di Giuliano Ceradelli
Premessa
L’attuale concentrazione di CO2 nella nostra atmosfera è di poco superiore allo 0.04% (419 ppm o parti per milione). Tra antropica e naturale, questo gas serra è ritenuto responsabile, a torto o a ragione, dell’attuale cambiamento climatico e degli eventi meteorologici estremi che si verificano in varie regioni del globo. Forse molti non sanno però che se anche oggi smettessimo improvvisamente di emettere anidride carbonica, essa continuerebbe a mantenersi nella nostra atmosfera ancora per migliaia di anni prima di essere assorbita, a livello oceanico, e farci tornare ai livelli pre-industriali di poco meno dello 0.03%. – (Ralph Keeling – Direttore del Programma di Oceanografia Scripps a Mauna Loa).
L’assorbimento da parte delle piante attraverso la fotosintesi clorofilliana è altrettanto molto lento (in media una pianta, raggiunta la sua maturità, può assorbire dai 20 ai 50 kg CO2 all’anno).
Quanto sopra significa che, ammesso e non concesso che la teoria AGW (Anthropogenic Global Warming) sia corretta e cioè che sia l’uomo e la sua CO2, e non fattori naturali, la causa della così detta “crisi climatica”, il clima non cambierà, ovvero seguirà il suo corso naturale, come ha sempre fatto, non ostante qualsivoglia ampia e costosa azione possa intraprendere l’umanità per la sua mitigazione. Non esiste infatti alcun termostato che l’uomo possa azionare per regolare le temperature del globo. Meno costose e certamente più efficaci sarebbero invece delle politiche di adattamento al clima, su tutto il territorio, specie in quei Comuni montani spesso trascurati proprio perché piccoli e lontani dal clamore mediatico, accoppiate a forti misure per ridurre gli sprechi in ogni settore delle attività umane, con azioni per l’abbattimento dell’inquinamento di suoli, cieli ed acque, una costante attenzione alla preservazione della biodiversità e tutti quegli interventi mirati alla riqualificazione dei centri storici per proteggere le popolazioni da eventi sismici, ed opere contro il dissesto idrogeologico del territorio nelle aree più a rischio.
Pertanto il tema del cambiamento climatico non si risolve semplicemente abolendo e sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili (sole e vento) e con la mobilità elettrica. L’attività mineraria necessaria a questa trasformazione, insieme al problema della dismissione a fine vita di pannelli solari, pale eoliche e batterie con i loro componenti tossici rischia di minacciare la biodiversità superando sicuramente quelle evitate per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
1 – Il Green Deal Europeo
A metà luglio 2021 la Commissione Europea ha presentato il Piano Fit to 55, un “pacchetto” di misure legislative del “Green Deal” europeo (sul modello del Green New Deal americano) volto ad ottenere la riduzione del 55% delle emissioni antropiche di CO2 entro il 2030 e a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, secondo il dettato dell’Accordo di Parigi del 2015, sottoscritto da più di 160 paesi, che si basa sul fatto che il livello di emissioni è deciso volontariamente dai singoli stati e l’Organismo di controllo verifica se vengono raggiunti gli obiettivi prefissati dai singoli stati su base volontaria, senza vincoli se non quelli morali. Tale obiettivo è stato ribadito nell’ultimo G20 di Napoli del 23 luglio 2021 dove si è discusso di clima e di energia tra i venti Paesi che rappresentano l’80% del Pil mondiale che producono oltre l’85% delle emissioni di gas serra. Lo scopo del G20 era cercare di imbarcare sul “convoglio” della “transizione verde” le economie basate sul petrolio ed il carbone come quelle della Cina, dei Paesi Arabi, della Russia, dell’India, del Brasile e di altri paesi emergenti. Il risultato è stato parziale e solo su temi accessori. Il tutto è quindi rimandato alla prossima COP 26 (Conference of The Parties # 26) di Glasgow (fine ottobre 2021), anche se pensiamo che le “resistenze” di alcuni paesi persisteranno per quanto diremo in seguito.
Un obiettivo, quello della “decarbonizzazione” entro il 2050, quanto mai ambizioso che si basa in realtà su una congettura, diventata col tempo narrazione dominante e dogma da rispettare, almeno in Occidente, ma non globalmente condivisa forse anche perché non dimostrata scientificamente in modo inoppugnabile – infatti la comunità scientifica mondiale è fortemente divisa su questo punto – secondo cui le attività umane con l’uso dei combustibili fossili e le emissioni in atmosfera di anidride carbonica (che, ricordiamo, è il “secondo” più importante gas serra dopo il vapore acqueo presente in atmosfera al 3-4%) sarebbero la causa del presente cambiamento climatico, indicato come responsabile, fra l’altro, di un continuo aumento della frequenza di fenomeni meteorologici così detti “estremi” come ondate di calore, siccità, alluvioni, uragani, tifoni, calamità in genere e scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, acidificazione degli oceani, desertificazione, ecc. In effetti dal 1850 ad oggi, la temperatura del pianeta è aumentata di circa 0,9°C, ma le temperature, a differenza della concentrazione di anidride carbonica che ha avuto un andamento monotonico in costante crescita, non sono cresciute allo stesso modo, cioè in modo lineare. Si è sì rilevato un riscaldamento, ma modulato da continue oscillazioni e pause. Pertanto la teoria per cui sarebbe la CO2 dell’uomo a provocare il cambiamento climatico è semplicemente basata su un’ipotesi, con una vistosa violazione del metodo scientifico perché il metodo scientifico richiede che le ipotesi modellistiche con le quali l’ONU/IPCC (Intergovernamental Panel for Climate Change) ha ventilato tale tesi, siano confermate dai dati, ma i dati sperimentali non corrispondono alle previsioni dei modelli CMPI3 e CMIP5 sui forzanti naturali. Quindi la supposizione che il 100% del riscaldamento dal 1850 al 1900 sia antropico non è validata. La predizione dei modelli climatici non è confermata da nessuna evidenza sperimentale. Infatti, non si dispone di un pianeta Terra gemello al nostro e senza l’uomo, su cui prendere le misure sperimentali necessarie per verificare la predizione del modello.
2 – I temi del Green Deal Europeo
Ma ritorniamo all’obiettivo del Green Deal europeo che contiene senza dubbio temi condivisibili e positivi come la lotta all’inquinamento, l’efficientamento energetico (anche se non certo con solare ed eolico che sono tutt’altro che efficienti), la riqualificazione dell’edilizia privata e pubblica, con particolare attenzione a quella scolastica ed ospedaliera, le grandi opere stradali, ferroviarie e portuali, il monitoraggio intelligente del nostro ricchissimo patrimonio edilizio ed infrastrutturale, l’ingegneria per la sua manutenzione, la messa in sicurezza e prevenzione del dissesto idrologico dei territori, specie dei piccoli Comuni montani. A parte questi aspetti sicuramente positivi e da perseguire con tenacia e determinazione, il Green Deal europeo ci sembra invece velleitario e poco credibile almeno sul versante della mitigazione del cambiamento climatico che non si risolve semplicemente abolendo le fonti fossili. Il clima è un sistema complesso e ancora in parte sconosciuto e ci sono connessioni complesse che partono dal cibo che mangiamo e arrivano alla biodiversità. Anche ammettendo che la teoria dominante sia corretta, dimenticandoci per un momento della succitata violazione della metodologia scientifica, e si riuscisse, in condizioni estreme, ad azzerare completamente le emissioni di anidride carbonica – gas serra inodore ed incolore, non tossico e non inquinante, ma cibo delle nostre piante (*) – la cosa avrebbe forse senso se lo facessero tutti, compresi Cina, Russia, India, Africa, Indonesia, ed altri paesi in via di sviluppo. In caso contrario non servirebbe a nulla. Al contrario, se si mettessero in atto politiche mirate di adattamento al clima, queste ultime potrebbero essere valide anche se attuate in forma unilaterale. Con il Green Deal europeo e/o americano, l’unica differenza è che per Cina, Russia, India, Africa, Indonesia, Brasile, ed altri paesi arriveranno sviluppo e crescita, mentre USA e EU – che insieme incidono solo per un 20-25% delle emissioni globali – si tireranno la zappa sui piedi da soli, peraltro senza ottenere risultati sul clima che continuerà a evolversi secondo Natura, come del resto ha sempre fatto, senza l’aiuto dell’uomo.
Purtroppo per i sostenitori della teoria AGW, anche se sono maggioranza, la scienza non procede per processi democratici distinguendo l’analisi del consenso e la censura del dissenso. La scienza procede per verifiche sperimentali e i dubbi sono quelli che la fanno avanzare. Il più grande nemico della scienza non è quindi l’ignoranza, bensì la “certezza”, cioè l’illusione di avere in mano la verità. Ciò blocca la scienza che è in continuo divenire.
A tal proposito sarà bene ricordare che nell’anno 1973 i combustibili fossili fornivano l’86.7% del fabbisogno energetico mondiale e che nel 2018 tale percentuale è scesa solo all’81.3%, cioè meno di 6 punti percentuali in 45 anni!
In Europa le emissioni di CO2 sono circa il 9 -10% delle emissioni globali, ma non ostante il famoso Protocollo di Kyoto del 1997, il “pacchetto” 20-20-20 del 2008 e il ricordato Accordo di Parigi del 2015, nel 2020 si deve constatare che le emissioni, anziché diminuire, sono aumentate del 60% rispetto ai livelli del 1990. Il motivo sostanzialmente risiede nel fatto che il consumo dei combustibili fossili ha continuato a prevalere nonostante le ingenti somme riversate dall’anno 2000 nelle rinnovabili (sole e vento) che, se fossero effettivamente economiche ed efficienti, non avrebbero bisogno di essere sovvenzionate ed imposte per legge.
3 – Le implicazioni della decarbonizzazione
Con il Green Deal il controllo delle emissioni in Europa comporterà il controllo della vita dei suoi cittadini e delle sue industrie. Tutti saranno “invitati” ad abbandonare l’uso dei combustibili fossili e tutti i settori delle attività umane saranno toccati e penalizzati. Da Bruxelles si annunciano anche piani per proibire la vendita (e quindi la produzione) di auto con motore termico a partire dal 2035, quando è noto a tutti che il settore auto in EU gode oggi di certi vantaggi che con tale imposizione saranno persi e pur sapendo che per svariati anni dopo il 2035 le auto elettriche saranno costruite con molte parti prodotte in Cina che continuerà ad utilizzare energia economica ed abbondante prodotta sia con l’idroelettrico, il carbone e il nucleare, tutte fonti “taboo” in Europa.
I cittadini europei dovranno pagare un elevato prezzo e la Commissione Europea dovrà imporre nuove tasse per tutte le aree di attività, perché ogni attività umana (anche la nostra respirazione) emette CO2. Oggi circa 80% dell’energia primaria in EU è basata sull’uso dei combustibili fossili, quindi tutti i consumi così prodotti dovranno essere tassati.
L’energia è vita e fino a quando i combustibili fossili saranno i combustibili più economici sul mercato, continueranno ad essere bruciati: la gente tenderà a consumarne sempre di più privilegiando queste forme di energia più abbondanti ed economiche, mentre dispiegare da subito tecnologie ancora lontane dalla piena maturità come solare ed eolico non è economicamente sostenibile, in considerazione della loro attuale scarsa efficienza, efficacia e altrettanto scarsa intensità energetica.
I pannelli solari, le pale eoliche e le batterie utilizzate sia per compensare l’intermittenza di solare e vento che per le auto elettriche, non sono poi così verdi come si potrebbe pensare a prima vista. I pannelli e le pale eoliche sottraggono terreno alle culture e ai pascoli, deturpano il paesaggio, devono essere localizzate lontano dai centri di consumo e producono rifiuti tossici. Rispetto ai rifiuti tossici e radioattivi di una centrale nucleare che sono coscienziosamente recuperati e stoccati in luoghi adatti, i rifiuti dei pannelli solari, specie nei paesi africani finiranno nelle discariche a cielo aperto. Ciò perché è molto più economico fabbricare pannelli solari ex-novo piuttosto che riciclare quello che resta di utilizzabile sui vecchi pannelli.
Anche se i pannelli solari, le turbine eoliche o le batterie non rilasciano emissioni (le innocue emissioni di CO2) o tossine mentre generano energia, non possiamo dire la stessa cosa del modo in cui sono fabbricati. Per non parlare del loro processo di riciclaggio che è ancora piuttosto lacunoso.
Certi metalli necessari alla loro costruzione, detti convenzionalmente “pesanti”, in quanto hanno densità maggiore di 4,5 grammi per cm3 come Cadmio, Cromo, Mercurio, Nichel, Piombo, Cobalto, assieme ai più “leggeri” Litio e Manganese, sono patrimonio mineralogico della Terra.
La ricerca scientifica ha, nel tempo, evidenziato che se dispersi, disaggregati disordinatamente nell’ambiente, vengono inalati (polveri) o ingeriti (soluzioni acquose) in quantità/durata sensibili, possono accumularsi nei tessuti umani, animali e vegetali con effetti patologici più o meno gravi. Il progresso nell’attenzione sanitaria e l’evoluzione tecnologica hanno limitato e/o sostituito, l’impiego massiccio di alcuni (Piombo, Mercurio) ma la stessa evoluzione tecnologica ha incrementato l’uso di altri, specie nel campo delle rinnovabili (sole e vento) e della mobilità elettrica: Litio, Nickel, Cobalto, Manganese.
Anche l’estrazione di materiali o i rifiuti tossici, come sottoprodotto della produzione, sono un bel problema.
Per estrarre elementi puri e raffinati pronti per il loro utilizzo nelle applicazioni verdi, occorre operare sulla totalità del terreno vegetale e roccia che deve essere scavata e lavorata. Circa 200 ton di materiale vengono scavate, spostate, frantumate e lavorate per arrivare ad 1 ton di rame. Per le terre rare vengono trattate da 20 a 160 ton di materiale per ton di elemento. Per il cobalto, vengono estratte e processate circa 1,500 ton di minerale per arrivare a 1 ton di minerale puro. Le minacce dell’attività mineraria alla biodiversità aumenteranno inevitabilmente con il Green Deal e queste minacce supereranno sicuramente quelle evitate per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Non è finita. L’estrazione mineraria richiede acqua ed energia, tanta acqua e tanta energia che dovrà essere disponibile a quella data (oggi non c’è). Da dove la prenderemo?
NOTA (*) – L’atmosfera malsana ed inquinata nei cieli di Nuova Dehli o Pechino o del Quartiere Tamburi di Taranto contiene la stessa concentrazione (0.04%) di CO2 che ritroviamo ad es. sulle montagne del nostro Trentino, dove l’aria pura tra il verde del paesaggio e l’azzurro del cielo, stimola la produzione nel nostro organismo di endorfine benefiche, che servono a migliorare l’umore, facendoci respirare a pieni polmoni. L’unica differenza è che nei sopramenzionati siti la stessa CO2, impropriamente considerata inquinante, è accompagnata e mescolata a dei veri e propri veleni che in Trentino non ci sono, il che rende tali siti insalubri.
Milano, 26 Luglio 2021