Milena Adani
Il primo comma dell’art. 131 bis del Codice penale stabilisce che <<nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e iI comportamento risulta non abituale>>.
La questione relativa all’applicabilità o meno dell’art. 131 bis c.p. nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso era rimasta in attesa di una decisiva interpretazione dei giudici di legittimità. Nelle pronunce precedenti non emerge un chiaro orientamento giurisprudenziale in merito, ma due interpretazioni contrastanti.
L’una, fondata sul tenore letterale dell’art. 131 bis c.p. secondo cui la causa di non punibilità non è applicabile in caso di reato continuato, perché effettiva la reiterazione delle condotte criminose. Tale rappresentazione, secondo la Corte, rientra all’interno del concetto di “abitualità” o comunque di una devianza non occasionale e di non irrilevante offensività. Pertanto la condotta risulta ostativa all’applicabilità del disposto normativo di cui all’art. 131 bis c.p..
L’altra, invece, afferma la compatibilità del reato continuato con il riconoscimento della particolare tenuità del fatto nel caso in cui la condotta del reo non sia connotata dall’abitualità, ostativa all’applicazione della causa di non punibilità.
Con la sentenza 18891 depositata il 12 maggio 2022, le Sezioni Unite hanno dato soluzione alla questione che, in verità, richiedeva chiarimenti sin dall’introduzione dell’istituto con il D.lgs. 28/2015.
A parere degli Ermellini si può giungere all’esclusione dell’abitualità attraverso la valorizzazione di una pluralità di elementi, quali la gravità del fatto, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi e perseguiti dal reo, oltre alle motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta.
In altri termini, la continuazione postula che l’agente si sia rappresentato la commissione di una serie di condotte criminose ma ciò non si identifica con la tendenza delinquenziale che caratterizza la vita del reo.
Il reo, infatti, può definirsi abituale quando sceglie di persistere nella condotta delittuosa, determinando l’abitudine a commettere un determinato tipo di reato.
L’unicità del disegno criminoso tra due o più reati, invece, appartiene ad un progetto delinquenziale unitario nel quale è stata programmata la consumazione di specifici reati anche commessi a distanza di molto tempo.
Sulla scorta di tali considerazioni le Sezioni Unite hanno espresso tale principio di diritto: << la pluralità dei reati unificati dal vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale>> (Penale Sent. Sez. U. Num. 18891 Anno 2022).
Milena Adani