Dott.ssa Elisa Ceccarelli
Il diritto di famiglia è parte del Codice Civile in vigore dal lontano 1942, quando il nostro paese era ancora una monarchia dominata dal fascismo e il Codice regolava in generale rapporti essenzialmente patrimoniali tra cittadini maggiorenni, maschi, proprietari. In questo quadro la famiglia era un organismo legalmente indissolubile, governato dal marito-padre, unico titolare della piena cittadinanza (le donne avranno diritto di voto solo nel 1946 per l’elezione dell’Assemblea Costituente) e della “patria potestà” sui figli considerati tali solo se nati da matrimonio.
Tale schema familiare, già parzialmente in crisi nella società italiana sconvolta dai due conflitti mondiali, era incompatibile con i principi della Costituzione repubblicana del 1948: valore inviolabile della persona e del suo pieno sviluppo, uguaglianza tra i coniugi e tra i figli anche se nati fuori dal matrimonio.
Il processo di costituzionalizzazione del diritto di famiglia è stato lungo e contrastato da forti resistenze e permanenti tendenze conservatrici, che sono state superate grazie alle spinte trasformative radicate nei profondi cambiamenti politici, sociali e culturali che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, modificando la vita e i costumi degli italiani.
Alcune storiche pronunzie della Corte Costituzionale in materia di parità di genere (adulterio e delitto d’onore) e la legge sul divorzio del 1970 confermata con il referendum del 1974 accompagnato da un epocale e divisivo confronto nel Paese, aprono la strada nel 1975 a una prima riforma del diritto di famiglia.
La famiglia riformata, non più indissolubile e fondata sul predominio maschile, si regge sul consenso dei coniugi che decidono insieme e tendenzialmente con i figli, la vita comune. La potestà è attribuita a entrambi i genitori i quali hanno l’obbligo di mantenere, educare, istruire la prole non più (come nell’originario articolo 147 del Codice Civile) “secondo i principi della morale” bensì “tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”, anche non nati da matrimonio.
Negli stessi anni settanta del novecento influiscono sulla struttura familiare movimenti di emancipazione sociale economica e culturale, in cui le donne hanno un ruolo trainante, che promuovono le grandi riforme legislative nel campo del lavoro, della salute, della scuola, dei servizi sociali. Sull’onda di una storica sentenza della Corte Costituzionale che depenalizza l’aborto terapeutico (1975), dopo una lunga mediazione parlamentare, viene emanata la legge n. 194/1978 “per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, confermata dal referendum del 1981, che regola finalmente il fenomeno aborto, tanto negato quanto diffuso in una complice clandestinità.
Nell’ultimo scorcio del secolo la famiglia italiana è luogo di legami più liberi ma anche meno definiti: aumentano separazioni, divorzi, convivenze, nuclei ricostituiti che accolgono nuovi nati e figli di precedenti relazioni; la maggiore permeabilità tra paesi, culture e legislazioni diverse, apre a una progressiva globalizzazione di consumi e costumi.
All’inizio del secondo millennio la presenza di piccoli cittadini nati da metodi di procreazione artificiale illegali in Italia pone il problema di attribuire anche a loro i diritti dei figli. La controversa legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita cerca di regolare il fenomeno e di scoraggiarlo con norme repressive, ma resta disapplicata e viene rimodellata dalla Corte Costituzionale e dalla CEDU.
L’emersione nella società italiana di movimenti che contestano la naturalità del legame coniugale tra uomo e donna e pretendono il riconoscimento di diritti, porta a una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (legge n. 76/2016) che tuttavia evita di definire la posizione giuridica dei bambini nati al loro interno.
Il problema è stato risolto dalla giurisprudenza dei tribunali per i minorenni, confermata dalla Cassazione, che consente la loro adozione in forma particolare. Da ultimo la Corte Costituzionale ha affermato la piena uguaglianza di diritti tra figli, qualunque ne sia l’origine e la forma di adozione. (1)
È ormai evidente che anche il diritto vivente riconosce nuove “famiglie” superando l’originario unico paradigma familiare che era posto alla base del nostro storico sistema civilistico.
(1) La sentenza 23 febbraio 2022 n. 79 ha dichiarato illegittimo l’art.55 della legge n.184/1983 (nella parte in cui rinvia all’art 300 Cod.Civ.) affermando che il mancato riconoscimento dei rapporti civili con i parenti dell’adottante discrimina, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, il bambino adottato “in casi particolari” rispetto agli altri figli e lo priva di relazioni giuridiche che contribuiscono a formare la sua identità e a consolidare la sua dimensione personale e patrimoniale, in contrasto con gli articoli 31, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
D.ssa Elisa Ceccarelli – Magistrato dal 1967 al 2005, ha esercitato funzioni di Giudice Tutelare, poi di Giudice del Tribunale per i Minorenni e della Corte d’Appello di Milano. Dal 1997 ha presieduto il Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna