Bimbominkia: l’espressione che usata in rete diventa reato di diffamazione

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Con sentenza depositata in data 5 aprile 2022 la V sezione penale della Corte di Cassazione dichiara configurato il reato di diffamazione aggravata ex. art. 595 c.p qualora un soggetto, attraverso l’utilizzo di un social network, si rivolga ad un’altra persona, ovviamente assente, con l’epiteto di “bimbominkia”.

Si tratta di diffamazione aggravata in quanto la fattispecie viene ricompresa nel comma 3 dell’art. 595 c.p., secondo il quale costituisce condotta più grave quella di colui che insulta attraverso mezzi di comunicazione pubblica, come il web.

In generale, il bene tutelato dalla disciplina del reato di diffamazione è costituito dalla reputazione che il mondo esterno ha di un individuo. Risulta necessario alla configurazione del reato in esame è l’individuabilità della persona offesa, anche per esclusione o deduzione. Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, esso è punito, al primo comma, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro, mentre nel caso di reato di diffamazione a mezzo social, si applicano le sanzioni previste al comma 3 dell’art. 595 c.p., cioè la reclusione da sei mesi a tre anni o la multanon inferiore a 516 euro.

Tornando al caso di specie, secondo quanto acclarato dalla Suprema Corte, l’appellativo “bimbominkia” acquista un significato molto offensivo, perché descrive una persona come “mentalmente ipodotato”, ossia una persona con un quoziente intellettivo al di sotto della media. Risulta evidente la lesione dell’onore, della dignità e della reputazione individuale che ne deriva, soprattutto se l’espressione viene utilizzata in rete come nel caso che ha dato luogo a questa pronuncia.

Non è valsa a giustificare o a escludere il configurarsi della fattispecie di reato di diffamazione aggravata neanche l’ipotesi di esercizio del diritto di critica, avanzata dalla difesa come scriminante, poiché la Corte ha considerato come non rispettati i limiti di verità, continenza e pertinenza, tipici del diritto tirato in ballo.

Inoltre è stato ritenuto irrilevante anche il tentativo di difesa che poneva in dubbio la “pubblicità” dell’offesa, in quanto diffusa soltanto in un “post” all’interno di un gruppo chiuso. Va a tal proposito evidenziato che il numero di iscritti in un gruppo social può raggiungere cifre altissime.

Sulla scorta di quanto espresso dalla Suprema Corte, che già in precedenza aveva equiparato, come condotta diffamatoria, l’offesa a mezzo social a quella a mezzo stampa, è possibile affermare che il termine “bimbominkia” finisce tra quelli banditi sul web.

Infine, è bene ricordare che, qualora ci si trovasse a ricevere offese in rete, oltre a procedere in via giudiziale, si può segnalare nell’immediato il contenuto del commento o del post, indicandolo come offensivo o inappropriato. A ciò dovrebbe seguire l’eliminazione dello stesso e o la segnalazione dell’utente responsabile.

Milena Adani

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