Provvedimento interdittivo antimafia e controllo giudiziario: rapporti e profili problematici

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Vice Prefetto Dott.ssa Roberta Molè

Avv. Michele Pappone

La legge n. 161/2017 ha introdotto nell’impianto del Codice Antimafia una nuova misura di prevenzione patrimoniale, il “controllo giudiziario delle aziende” previsto e disciplinato dall’art. 34 bis.

La disposizione normativa nasce con la finalità di moderare gli effetti delle interdittive antimafia per le società solamente “sfiorate” da fenomeni di infiltrazione mafiosa, in cui l’occasionalità dell’inquinamento consente, in termini prognostici, il riallineamento dell’impresa in un contesto economico sano, attraverso un percorso di “bonifica” controllato da un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale. L’accoglimento dell’istanza da parte del Tribunale della Prevenzione determina, come si illustrerà nel prosieguo della trattazione, la sospensione degli effetti inibitori del provvedimento prefettizio ai sensi del comma 7 dell’art. 34 bis d.lgs 159/11.

Il nuovo schema di misura di prevenzione patrimoniale trova applicazione in via residuale rispetto alle misure ablative del sequestro e della confisca e si affianca all’amministrazione giudiziaria, già prevista e disciplinata dall’art. 34 del D.lgs 159/2011; a differenza di quest’ultima, il controllo giudiziario non comporta la temporanea estromissione del proprietario dell’azienda dall’esercizio dei propri poteri, ma implica essenzialmente poteri di controllo in capo al giudice delegato e all’amministratore eventualmente nominato dal Tribunale, graduati a seconda dei singoli casi ed in funzione delle modalità con cui la consorteria criminale ha aggredito il tessuto aziendale.

Oltre che per il mantenimento della titolarità dei beni in capo al soggetto prevenuto, l’istituto in esame si differenzia dall’amministrazione giudiziaria perché, ai sensi del comma 6 del predetto art. 34 bis, può essere avviato anche su istanza di parte.

In particolare la norma consente all’impresa attinta dal provvedimento inibitorio antimafia ex art. 84, comma 3 D. Lgs. n. 159/11, di richiedere al Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione di essere ammessa al beneficio in parola, previa impugnativa della misura interdittiva prefettizia innanzi al T.A.R..

Il controllo giudiziario è emblematico di un’evoluzione del sistema penale di prevenzione patrimoniale, che privilegia forme di vigilanza e di controllo pubblico delle attività economiche in funzione riabilitativa meno deflagranti rispetto all’acquisizione dei patrimoni aziendali contaminati da interessi illeciti.

Dal suo esordio nel nostro sistema normativo il controllo giudiziario ha avuto larga applicazione nella prassi, divenendo oggetto di svariate pronunce della Corte di Cassazione chiamata ad uniformare i diversi indirizzi, a causa della laconicità del dato normativo e dell’assenza di disposizioni di raccordo che definiscano i profili di interconnessione con il provvedimento interdittivo prefettizio, la cui impugnazione costituisce, come detto, requisito di ammissibilità dell’istanza ex art. 34 bis del D. Lgs. n. 159/2011.

In tal senso può affermarsi che l’attività dell’interprete è ancora fluida e – lungi dal riscontrarsi consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia – favorisce un’analisi in itinere, funzionale al raggiungimento degli scopi perseguiti dal legislatore.

Invero, l’art. 34 bis, comma 6 trascura di disciplinare aspetti fondamentali nell’applicazione del controllo giudiziario c.d. volontario, a iniziare dalla stessa regolamentazione dei requisiti in base ai quali accogliere l’istanza delle imprese interdette.

L’indirizzo oggi accolto dal Consiglio di Stato, e dalla Corte di Cassazione, ha enucleato i seguenti presupposti: l’occasionalità dell’agevolazione; la tenuità del contributo prestato alla consorteria criminale; la terzietà dell’impresa, sia nel senso di assenza di immedesimazione della stessa con soggetti o gruppi mafiosi, sia nel senso di mancato conseguimento di vantaggi e utilità; la positiva prognosi del Tribunale della Prevenzione di un riallineamento in un contesto economico sano.

L’occasionalità è, quindi, il parametro che orienta la discrezionalità giudiziaria, in quanto consente il vaglio prognostico sulla base degli elementi che in concreto caratterizzano la fattispecie.

Tale soluzione scongiura il potenziale rischio che le imprese destinatarie di certificazioni interdittive antimafia possano strumentalizzare l’istituto del controllo giudiziario e fruirne al sol fine di aggirare le conseguenze derivanti dal provvedimento prefettizio; il decreto di ammissione alla procedura di cui all’art. 34 bis comporta, infatti la sospensione ope legis degli effetti del provvedimento inibitorio prefettizio.

La Corte di Cassazione al riguardo ha precisato che “l’ammissione al controllo giudiziario, per un’impresa raggiunta da una ‘interdittiva prefettizia’, non può accettare alcun automatismo (…) altrimenti lo scrutinio sarebbe meramente formale e l’accesso al ‘controllo giudiziario’ si tradurrebbe in un diritto potestativo dell’impresa” (Corte di Cassazione Penale, Sez. 5, sent. n. 34526/2018).

L’ammissione al controllo giudiziario, pertanto, sospende per la durata dello stesso gli effetti dell’interdittiva, ma non riabilita l’impresa, presupponendo, al contrario, la sussistenza e la permanenza del provvedimento interdittivo.

Nel descritto contesto va analizzato il contrasto giurisprudenziale che è insorto sulla sorte del provvedimento interdittivo prefettizio a seguito della scadenza del controllo giudiziario.

La distonia del sistema ben si coglie ponendo mente agli effetti diametralmente opposti che discendono dai due istituti in esame. Invero, l’interdittiva antimafia, che attinge il soggetto economico non ritenuto meritevole di fiducia da parte delle istituzioni pubbliche, paralizza l’impresa nei rapporti con la P.A., escludendola dal circuito delle commesse pubbliche; la logica sottesa all’istituto del controllo giudiziario è, invece, quella di consentire alla medesima compagine societaria di continuare a gestire rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, nonostante la presenza della predetta certificazione interdittiva antimafia.

In particolare, ad oggi non è chiaro se il controllo giudiziario produca un effetto meramente sospensivo dell’informazione interdittiva, facendola rivivere non appena la misura giunga allo spirare del termine, oppure se il controllo giudiziario comporti un effetto caducatorio dell’informazione antimafia al completamento della misura in modo positivo per la società.

Al riguardo non si registra unicità di orientamento.

Secondo un primo indirizzo, la scadenza del controllo giudiziario comporterebbe, in assenza di un’ulteriore misura di prevenzione da parte del Tribunale, la caducazione automatica degli effetti della certificazione interdittiva, avendo la società completato il proprio percorso di emendamento. Rimarrebbe in tal caso la possibilità per la Prefettura di emanare un nuovo provvedimento ove emergessero elementi significativi nuovi o precedentemente non valutati. Tale opzione ermeneutica, pur in presenza di un favorevole esito del periodo di controllo, implica comunque un effetto che non è previsto dalla legge e che può porsi, altresì, in contrasto con l’originaria informativa antimafia spesso ancora al vaglio del Giudice Amministrativo.

Secondo altra interpretazione, alla scadenza della misura giudiziaria il provvedimento interdittivo riprenderebbe automaticamente vigore, essendo l’effetto sospensivo limitato alla mera vigenza del controllo giudiziario. In quest’ultima ipotesi, in caso di esito positivo del controllo giudiziario, la certificazione antimafia, per essere elisa dal mondo giuridico, dovrebbe essere aggiornata con una nuova istruttoria da parte della Prefettura. Tale attività di valutazione dovrebbe essere espletata in maniera tempestiva e senza soluzione di continuità tra la scadenza della misura di prevenzione e l’emanazione di un nuovo provvedimento dell’Amministrazione prefettizia, in quanto la reviviscenza dell’efficacia del  provvedimento interdittivo prefettizio comporterebbe la cessazione dei contratti stipulati sotto la vigenza del controllo giudiziario, in tal modo vanificando la ratio che sottende l’istituto del controllo giudiziario, ossia il contemperamento dell’interesse generale di tutela della sicurezza pubblica con quelli, altrettanto primari, dell’utilità sociale dell’impresa e della tutela dei livelli occupazionali.

A tali incertezze interpretative si aggiungono, nella prassi operativa, le criticità che discendono dal mancato coordinamento dei due istituti e, in particolare, dallo scarto temporale esistente tra la scadenza della misura del controllo giudiziario e l’emissione di un nuovo provvedimento prefettizio basato su aggiornate valutazioni in ordine ai presupposti che giustifichino l’eventuale mantenimento della misura interdittiva. Evento pressoché inevitabile, in quanto l’attività valutativa degli ulteriori elementi forniti dalle Forze dell’Ordine – oltre che dalle stesse relazioni trasmesse dall’amministratore giudiziario – richiede un arco temporale per le acquisizioni istruttorie e di vaglio delle stesse disarmonico rispetto a quello necessario, in guisa che risulta difficile confermare o modificare le informazioni antimafia prima o in coincidenza con lo spirare del termine del beneficio accordato dal Tribunale della Prevenzione, o assumere decisioni su un’eventuale domanda di proroga della misura ex art. 34 bis sopra richiamato.

Invero, anche in tale ipotesi si pone il problema interpretativo di comprendere se il provvedimento interdittivo – una volta cessata la misura e non ancora intervenuta una decisione sull’istanza di proroga – riacquisti piena efficacia, oppure se l’efficacia rimanga sospesa in attesa della decisione del Tribunale Penale sull’istanza di proroga.

In ogni caso la richiesta non può rappresentare una mera estensione non motivata della misura giudiziale, dovendo essere strettamente legata a pregnanti motivazioni collegate all’attività di “self cleaning” della società, di cui deve essere verificato il positivo percorso di attuazione. Diversamente, la richiesta di proroga potrebbe tradursi in un tentativo di eludere gli effetti delle certificazioni interdittive antimafia.

Se alle difficoltà applicative sopradescritte si aggiungono le discrasie esistenti tra i provvedimenti giudiziari e prefettizi, ben si comprende l’urgenza di un intervento legislativo che risponda alle attuali e numerose proposte di riforma, tese non solo al coordinamento dei due procedimenti ma, più in generale, a rendere effettivi i profili premiali che il legislatore ha inteso perseguire con l’introduzione dell’istituto, per favorire ancora più efficacemente il contrasto preventivo alla criminalità organizzata.

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