Rubrica Ambiente e clima
(coordinata dal Prof. Vittorio Italia)
La Rubrica Ambiente e clima contiene dei contributi, di regola brevi, su questi ampi e complessi problemi del nostro tempo.
I contributi dei singoli Autori potranno contenere opinioni diverse ed anche opposte, e si ritiene che il confronto tra le opinioni sia la base per pervenire – nei limiti delle cose umane – alla verità.
PERCHE’ DEMONIZZARE LA CO2?
di Giuliano Ceradelli
Personalmente e con me, molti altri colleghi ed amici, non crediamo che la causa principale del cambiamento climatico che stiamo attualmente sperimentando sia attribuibile unicamente alle attività umane e nemmeno che ci dobbiamo aspettare un catastrofico futuro se non agiamo immediatamente per contrastare la tendenza a tale moderato ed altalenante riscaldamento.
Questa teoria, che attribuisce all’uomo la causa del Global Warming o Crisi Climatica, come si chiama ora, non è altro che una congettura, un postulato, della quale non c’è alcuna concreta prova scientifica esattamente come non esiste prova che gli oggetti volanti non identificati avvistati negli ultimi vent’anni dai piloti militari americani siano astronavi di alieni. Ci sono solo forti e diffuse prese di posizione ed opinioni basate su studi e ponderose, anche se infruttuose, elucubrazioni; anzi esistono prove che contraddicono tale teoria. In effetti, se la CO2 nel passato non ha mai condizionato il clima del nostro pianeta che è cambiato senza un suo evidente contributo innumerevoli volte, come facciamo oggi a pensare e credere che lo stia facendo solo dall’inizio dell’era industriale (1850)?
Eppure ci dicono che la scienza è “compiuta” e che il dibattito sul tema è ormai concluso.
Dobbiamo ammettere che la Terra si è andata scaldando gradualmente per 300 anni, dalla fine dell’ultima LIA (Little Ice Age = Piccola Era Glaciale), e molto prima che l’uomo usasse i combustibili fossili in gran quantità. Prima della LIA, durante il periodo medievale, i Vichinghi colonizzarono la Groenlandia e Terranova, poiché in quelle terre faceva più caldo di oggi. Lo stesso avvenne in epoca romana quando è provato che le temperature fossero più elevate rispetto a quelle dei nostri tempi.
Guardando indietro nei millenni del passato, si può desumere che il nostro pianeta è oggi più freddo di un tempo. L’idea che sarebbe catastrofico se il livello di concentrazione della CO2 in atmosfera (oggi di 419 ppm = parti per milione, cioè tracce) dovesse ulteriormente aumentare è semplicemente pretestuosa.
Al contrario, ci viene detto in continuazione che se non ci impegniamo a ridurre le emissioni antropiche di CO2, ciò sarebbe disastroso per l’umanità. Per arrivare al risultato di emissioni antropiche zero, (è questo infatti l’obiettivo che i climatologi e i burocrati dell’ONU/IPCC – ONU/Intergovernmental Panel for Climate Change si prefiggono di raggiungere entro il 2050), si dovrebbe quindi far scomparire per incanto la popolazione mondiale o, in alternativa, dovremmo tornare alla civiltà di 10,000 anni fa quando l’uomo primitivo cominciò a disboscare e a praticare la caccia e i primi rudimenti di una incipiente agricoltura.
E’ bene ricordare che l’IPCC soffre di un pesante conflitto di interessi. Il suo mandato infatti è quello di considerare unicamente le “cause umane” del riscaldamento globale, trascurando del tutto i moltissimi fattori naturali, astronomici, astrofisici, stellari e terrestri come vulcanesimo, sismicità, maree luni-solari, ecc. – molti dei quali ancora sconosciuti – che possono aver contribuito a cambiare il clima del nostro pianeta nel corso dei millenni. Purtroppo le nostre conoscenze del sistema climatico – un sistema alquanto complesso – sono ancora molto scarse e se l’IPCC non dovesse riscontrare che è proprio l’uomo che lo condiziona o che un clima più caldo fosse più favorevole di un clima fresco/mite, evidentemente la sua funzione e la sua presenza sarebbe del tutto ingiustificata.
Secondo noi l’IPCC, come organizzazione mondiale che si occupa di clima, dovrebbe essere ripensata ed allargata ad altri membri, essendo attualmente una “partnership” del World Meteorological Organization – Organizzazione Meteorologica Mondiale e del UN Environmental Program – Il Programma Ambiente delle Nazioni Unite ed inoltre il suo mandato dovrebbe essere allargato in modo da potersi occupare seriamente del cambiamento climatico e di tutte le possibili cause, includendo quelle naturali.
Sappiamo che il cambiamento climatico è negli anni diventato un potente argomento politico per molte ragioni:
- prima di tutto perché è un argomento universale (ci viene detto che tutto sulla Terra sarebbe in pericolo),
- in secondo luogo perché esso fa leva su due poderosi ed ancestrali sentimenti umani: la paura e il senso di colpa. Sentiamo che mettendoci alla guida della nostra auto (alimentata a benzina o diesel) questo gesto, un tempo del tutto normale, oggi ci procura sentimenti di colpa perché – ci dicono – può avere conseguenze negative sui nostri figli e sui nostri nipoti
- terzo, una notevole convergenza di interessi tra le potenti “elites” mondiali supporta la vigente drammatica “narrativa” sul clima. Gli ambientalisti di tutto il mondo diffondono la paura e raccolgono fondi, i politici fanno a gara per mostrarsi ecologicamente impegnati, i media non mancano di diffondere articoli e filmati drammatici, tutte le istituzioni scientifiche raccolgono finanziamenti onde creare nuovi dipartimenti e nuove schiere di condiscendenti ricercatori che a loro volta diffondono scenari apocalittici, le aziende vogliono essere “verdi” (greenwashing) e ricevono ingenti sussidi statali per progetti che senza tali sussidi sarebbero solo in perdita, come per esempio i grandi parchi eolici e le grandi distese di pannelli solari.
- quarto, le sinistre vedono il cambiamento climatico come un eccellente mezzo per ridistribuire la ricchezza trasferendo denaro dai paesi industrializzati ai paesi in via di sviluppo attraverso i canali burocratici delle Nazioni Unite.
Così ci viene detto che la CO2 sarebbe “tossica” e dannosa per la salute quando in realtà si tratta di un gas innocuo, incolore e inodore. E’ lo stesso gas presente nell’atmosfera per es. delle Alpi svizzere (dove apriamo volentieri le nostre narici per respirare a pieni polmoni) e nel quartiere Tamburi di Taranto (dove però è in compagnia di altri gas, veri veleni ed inquinanti di ogni genere) nella stessa percentuale di 419 ppm. Ci dimentichiamo volentieri che la CO2 rappresenta il più importante nutriente della vita sul nostro pianeta. Senza questo gas nell’atmosfera della nostra Terra, non ci sarebbe vita e il nostro pianeta sarebbe una palla di ghiaccio a – 18°C e se la sua concentrazione fosse inferiore ai 150 ppm non ci sarebbe vegetazione.
Nei 150 milioni di anni che ci hanno preceduto il livello di concentrazione è andato riducendosi progressivamente (col contributo delle piante) da valori vicino a 3,000 ppm a circa 280 ppm prima della rivoluzione industriale. Se questo trend di riduzione fosse continuato, la sua concentrazione sarebbe scesa troppo compromettendo la possibilità di vita sul nostro pianeta.
Con 419 ppm le nostre colture alimentari, le nostre foreste ed i nostri ecosistemi sono ancora in uno stato di dieta da fame da CO2, ma sopravvivono. Un aumento della sua concentrazione sarebbe quindi benefica per le nostre coltivazioni e permetterebbe oltretutto di risparmiare molta acqua. Gli agronomi ci dicono che la concentrazione ideale per la sviluppo di colture e piante è di 1,500 ppm, cioè circa quattro volte quella di oggi.
Non ci sono prove che la CO2 – sicuramente un gas ad effetto serra, come il ben più presente vapor d’acqua, in atmosfera non in ppm (parti per milione) ma in percentuali (parti per cento) e quindi ben più potente della CO2 – sia stata responsabile del leggero aumento delle temperature globali. In effetti mentre la sua concentrazione è monotonicamente andata crescendo, le temperature hanno subito oscillazioni in più ed in meno con periodi anche di stasi.
Il resto sono favole. La martellante propaganda che da anni lancia quotidiani allarmi sul riscaldamento globale di origine antropica ha quindi l’effetto di produrre nell’immaginario collettivo una percezione distorta della realtà, dai meccanismi della natura al rapporto tra sviluppo e ambiente, dalle conoscenze sul clima al ruolo delle attività umane.