TRANSAZIONE E RINUNCIA: AFFINITÀ CONCETTUALI ED OGGETTIVE

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Prof. Pasquale Dui

Si discute in dottrina circa la possibilità di ravvisare affinità concettuali ed oggettive tra la transazione ed i negozi abdicativi, segnatamente la rinuncia.

Analogamente a quanto verificato in materia di negozio di accertamento, non è rinvenibile una definizione giuridica che permetta di determinare la natura e l’efficacia della rinuncia.

Trattasi, all’evidenza, di una fattispecie a carattere generale, suscettibile di essere utilizzata in diversi ambiti dell’ordinamento giuridico (si consideri la fattispecie particolare affrontata da Trib. Nola, 14.3.2005, n. 793, www.studiolegale.leggiditalia.it, secondo cui “la rinuncia a un diritto di credito attribuito da una sentenza non costituisce donazione, ma transazione, quando la sentenza non sia ancora passata in giudicato e il debitore assuma contestualmente delle obbligazioni legate alla rinuncia da un nesso di sinallagmaticità”).

La dottrina più remota sosteneva l’esistenza di una possibile similitudine tra transazione e rinuncia, non foss’altro per la definizione stessa della transazione e per le rinunce che ne costituiscono indubbiamente una caratteristica generale e fondamentale. In una diversa e più articolata concezione, peraltro, si prospettava l’esistenza di un carattere comune tra i due istituti, costituito dalla attitudine alla composizione di una lite.

Ma l’errore metodologico e concettuale di questa prospettazione sta nel fatto che essa si colloca in riferimento ad una fase funzionale della transazione, considerato che il tratto comune delle due fattispecie veniva indicato nella abdicazione delle parti interessate alla lite e, dunque, nel ricorso alla funzione giurisdizionale, mirata, segnatamente, all’accertamento della situazione controversa (res litigiosa) ed attuata materialmente con la sottrazione alla possibile cognizione del giudice del contenuto della controversia stessa e della cognizione in un processo di accertamento e/o di condanna.

Tra la rinuncia e la transazione, invero, esiste una profonda diversità. Innanzitutto, sotto il profilo strutturale, la rinuncia viene definita come un negozio unilaterale che, a sua volta, per la condizione di efficacia, può essere recettizio o meno. L’effetto determinante della rinuncia consiste nella materiale ed effettiva dismissione del diritto. Se tale effetto dismissivo è subordinato dalla legge all’effettiva conoscenza o accettazione di un altro soggetto, ci si trova di fronte ad un negozio bilaterale (emblematico, a questo proposito, il costrutto fattuale esaminato da Trib. Lecce, 14/10/2020, n. 2254 (www.studiolegale.leggiditalia.it):

La transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di modo che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti. Pertanto, al di fuori dell’ipotesi di un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se le stesse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto controverso. Nel caso di specie, avente ad oggetto l’acquisto di un bene difettoso, il Tribunale non ha qualificato il documento prodotto dalla società convenuta quale transazione novativa, in quanto dallo stesso non emergeva alcun elemento da cui desumere l’insorgenza di nuove, reciproche obbligazioni oggettivamente diverse, e incompatibili, da quelle preesistenti, difettando altresì una reciproca rinuncia commisurata alle posizioni assunte in lite dalle parti).

Questo punto specifico ha indotto alcune interpretazioni volte ad ammettere, dunque, nei casi suddetti, l’affiancamento ad una attività negozialmente efficace, dell’ulteriore requisito della accettazione di un altro soggetto.

Appare evidente come da ciò scaturisca un problema di inquadramento della figura giuridica in termini molto articolati e complessi, quantomeno per l’oggettiva impossibilità di riconduzione ad una categoria unitaria, non potendosi negare che la partecipazione di un altro soggetto possa essere richiesta dalla legge, sia a finalità di mera ricezione e/o conoscenza, sia a finalità di composizione della fattispecie giuridica specifica. In altri termini, occorre prendere atto di una doverosa contrapposizione tra una partecipazione del soggetto implicato in termini di semplice efficacia recettiva o, piuttosto, in termini di efficacia costitutiva. In questo senso può estrapolarsi il confine definitorio tra una asserita natura non recettizia della rinuncia unilaterale abdicativa, ritenendosi sufficiente per il perfezionamento della relativa fattispecie caratterizzante la semplice esteriorizzazione dell’iniziativa, senza che quest’ultima debba essere portata a conoscenza di eventuali soggetti interessati. In via di principio, peraltro, in termini generali, non può escludersi che la rinuncia del titolare di un diritto comporti una sostituzione di un altro soggetto nella posizione giuridica corrispondente. Il caso della rinuncia all’eredità costituisce un’applicazione paradigmatica di questa regola.

Ma, al di fuori di questo caso, subentrando un soggetto terzo, si profilerebbe una rinuncia c.d. “traslativa”, la quale dovrebbe giocoforza innestarsi in una qualsivoglia fattispecie contrattuale per avere un qualche senso (anche se il punto specifico trattato dalla sentenza sarà approfondito più avanti, in un capitolo specifico, si consideri il contenuto di Cass. civ., sez. II, 3.1.2011, n. 72, secondo cui “Nei contratti come la transazione, per i quali la forma scritta è richiesta soltanto ad probationem, poiché la legge non prescrive la contestuale sottoscrizione delle parti contraenti, l’eventuale mancanza di sottoscrizione di una di esse può essere sostituita dall’inequivocabile manifestazione della volontà di avvalersi del negozio documentato nella scrittura incompleta, in particolare mediante la produzione della stessa in giudizio o l’intervenuta accettazione della medesima fatta allo scopo di avvalersi dei suoi effetti negoziali).

Osservando il fenomeno da una diversa angolazione, quella della posizione soggettiva in cui si riconosce e riflette la rinuncia, non può certamente negarsi che tale posizione fuoriesce dalla disponibilità – o sfera – giuridica del rinunciante. Nel momento in cui il titolare di un diritto si spoglia della propria posizione soggettiva, ad esempio per trasferire il diritto corrispondente ad altro soggetto, la fattispecie ordinaria viene a differenziarsi nettamente, si oltrepassa il perimetro definitorio della rinuncia pura e semplice, per passare ad una fattispecie c.d. “traslativa”.

In buona sostanza, proprio la funzione giuridica della rinuncia richiede che essa si realizzi pienamente ed esclusivamente attraverso l’esercizio del potere di dismissione e del corrispondente atto di abdicazione del proprio diritto: in questi termini la stessa si autodefinisce quale fattispecie negoziale a sé stante ed autosufficiente, essendone presupposto essenziale la sua dichiarazione formale, indipendentemente dagli effetti che la stessa comporti.

LA RINUNCIA NELL’ORDINAMENTO GIUSLAVORISTICO

L’ordinamento lavoristico, per ragioni sufficientemente conosciute, ha sviluppato una fitta serie di garanzie a vantaggio del lavoratore dipendente, che ne caratterizzano la posizione in modo notevolmente differente rispetto alle parti degli altri contratti (tipici e atipici). Si tratta di garanzie che riguardano le situazioni soggettive di vantaggio riconosciute a favore del lavoratore e che trovano la loro ragione di essere nella particolare rilevanza sociale degli interessi tutelati.

Molte di queste garanzie trovano il contrappeso nella stessa struttura naturalmente inderogabile delle norme dell’ordinamento lavoristico, quale rovescio della medaglia. Si tratta di configurare così la regola della parziale indisponibilità dei diritti dei lavoratori, secondo il sistema prefigurato sul piano delle garanzie sostanziali, dall’art. 2113 c.c. Gli atti (rinunce o transazioni) con cui il lavoratore dispone dei propri diritti previsti da norme inderogabili sono soggetti ad un regime di annullabilità e sono, di fatto, “neutralizzati” per tutta la durata del rapporto di lavoro.

Sullo stesso fronte delle garanzie dei diritti, occorre dar conto del peculiare regime della prescrizione dei diritti dei lavoratori, che, almeno in taluni contesti, sulla base di una nota giurisprudenza costituzionale, riceve una regolamentazione diversa a fronte degli altri diritti.

Il sistema delle garanzie si svolge poi attraverso la predisposizione di una tutela giurisdizionale differenziata, caratterizzata da un rito speciale, finalizzato ad una realizzazione effettiva dei diritti dei lavoratori. Alla tutela propriamente giudiziale si affianca poi uno specifico apparato diretto alla composizione stragiudiziale delle controversie, attraverso la conciliazione e l’arbitrato.

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