Prof. Pasquale Dui
La funzione naturale dei negozi giuridici è essenzialmente dispositiva, basti pensare ad atti come il contratto, il testamento e via dicendo. Accanto ad essi si collocano i c.d. negozi di accertamento, attraverso i quali, sovente, le parti mirano esclusivamente a chiarire l’esatta interpretazione di una o più clausole di un atto, quale che sia la sua specifica natura. Questa operazione di ricognizione può rendersi necessaria in seguito alla presa d’atto dell’incertezza di un articolato contrattuale, verosimilmente strutturato e complesso e, per ciò stesso, naturalmente idoneo a poter fare emergere ambiguità nel regolamento convenzionale degli interessi in gioco. Lo scopo evidente, in questo senso, è quello di prevenire ed eliminare uno stato di incertezza. Se le parti stabiliscono di comune accordo il significato da attribuire ad una clausola di un contratto tra loro esistente compiono una operazione concettualmente riconducibile ad una sorta di “interpretazione autentica”.
Secondo una impostazione interpretativa, anche la transazione potrebbe – o dovrebbe – rientrare nel novero dei negozi di accertamento, considerata la circostanza che sostituisce ad una situazione giuridicamente incerta una situazione certa, dimenticando invero che già dall’art. 1965 c.c., che definisce l’istituto della transazione, può rilevarsi come quest’ultima, in un gran numero di ipotesi, non si limita solo a definire il rapporto esistente tra le parti, ma introduce elementi nuovi, come si deduce direttamente dal comma 2 della norma.
È configurabile anche il c.d. negozio di accertamento transattivo, che ha l’effetto di sollevare il contraente interessato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e che deve essere, oltre che esistente, anche valido (conseguendone che esso è privo di effetti se si accerti giudizialmente che il rapporto non è sorto o è invalido: cfr. Trib. Siracusa, 30.10.2020, n. 1078, www.dejure.it).
I negozi giuridici di accertamento non hanno una funzione dispositiva di un diritto o, generalmente, quella di produrre nuovi effetti giuridici, ma di dissolvere uno stato di incertezza e, sotto questo sottile profilo, in buona sostanza, quello di prevenire l’insorgenza di una controversia (Cass. civ., sez. II, 22.1.2019, n. 1636: “Il negozio di accertamento è caratterizzato dall’intento di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto, cui si collega, al fine di precisarne l’esistenza, il contenuto e gli effetti, rendendo definitive e immutabili situazioni di obiettiva incertezza”). Essi presuppongono un’incertezza, relativa a qualche profilo di un precedente rapporto giuridico, che confermano, indirizzandosi però ad eliminarla, rendendo certo ed incontrovertibile quel determinato rapporto giuridico attraverso una precisa manifestazione di volontà, da considerare vincolante per i suoi autori precludendo una futura, diversa configurazione rispetto a quella concepita ed attuata nel negozio di accertamento. Questo negozio, che ha funzione dichiarativa della precedente situazione giuridica, ha conseguentemente e naturalmente efficacia retroattiva, essendo idoneo a rimuovere lo stato di incertezza ab origine.
La natura e funzione dichiarativa del negozio di mero accertamento escludono che lo stesso possa ritenersi idoneo ai fini dell’acquisto a titolo derivativo della proprietà di un bene immobile, sulla base della constatazione che tale negozio può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, a tali fini, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo (così, specificamente, Cass. civ., sez. II, 11.4.2016, n. 7055, che aggiunge la sottolineatura della irrilevanza del fatto che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato).
In via generale va chiarito che i negozi di accertamento si differenziano dalla transazione. Sotto questo profilo, in particolare, è stato rilevato che attraverso la transazione le parti non si pongono l’obiettivo di dare certezza ai loro rapporti attraverso un accertamento, che intendono anzi evitare operando un contemperamento delle reciproche pretese che prescinde dalla effettiva portata della realtà giuridica in cui sorge la controversia.
Per quanto concerne il piano degli effetti, inoltre, è stato osservato che la transazione può indifferentemente regolare i rapporti tra le parti in senso convergente con la realtà giuridica anteriore (assumendo efficacia dichiarativa) oppure in senso divergente (assumendo in tal caso efficacia costitutiva)
La giurisprudenza, dal suo canto, evidenzia che presupposto del negozio d’accertamento è l’incertezza della situazione giuridica che esso intende eliminare, senza però alterarne il contenuto, giacché, ove la eliminazione dell’incertezza si concretasse in un accertamento difforme dall’effettivo contenuto e dall’effettiva portata del negozio accertato, la nuova situazione che ne derivasse importerebbe la costituzione di un nuovo negozio giuridico del tutto autonomo, da inquadrarsi nello schema della transazione, e non già di un negozio di accertamento. Più precisamente, secondo la S.C., il negozio di accertamento ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo, mentre la transazione postula una reciprocità delle concessioni tra le parti per effetto delle quali le parti stesse modificano la disciplina del rapporto preesistente (vedi già Cass. civ., sez. lav., 9.7.1987, n. 5999):
A differenza della transazione, con la quale le parti modificano la disciplina di un rapporto preesistente mediante reciproche concessioni, con il negozio di accertamento le parti rimuovono dubbi ed incertezze relativi ad un determinato rapporto giuridico con una regolamentazione nuova ma corrispondente alla situazione preesistente, restando pur esso soggetto (specialmente in materia di lavoro) al limite imposto dall’art. 1966 c.c., che sancisce la nullità della transazione avente ad oggetto diritti sottratti alla disponibilità delle parti.
Vedi anche, precedentemente e con più incisività, Cass. civ., sez. I, 10.1.1983, n. 161:
A differenza della transazione, che postula una reciprocità di concessioni tra le parti in modo che ciascuna di esse subisca un sacrificio, e della rinuncia, che postula l’esistenza di un diritto acquisito e la volontà abdicativa volta a dismettere il diritto medesimo, il negozio di accertamento ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo; esso non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, ma rende definitive ed immutabili situazioni effettuali già in stato di obiettiva incertezza, vincolando le parti ad attribuire al rapporto precedente gli effetti che risultano dall’accertamento, e precludendo loro ogni pretesa, ragione od azione in contrasto con esso.
La differenza tra negozio di accertamento e transazione risulta, inoltre, da una ulteriore constatazione; mentre la transazione è composizione contrattuale di una controversia attuale o prevista, e il suo contenuto si traduce in un regolamento di interessi, idoneo a modificare ed a sostituirne altro ai precedenti, con lo scopo di eliminare, mediante una reciprocità di concessioni, una lite che sia insorta tra le parti oppure di prevenirla ove vi sia pericolo di insorgenza, il negozio di accertamento, pur consistendo in un regolamento di interessi, è caratterizzato dallo scopo di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto o negozio e, perciò, di questo rapporto o negozio si limita a precisare il contenuto, l’esistenza e gli effetti. Il concetto risulta espresso, implicitamente ma incisivamente, da Cass. Civ, sez. I, 17.9.2004, n. 18737:
La transazione può avere funzione traslativa soltanto con riguardo a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti, essendo inconcepibile il trasferimento (tra le parti in lite), mediante transazione, di un diritto la cui appartenenza sia incerta perché oggetto di contestazione; a tale incertezza, peraltro, può porsi fine non solo mediante negozio transattivo, caratterizzato dalla presenza di reciproche concessioni tra le parti, ma anche mediante mero negozio di accertamento. (Nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha escluso, pertanto, l’assoggettabilità ad azione revocatoria di preteso trasferimento di proprietà immobiliare effettuato mediante atto di transazione, osservando che in realtà il giudice di merito aveva rilevato che le parti avevano stipulato un negozio di accertamento).
Si consideri, da ultimo, la seguente statuizione, di Cass. civ., sez. II, 27.4.1979:
L’arbitrato irrituale può condurre alla definizione della lite sia mediante una transazione, sia mediante un negozio di accertamento, nel quale caso le parti affidano a un terzo il compito di definire la lite non già col mezzo delle concessioni reciproche, bensì attraverso una operazione logico-giuridica diretta alla rimozione dello stato di incertezza circa l’esistenza, l’estensione e i limiti delle rispettive posizioni, con la volontà di ritenere vincolanti le conclusioni, cui il terzo perviene e di adeguare ad esse il proprio comportamento: ne consegue che la necessità di applicare ed interpretare norme giuridiche per pervenire alla determinazione conclusiva non contrasta col carattere irrituale dell’arbitrato.