposizioni in materia di ordinamento degli Enti locali (…)”).
Ma l’obiezione non sarebbe persuasiva.
Infatti, si tratta di un’indicazione generica dalla quale non si deriva quali articoli del Testo unico sono princìpi e quali sono, invece, disposizioni di dettaglio.
La nuova legge dovrebbe precisare che tutte le norme sono princìpi, cioè norme di principio, che prevedono quindi dei limiti alle successive norme statali e regionali che riguardano aspetti dell’organizzazione e dell’attività dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane.
- Il problema delle dimensioni della cellula amministrativa di base: il Comune
Uno dei problemi principali riguarda le dimensioni della cellula amministrativa di base, che è costituita dal Comune.
Le circoscrizioni comunali italiane sono per la maggior parte di derivazione storica, in quanto risalgono al tempo dei feudi.
Il problema è complesso, e si deve innanzitutto considerare che gli studiosi del passato che hanno esaminato queste prime cellule sociali, avevano come base una realtà sociale ed economica del tutto diversa.
La realtà dei Comuni è ora quasi completamente modificata, per ciò che riguarda l’economia, le comunicazioni, i servizi essenziali.
Si tratta quindi, per valutare questa dimensione, di considerare il parametro della popolazione, o dell’estensione territoriale, e se tale parametro debba essere considerato in modo diverso se si tratta di un Comune di pianura, o di media montagna, di montagna, o di mare.
Questo è uno dei primi problemi che deve essere approfondito
- Il problema della struttura organizzativa del Comune, delle Provincie e delle Città metropolitane
Un secondo problema che dovrà essere approfondito riguarda la struttura organizzativa dell’Ente locale, ed in particolare del Comune, della Provincia e della Città metropolitana.
La struttura organizzativa degli Enti locali è stata stabilita nelle leggi ordinarie di cui al D.lgs. 267/2000, che stabilisce, anche per antica tradizione, i tre organi:
- Il Consiglio;
- La Giunta;
- Il Sindaco.
Questa è una struttura vincolata.
L’autonomia statutaria dell’Ente locale può però esplicarsi, per quanto riguarda i rapporti tra questi organi, e per l’eventuale creazione (oltre ai precedenti organi obbligatori) di “nuovi” organi.
L’esperienza precedente, con la creazione, stabilita da una legge statale del Direttore generale (chiamato con termini stranieri City manager) non si è rivelata positiva, e si è spesso tradotta nel cumulo di funzioni (e stipendi) in favore di un organo comunale e provinciale, e cioè il Segretario.
- Il problema delle competenze normative ed amministrative dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane
Un altro problema importante che deve essere esaminato ed approfondito è quello relativo alla competenza normativa ed amministrativa dei Comuni, delle Province e della Città metropolitane, e come tale potestà normativa si possa e debba inquadrare nelle altre potestà normative dello Stato e delle Regioni.
Questo problema richiede un esame critico della situazione attuale.
7.1. L’imprecisa disciplina della potestà statutaria dei Comuni e delle Province
La disciplina normativa dello statuto degli Enti locali (e specialmente dei Comuni e delle Province), prevista nella legge 142/1990, e ribadita nel D.lgs. 267/2000, è censurabile, per le seguenti ragioni:
- vi è un numero ampio di Comuni, che si sono dati una disciplina in modo uniforme, prendendo ancora come esempio le precedenti leggi comunali e provinciali.
Dall’altro lato, il richiamo ai “princìpi fissati” dalla legge è impreciso. Infatti, il termine “fissati” indica quella parte importante e “nodale” delle leggi dello Stato, quasi come i “nodi” che vi sono nelle reti da pesca. Ma il difetto più grave è che questi princìpi, che avrebbero dovuto essere “fissati” (cioè stabiliti in modo preciso, incardinati, si direbbe “inchiodati” e quindi resi palesi e manifesti nelle leggi dello Stato) non sono stati affatto resi espliciti, e non si riescono ad individuare e riconoscere nelle numerose e frastagliate leggi dello Stato.
In questa situazione, è avvenuto che vi sono state molte leggi statali non di principio, ma semplici leggi o leggine (ed anche leggi e leggine regionali) che sono intervenute ponendo limiti e vincoli all’autonomia statutaria degli Enti locali.
7.2. L’imprecisa disciplina della potestà regolamentare dei Comuni e delle Province
Egualmente imprecisa è la disciplina normativa della potestà regolamentare dei Comuni e delle Province.
La previsione dell’art. 7 del D.lgs. 267 “nel rispetto dei princìpi fissati dalla legge e dello statuto”, ha stabilito un vincolo stretto (rispetto, e non “ambito”) con i princìpi fissati dalla legge.
Tali princìpi, come è avvenuto anche per lo statuto nell’articolo 6 del Tuel, non sono stati esplicitati, e non si sa quali siano. Oltre a ciò, non è chiaro che il termine “leggi” faccia riferimento alle leggi dello Stato od anche (tesi sostenuta dalle Regioni) alle leggi delle Regioni.
Un ulteriore aspetto negativo sui regolamenti che merita di essere riveduto è quello relativo al Regolamento degli uffici e dei servizi.
Tale Regolamento, che avrebbe dovuto contenere, come una Bibbia giuridica, tutti i problemi relativi agli uffici e specialmente ai servizi, non ha dato buona prova, per due ragioni.
Innanzitutto, si era previsto che questo Regolamento doveva essere il risultato di due organi: del Consiglio, che avrebbe dovuto fissare i princìpi generali e della Giunta, che avrebbe dovuto articolare in dettaglio tali princìpi. La realtà è stata però diversa, e risulta che questo Regolamento è deliberato in tutto e per tutto dalla Giunta, e, solo dopo vengono aggiunti princìpi generali (peraltro generici) quasi come una decorazione.
In secondo luogo, perché questo Regolamento non contiene tutti i problemi sugli uffici e servizi, e, in molti casi, contiene soltanto l’elencazione degli uffici, degli organi e delle competenze.
7.3. L’imprecisa disciplina della potestà pianificatoria dei Comuni e delle Province
Altra disciplina imprecisa riguarda la potestà normativa pianificatoria.
Essa non è prevista (ed in ciò sta la sua imprecisione) nel Testo unico. Non sono precisati i limiti in riferimento alla legge o all’attività pianificatoria delle Regioni o dello Stato.
- Il problema dei controlli sugli atti dei Comuni e delle Province
Un problema che – indipendentemente dalla soluzione – merita qualche riflessione è quello dei controlli sugli atti amministrativi dei Comuni e delle Province.
Nelle leggi precedenti (142/1990) era previsto un organo regionale (Comitato regionale di controllo) che aveva il compito del controllo di legittimità sugli atti amministrativi di questi Enti.
La composizione di questo Comitato faceva sorgere dei dubbi sulla sua indipendenza, anche per un rispetto verso l’autonomia di questo Ente, Tali controlli sono stati soppressi, ritenendo che tali Enti avessero acquisito una maturità giuridico amministrativa da rendere superfluo ogni controllo.
Ma la realtà si è rivelata diversa, anche a causa della complessità delle leggi statali (ed anche regionali) che riguardano più che l’organizzazione, l’attività degli Enti locali. In talune materie o settori (ad es., quello dei contratti pubblici) le difficoltà interpretative ed applicative sono così marcate che vi sono numerosi Dirigenti di Enti locali che – in dichiarazioni pubbliche – hanno affermato che essi non volevano apporre la propria firma su determinati atti, temendo di dover rispondere dei danni erariali.
In questa situazione, le attuali forme di controllo effettuate dalla Corte dei conti non consentono di risolvere il problema, che deve perciò essere almeno rimeditato.
- Il problema dei servizi pubblici e delle società partecipate
Anche il problema dei servizi pubblici dovrebbe essere riveduto e normativamente precisato.
L’attuale art. 113 del Testo unico non chiarisce i problemi che erano stati impostati con le “aziende municipalizzate” nel 1903 e con il Testo unico del 1925.
La disciplina normativa si è poi complicata con un’infelice fusione di regole di diritto privato e di diritto pubblico che hanno fatto sorgere le cd. “società partecipate”, società per azioni (disciplinate dal Codice civile) con una partecipazione azionaria di un Ente pubblico. Le attuali norme sulle società partecipate non hanno risolto i problemi.
- La delega legislativa per il nuovo Testo unico. I princìpi ed i criteri direttivi
La nuova legge organica sugli Enti locali, qui prevista come una sintetica legge ordinaria di princìpi, si dovrà esprimere come legge delegata.
Non è infatti ipotizzabile che una legge organica sugli Enti locali sia esaminata e discussa, articolo per articolo, dai rami del Parlamento.
Vi dovrà perciò essere, da parte del Parlamento, una legge di delega al Governo, che emanerà il decreto legislativo delegato sugli Enti locali.
Se si accede a quanto esposto, il punto che dovrebbe essere esaminato con particolare attenzione è costituito dall’individuazione dei “princìpi e criteri direttivi”, di cui all’art. 76 della Costituzione.
L’espressione “princìpi e criteri direttivi” non è costituita da sinonimi.
I criteri direttivi sono la conseguenza dei princìpi direttivi, e sarà perciò necessario distinguere e stabilire, prima, i princìpi direttivi, ai quali faranno sèguito, come ulteriore specificazione, i criteri direttivi.
In tali princìpi e criteri direttivi dovranno essere puntualmente indicati, come punti normativi, i problemi che sono stati indicati nei precedenti paragrafi.
- Problemi sull’ autonomia dei Comuni (e altre forme organizzatorie) nelle Regioni a statuto speciale
Problemi particolari sorgono poi sull’ autonomia dei Comuni nelle Regioni a statuto speciale, e dovranno anch’ essi essere considerati.
Infatti, gli statuti di queste Regioni sono legge costituzionale, e sono questi statuti che prevedono le regole relative all’ autonomia dei Comuni, delle Province e delle altre forme organizzatorie che vi sono in queste Regioni.
Questo problema è collegato con le questioni indicate nelle pagine precedenti, e l’esame di essi dovrà essere condotto in modo da stabilire un tessuto giuridico normativo che – nel rispetto delle diversità – sia unitario ed armonico.
- Considerazioni conclusive
I problemi che sono stati indicati nei precedenti paragrafi costituiscono una prima traccia degli argomenti che dovranno essere approfonditi e successivamente normati.
Ma si ritiene che, in ottemperanza all’ articolo 5 della Costituzione, le attuali regole che disciplinano in modo impreciso, gli Enti locali, siano radicalmente da modificare.