Prof. Marco Monzani
Dott.ssa Sabrina Bugini
Il Metodo Osservazionale fa la sua prima comparsa nel panorama della letteratura scientifica nella prima edizione del volume “Nuovi sguardi criminologici” di Marco Monzani e Sabrina Bugini, seppur le riflessioni che ne costituiscono la base risalgono a tempi meno recenti; in particolare, il seme di questo nuovo metodo di analisi è stato gettato molto tempo fa, quando si è introdotto il concetto di “reato come fenomeno relazionale”. Solo oggi, tuttavia, tale espressione può fare riferimento a contenuti organizzati e a metodi di analisi specifici.
Il Metodo Osservazionale nasce dall’incontro tra due approcci criminologici relativamente recenti, quali la Criminologia Narrativa (che si pone come obiettivo lo studio delle dinamiche criminali attraverso la narrazione dei diversi protagonisti della vicenda) e la Visual Criminology (che si pone come modalità operativa della prima, basata sulla narrazione frutto dell’osservazione, da parte dei diretti protagonisti, di immagini che riguardano la loro vicenda personale).
Il Metodo Osservazionale si pone come obiettivo la ricostruzione della criminodinamica attraverso la narrazione dei diversi protagonisti della vicenda (interni od esterni ad essa), narrazione che sarà il frutto del loro individuale “punto di osservazione”. Con tale termine si intende l’incontro tra il concetto di “punto di vista” (vale a dire un parere personale circa un determinato argomento) e il concetto di “prospettiva” (intesa come l’angolo visuale fisicamente percepibile dalla posizione fisica occupata).
Il Metodo Osservazionale si declina, poi, in “interno” ed “esterno” a seconda che l’osservatore/narratore sia interno o esterno alla relazione criminale da analizzare.
Il Metodo Osservazionale Interno (MOI) riguarda le narrazioni prodotte dai diretti protagonisti della vicenda (ad esempio autore e vittima di reato) i quali, mediante la loro ricostruzione “di parte”, offriranno la loro Verità soggettiva, frutto del loro punto di osservazione. La criminodinamica potrebbe contemplare anche la situazione nella quale soggetti terzi alla relazione entrino nella relazione stessa alterandone non solo gli equilibri ma anche le diverse prospettive e i diversi punti di osservazione. La ricostruzione di tali “movimenti” sarà alla base della ricerca delle motivazioni che hanno portato alla commissione del fatto, dunque della criminodinamica dell’evento.
Per quanto riguarda la posizione dei protagonisti, essa necessariamente influenzerà il loro punto di osservazione: è come se all’interno di una stanza ciò che è possibile vedere dipenderà anche dalla posizione fisica occupata all’interno della stanza stessa. In termini metaforici la stanza rappresenta il contesto e, al tempo stesso, la relazione tra i due soggetti. Uscendo dalla metafora, ciò che potrà osservare l’autore del reato rispetto alla vittima (e viceversa) e alla loro relazione dipenderà dalla posizione soggettiva occupata all’interno di questa relazione; inoltre dipenderà dalla posizione che sta occupando in quel momento l’altro soggetto.
La ricostruzione della criminodinamica, finalizzata principalmente ad individuare il “perché” del reato, è compito non solo del criminologo, ma anche di altri professionisti incaricati di addivenire ad una “Verità processuale accettabile”, il più possibile aderente alla Verità storica, inaccessibile per definizione.
Il Metodo Osservazionale Esterno (MOE) si occupa della narrazione di questi ultimi soggetti, narrazione che dipenderà, anche in questo caso, dal loro punto di osservazione e dal ruolo processuale occupato. Anche per questi professionisti, infatti, esisteranno diverse Verità frutto della loro prospettiva, dunque della particolare metodologia scientifica (ad esempio verificazionista o falsificazionista) adottata nell’analisi della vicenda.
Se nel MOI la posizione determina il punto di osservazione, nel MOE la posizione è vincolata al ruolo processuale e il punto di osservazione è determinato dalla prospettiva. Proprio per questo potremmo trovarci nella situazione in cui due professionisti (ad esempio due giudici o due Pubblici Ministeri) in due gradi di giudizio diversi del medesimo processo, potranno addivenire a Verità processuali diverse senza per questo dover necessariamente ritenere errata una delle due.
Anche nel MOE è possibile individuare “stanze”: quella dei professionisti interessati (rappresentata dall’aula di giustizia che definisce la posizione dipendente dal ruolo) dalla quale osservano dall’esterno la stanza che rappresenta la relazione criminale oggetto di analisi.
Mentre il punto di osservazione “interno” riguarda soggetti che, seppur nelle loro reciproche posizioni, e nei loro reciproci punti di osservazione, hanno comunque potuto assistere (e vivere direttamente) i fatti oggetto di un processo, nel secondo caso ci troviamo di fronte a professionisti che non possono fare altro che tentare una ricostruzione, una narrazione, il più fedele possibile “all’originale”, di fatti ai quali non hanno assistito direttamente. Per le diverse parti del processo si tratterà di presentare “verità di parte” a un giudice super partes, nella speranza che costui le faccia proprie e le traduca nella sentenza giusta (o nella sentenza sperata). Per il giudice, invece, si tratterà di “fare propria”, o meglio, di “accogliere” una verità di parte, o di presentare una “nuova verità processuale” che potrà essere (ma anche no) il frutto della sintesi delle diverse verità di parte presentategli durante la fase dibattimentale.
Il prossimo passo, probabilmente, sarà quello di lavorare a nuovi modelli teorico-esplicativi in grado di contemplare, al tempo stesso, le dinamiche espresse sia dal MOI che dal MOE per arrivare, forse, a un nuovo modello “ibrido”, un modello di sintesi, nel quale l’analisi della relazione criminale osservata dall’interno incontri l’analisi della relazione criminale osservata dall’esterno, e viceversa.