IL CONTRATTO DI TRANSAZIONE: NOZIONE ED INQUADRAMENTO

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Prof. Pasquale Dui

La transazione è il contratto con il quale le parti pongono fine ad una lite già insorta ovvero impediscono che possa sorgere facendosi reciproche concessioni (art. 1965 c.c.).

Si distingue la c.d. transazione conservativa, con la quale le parti si limitano a regolare il rapporto preesistente mediante reciproche concessioni, senza crearne uno nuovo, dalla c.d. transazione novativa, o anche “innovativa”, con la quale si perviene all’effetto di determinare l’estinzione del precedente rapporto ottenendo il risultato di una sostituzione integrale, ciò anche e soprattutto attraverso il prospettarsi di una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello dell’accordo transattivo, conseguendone, oltremodo, l’insorgenza da quest’ultimo di un’obbligazione oggettivamente diversa dalla precedente:

Cass. civ., sez. III, 14.7.2011, n. 15444:

La transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di guisa che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti. Pertanto, al di fuori dell’ipotesi di un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto controverso.

Vedi anche Cass. civ., sez. lav. 14.6.2006, n. 13717.

La transazione si definisce “generale”, quando le parti in lite chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti, quando l’accordo investe, cioè, ogni contrapposta pretesa rispetto ai rapporti in essere tra le parti: Cass. civ., sez. VI-1, ordinanza, 20 maggio 2020, n. 9206, in motivazione, laddove si legge che

Secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, si ha transazione “generale”, quando le parti in lite “chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti”, quando l’accordo investe, cioè, “ogni contrapposta pretesa” rispetto ai rapporti in essere tra le parti (cfr., di recente, Cass., 5 luglio 2019, n. 18129). A questo criterio si è indubbiamente attenuta la sentenza impugnata, che ha per l’appunto rilevato come la transazione esaminata concernesse tutte le contrapposte pretese correnti tra le parti. Lo stesso ricorrente, d’altro canto, non viene a isolare, in proposito, altre pretese, o rapporti, che le parti dell’accordo in questione abbiano trascurato o comunque lasciato da parte. È da aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la transazione generale può essere impugnata ex art. 1971 c.c., solo se la pretesa complessivamente fatta valere da una parte sia “totalmente” infondata e sempre che la stessa versi in mala fede (Cass., 25 settembre 2015, n. 19023; Cass., 3 aprile 2003, n. 5139).), verosimilmente anche laddove non nominata e/o indicata espressamente”.

L’impostazione prevalente qualifica la transazione come un contratto a titolo oneroso, bilaterale (o anche plurilaterale), con prestazioni corrispettive.

La dottrina ha osservato che la nozione fornita dall’art. 1965 c.c. non individua un tipo contrattuale in base al contenuto di una o entrambe le prestazioni, ma descrive una funzione assolvibile da qualsiasi prestazione di cui le parti possano disporre: porre fine ad una lite già incominciata o prevenire una lite che può sorgere. Questo, invero, non comporta che la transazione possa essere qualificata come portatrice di una sorta di causa generica – o multivalente – e così tale da potersi “innestare”, sic et simpliciter, nella funziona causale e tipica di altri contratti.

Il contratto di transazione, in questo senso, deve ritenersi quale istituto dotato di caratteristiche molto peculiari, quantomeno in ragione della duplice circostanza per cui il sacrificio di ognuno dei contraenti, da un lato, può assumere qualsivoglia contenuto, e, dall’altro lato, deve essere funzionalmente finalizzato a porre fine ad una lite, attuale o potenziale.

La dottrina più tradizionale, in una visione e prospettazione concettuale e pragmatica, individua e focalizza nel contratto di transazione il riferimento ad una lite “futura”, nel senso più estremo del termine, sulla base della considerazione per cui le reciproche concessioni possono, normalmente ed in via naturale, riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili (Cass. civ., sez. I, ordinanza, 17.5.2019, n.  26528, la quale aggiunge, sotto un altro profilo, che il presupposto della res dubia che caratterizza la transazione è integrato non dalla incertezza obiettiva circa lo stato di fatto o di diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlate situazioni giudiziali ed ai rispettivi diritti ed obblighi delle parti. Nessuna incidenza sulla validità e sulla efficacia del negozio può attribuirsi quindi all’accertamento ex post della assoluta infondatezza di una delle contrapposte pretese). Sul punto, per la necessarietà della esatta individuazione della lite, si veda già Cass. civ., sez. I, 19/07/1979, n. 4298: “L’assoggettamento della transazione alla forma scritta, a norma dell’art. 1967 c.c., implica che la transazione medesima è configurabile solo quando in un documento scritto, siano evidenziati i suoi elementi essenziali, ivi compresa la reciprocità delle concessioni, diretta a porre fine ad una lite in atto od a prevenire una lite futura e la menzione di tale lite. Pertanto, una scrittura privata che attesti esclusivamente l’avvenuta consegna di una somma di denaro, ancorché con il rilascio di ampia quietanza liberatoria da parte del soggetto che la riceve, non può avere valore transattivo, e lascia impregiudicato il diritto di avanzare ulteriori pretese per un titolo diverso da quello che ha dato luogo al pagamento, pur se inerente ad un rapporto unitario”.

Sotto questo profilo, può essere interessante sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha dichiarato che, per fattispecie complesse, comportanti eventualmente l’instaurazione di più liti, anche su fronti diversi, in relazione a numerose questioni tra loro controverse, l’affermazione contenuta nel contratto di transazione (secondo formule tipicamente rinvenibili nell’esame di atti di transazione), di “non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto”, non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali, dal momento che a norma dell’art. 1364 c.c., in tema di interpretazione del contratto, le espressioni usate nei  contratti, per quanto generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire e/o contrattare. In questi termini, laddove un contratto di transazione riguardi soltanto alcuna delle questioni, esso non si estende, malgrado l’ampiezza dell’espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all’accordo, il cui oggetto finale e caratterizzante deve essere determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto, con un apprezzamento che, laddove privo di vizi di motivazione e tale da superare profili di illogicità, è esente da censure ulteriori in sede di controllo di legittimità (in presenza della c.d. congrua motivazione) (Cass. civ., sez. I, ordinanza, 18.5.2018, n. 12367).

Presupposto della transazione è dunque la preesistenza di una lite, da qualificarsi come espressione di un conflitto di interessi nella esternazione o manifestazione di una pretesa giuridica, la quale a sua volta deve essere tanto attuale, quanto concreta ed effettiva, dovendosi risolvere in una specifica contestazione sulla esistenza (qualità) o sulla misura (quantità) del diritto posto a fondamento della pretesa azionata o azionabile.

D’altro canto, la giurisprudenza richiede, quale elemento ulteriore, l’esistenza di uno stato di incertezza soggettiva, affermando che affinché un negozio/contratto possa essere considerato transattivo è necessario, da un lato, che esso abbia ad oggetto una res dubia, e cioè cada sopra un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere d’incertezza, e, dall’altro lato, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche, nel senso che ognuno sacrifichi qualcuna delle sue pretese in favore dell’altro contraente, indipendentemente da qualsiasi rapporto di equivalenza fra datum e retentum (Cass. civ., sez. III, 1.4.2010, n. 7999). Queste c.d. “reciproche concessioni”, in via di fatto e di diritto, devono configurarsi strutturalmente in una sorta di parziale rinuncia (dismissione) rispetto alle istanze originarie, sia potenziali, sia attuali, riconducibili al novero dei diritti disponibili delle parti contrapposte, così come palesate (Cass. civ., sez. II, 25.10.2013, n. 24169, la quale sottolinea che non è qualificabile come transazione l’accordo con cui una parte riconosce integralmente l’altrui pretesa, senza alcuna concessione in suo favore; Cass. civ., sez. II, 3.1.2011, n. 72).

In dottrina si evidenzia, a questo proposito, la assorbente e fondamentale circostanza  che le concessioni reciproche possono avere il contenuto più vario e non debbono necessariamente manifestarsi integralmente ed esaustivamente nell’àmbito del rapporto controverso, essendo consentito dalla legge (art. 1965, comma 2) che esse incidano su beni e diritti estranei alla controversia (testualmente, Cass. civ., sez. I, 9.7.2003, n. 10794) e, in ogni caso, le rispettive tali posizioni vadano intese – con un esercizio doveroso di astrazione – in relazione alle reciproche pretese e contestazioni e non già in relazione alla natura, qualità e quantità dei diritti effettivamente spettanti in capo alle parti contrapposte, quantomeno secondo l’impostazione e la conseguente visuale di matrice oggettiva che la legge stessa presuppone, nella considerazione naturale della fattispecie astratta dell’istituto giuridico.

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