LA GIUSTIZIA ed suoi simboli: LA BILANCIA*

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Avv. Pasquale Lattari

La giustizia – come visto nei precedenti articoli – è concetto profondo ed ampio e non è di facile rappresentazione. I simboli con i quali è da sempre rappresentata ne danno testimonianza.

La bilancia è un elemento simbolico – strumento di uso quotidiano – ricorrente in quasi tutte le rappresentazioni della giustizia.

E la raffigurazione della bilancia nella giustizia umana non è che l’estensione dell’immagine del giudizio divino. Tra i tanti esempi:

-nell’Iliade al canto 22 Zeus pesa le vite di Achille ed Ettore e poiché il piatto di quest’ultimo si calava verso il basso – la terra – fu abbandonato da Apollo dio del Sole (e sappiamo come finì…)

-in Egitto la Dea Ma’at ed Anuri sono raffigurati con bilance con cui pesano le anime e le colpe dei morti all’ingresso dell’aldilà

-nel mondo ebraico e nella Bibbia la bilancia ricorre nel giudizio di dio (Libro di Daniele 5,27 “Tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante”; così Libro di Giobbe 31, 6-7: «mi pesi Dio con bilance di giustizia e conoscerà la mia integrità»).

-alla “misura” per il giudizio sulla valutazione dei comportamenti dell’uomo fa riferimento la Parabola dei Talenti ( narrata nel Vangelo secondo Matteo 25,14-30; una parabola simile, detta parabola delle mine (unità di misura inferiore rispetto al talento) si trova nel Vangelo secondo Luca 19,12-27.): la moneta del talento – che per l’epoca corrispondeva ex sé ad unità di misura e di valore per il commercio (divenuta metaforicamente dono o capacità umana) – diventa criterio di valutazione e di giudizio della condotta da parte del Padrone.

La bilancia è strumento e simbolo di valutazione e di equilibrio: libra (bilancia) deriva da equilibrium (composto da aequi=uguale e libra=bilancia); libbra è anche moneta ed unità di misura (al pari del talento).

La bilancia, quindi, è strumento di valutazione ma anche giudizio: del bene e del male, di ciò che è corretto e ciò che non lo è, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto.

E per questo nelle mani della Donna Giustizia l’immagine della bilancia è ricorrente e prevalente ed è evocativa ed assorbente dell’idea del giudizio.

L’ immagine ed il simbolo della bilancia attiva suggestioni ed emozioni immediate e tranquillizzanti.

La bilancia è – per lo più – retta con la sinistra dalla donna/Giustizia (la dx impugna la spada): la destra è la “dritta”, la forza che rende e restituisce il colpo ma la sinistra è – al suo cospetto – “manca”. Originariamente aveva significato negativo ma che assunse nel tempo un’accezione positiva: la sinistra è la mano meno vendicativa, più lenta e quindi più riflessiva e ponderata.

Ed anche se l’immagine totale della donna/giustizia non dà una consecutio delle azioni – della dx e della sx – tuttavia la bilancia della mano sinistra viene usata prima della spada impugnata dalla mano destra.

la bilancia è la “libra” o bilancia a due piatti: non è la stadera ossia la bilancia ad un piatto che valuta in rapporto ad un peso assoluto esterno al piatto.

La bilancia/libra pesa e valuta comparativamente i due piatti, le due posizioni in conflitto e “Solo il giudizio divino finale è categorico…in effetti nelle rappresentazioni del giudizio finale il Cristo non pesa ma separa l’umanità in due…”[2]

la bilancia a due piatti è aperta ed accogliente.

la libra può accogliere e valutare le ragioni di un cittadino in rapporto a ciò che la legge (positiva o anche morale) prescrive…

I due piatti simboleggiano anche il doppio lato della giustizia[3]: il rigore e la clemenza, il diritto e l’equità, la lettera della legge ma anche i valori a cui si ispira i principi superiori dell’ordinamento.

-la bilancia a due piatti evoca non solo la corrispettività ma anche la comparazione: ciò che si pesa sui due piatti rende diverse riflessioni sia sotto il profilo processuale e procedurale – che è presupposto – del giudizio sia della pesatura finale:

-le parti devono avere stesse opportunità/possibilità di mettere e far pesare sulla bilancia le loro ragioni

– la dignità delle parti è e deve identica sia nella fase procedurale che nella valutazione dell’esito del percorso

– la valutazione circa l’intero procedimento è affidata ad un terzo e per questo

– il terzo deve essere imparziale e idoneo alla valutazione

– l’intero percorso – sia procedurale che finale – deve poter essere verificato, riscontrato coram populo pubblicamente ed in modo trasparente

– il giudizio finale – in caso di differente posizione dei piatti – comporta che anche le ragioni di chi “pesa meno” hanno dignità e vanno valutate.

E l’immagine della bilancia attiva una domanda: la giustizia deve solo constatare il disequilibrio oppure la giustizia deve riequilibrare i piatti??

E ciò attiva – ed ha attivato – profonde riflessioni giuridiche e giudiziarie e distanti risposte e soluzioni derivanti proprio dalla diverse visioni della giustizia: in ambito penale per es. la giustizia retributiva che applica la sanzione penale per riequilibrare i piatti della bilancia, la giustizia rieducativa inserisce nel riequilibrare i piatti la rieducazione del reo; la giustizia riparativa aggiunge a tale fine anche la vittima ed i pregiudizi ricevuti sin’ora poco “valutati” o meglio valutati solo sotto i profilo economico e risarcitorio.

Ma l’immagine ed il simbolo della bilancia può attivare anche emozioni e suggestioni negative ed opposte a quelle positive.

– La bilancia ispira sensazioni di angoscia e di minaccia:

“Per chi è accusato è meglio muoversi che star fermi, perché quello che sta fermo può trovarsi su una bilancia ed essere pesato con tutti i suoi peccati” [4]

– la bilancia non è detto che sia uno strumento giusto: lo strumento attiva il timore sia circa il suo funzionamento che circa l’alterazione da parte di chi lo usa; e soprattutto permane sempre la paura della parzialità della valutazione del risultato:

a – la bilancia ha bisogno di continua manutenzione e verifica affinché i suoi elementi ed ingranaggi la rendano funzionale ed efficiente all’uso

b- le posizioni delle parti sulla bilancia non sono uguali: spesso sono divergenti in ragioni del potere e del censo…etc…e ciò sia nel momento procedurale di accesso allo strumento – cosa si può mettere sul piatto e cosa può pesare – che nel momento del giudizio finale

c- l’uso della bilancia e della valutazione dell’esito – affidata ad un terzo – comporta il pericolo incombente di parzialità

d- la bilancia può essere immagine di uno strumento ipocrita nelle mani del potere o del potente di turno: “bisognava che usasse (Don Rodrigo ndr) certi riguardi, tenesse in conto parenti, coltivasse l’amicizia di persone alte, avesse una mano sulle bilance della giustizia, per farle a un bisogno traboccare dalla sua parte, o per farle sparire , o per darle anche, in qualche occasione, sulla testa di qualcheduno che in quel modo potesse servir più facilmente che con l’armi della violenza privata.”[5]

Il giudizio ex sé è fonte di rischio, di timore ed angoscia: si pensi allo studiato ed acclarato fenomeno della cd. Vittimizzazione secondaria…i pregiudizi psicologici, relazionali che subisce la vittima di un reato nel dover affrontare il giudizio dopo aver patito quelli della primaria vittimizzazione derivante dal reato oppure ai casi di errori giudiziari che si scoprono magari dopo che il reo ha scontato anni di carcerazione

* Vd il recente G Zagrebelsky La giustizia come professione Torino 2021 pg 57 e segg.ti e P.Lattari La giustizia riparativa Una giustizia umanistica e dell’incontro Milano 2021

[2] Zagrebelsky op.cit.pg 72.

[3] “non è detto che i piatti della bilancia siano contenitori delle ragioni dei litiganti. Potrebbero perfettamente simboleggiare il doppio lato della giustizia, del quale la giustizia debba tener conto: il rigore e la clemenza. “Zagrebelsky op cit pg 74)

[4] Josef K in “Il Processo F.Kafka”

[5] A. Manzoni I promessi sposi cap XIX. E – per restare con l’autore – in riferimento agli aspetti negativi circa la bilancia della giustizia ed alle sue disfunzionalità – che magari possiamo aver esperimentato – ben possiamo concludere: ”Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.“ (Alessandro Manzoni, I promessi sposi cap. VIII).

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