Prof. Avv. Stefano Bastianon
- – Premessa.
A distanza di poco più di un mese dall’ordinanza n. 6523/2021[1] con la quale la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha affermato la competenza del tribunale delle imprese a conoscere delle cause relative alla nullità (non solo delle intese che si collocano “a monte”, ma) anche dei contratti “a valle”, con l’ordinanza in rassegna la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di una pronuncia delle Sezioni Unite ex art. 374, comma 2, c.p.c.
Nell’ambito del variegato, complesso ed ondivago dibattito giurisprudenziale, di merito e di legittimità, venutosi a creare nel nostro paese sul tema della nullità dei contratti di fideiussione omnibus conformi allo schema ABI di cui al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e, più in generale, della sorte dei c.d. contratti “a valle”, l’ordinanza n. 11486/2021 rappresenta indubbiamente un momento lungamente atteso, ma, soprattutto, necessario.
- – Le questioni (di merito e processuali) attualmente oggetto di pronunce contrastanti nell’ambito del contenzioso in materia di fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI.
Come noto, alla base del contenzioso in materia di fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI si pone l’ordinanza n. 29810/2017 della Corte di Cassazione[2]: secondo una parte della giurisprudenza, infatti, con tale pronuncia la Corte di Cassazione avrebbe sancito la nullità di tutti i contratti di fideiussione omnibus contenenti le tre clausole censurate dalla Banca d’Italia nel 2005 (deroga all’art. 1957 c.c., clausola di sopravvivenza e clausola di reviviscenza). Per contro, per altra parte della giurisprudenza, tale conclusione non sarebbe così automatica né acriticamente ricavabile dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29810/2017 il cui principio di diritto avrebbe una portata di gran lunga più contenuta e limitata soltanto al profilo di diritto intertemporale[3].
Sennonché, il tema della propagazione della nullità delle intese anticoncorrenziali “a monte” anche ai contratti “a valle” costituisce solo una delle numerose questioni quotidianamente affrontate nelle aule giudiziarie con soluzioni talvolta anche antitetiche. In via di prima approssimazione, infatti, le attuali questioni affrontate in una serie assai nutrita di sentenze, di merito e di legittimità, riguardano i seguenti aspetti:
- a) l’esperibilità (anche) dell’azione di nullità dei contratti “a valle” da parte dell’utente finale estraneo all’intesa “a monte” (in aggiunta all’azione risarcitoria);
- b) il fondamento giuridico di tale nullità;
- c) la natura (totale/parziale) di tale (asserita) nullità;
- d) la rilevabilità d’ufficio di tale (asserita) nullità;
- e) l’onere della prova a carico del fideiussore;
- f) l’assoggettabilità dei giudizi aventi ad oggetto la nullità delle fideiussioni omnibus per contrasto con la normativa antitrust alla mediazione obbligatoria di cui al D. lgs n. 28/2010;
- g) l’individuazione del giudice competente (ordinario o tribunale delle imprese) a conoscere di tale (asserita) nullità;
- h) la riferibilità di tale (asserita) nullità delle fideiussioni omnibus anche alle fideiussioni relative ad uno specifico rapporto negoziale intrattenuto la banca;
- i) la responsabilità del fideiussore per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.;
- l) la tutela del fideiussore quale consumatore;
- m) l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto dal fideiussore;
- n) la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto per violazione della normativa antitrust della fideiussione omnibus conforme allo schema ABI.
Come è facile intuire si tratta di questioni tutt’altro che marginali, da cui dipende non solo la portata sostanziale della tutela accordata al fideiussore, ma anche aspetti pratici fondamentali in termini di impostazione dell’azione e di strategia processuale, a prescindere dalla parte (fideiussore – banca) assistita.
L’ordinanza n. 11486/2021 della Corte di Cassazione qui in rassegna si occupa delle prime tre questioni indicate sub a), b) e c).
- – La propagazione della nullità delle intese anticoncorrenziali “a monte” ai contratti “a valle”.
L’affermazione relativa all’idoneità della nullità delle intese anticoncorrenziali “a monte” a propagarsi anche ai contratti “a valle”, pur costituendo il crocevia obbligato di ogni dibattito relativo al più generale tema alle ricadute privatistiche delle condotte rilevanti sotto il profilo antitrust, rappresenta il punto di partenza e l’origine stessa dell’intero dibattito relativo al contenzioso in materia di fideiussioni omnibus.
3.1 – Il dettato normativo dell’art. 101, par. 1, TFUE (e dell’art. 2, comma 2, l. n. 287/1990) e la posizione delle istituzioni europee.
Ai sensi dell’art. 101, par. 1, TFUE “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (…)”. Il comma 2 stabilisce, inoltre, che “gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”. In senso analogo, l’art. 2, comma 2, della legge n. 287/1990 prevede che “sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante (…)”; mentre, il comma 3 stabilisce che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”.
Risulta, pertanto, evidente che, a livello di dettato normativo, tanto la norma di diritto europeo quanto la norma di diritto interno contemplano la sanzione della nullità (di pieno diritto) per le sole intese restrittive della concorrenza, senza nulla disporre a proposito dei contratti stipulati “a valle” dalle imprese partecipanti alla collusione posta in essere “a monte”.
Non deve, pertanto, stupire che nella vicenda Bagnasco, decisa dalla Corte di giustizia con sentenza del 21 gennaio 1999 senza pronunciarsi sullo specifico tema, l’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer avesse sottolineato che:
- a) le conseguenze della nullità di un’intesa restrittiva della concorrenza sui contratti conclusi in applicazione di detta intesa devono determinarsi alla luce delle norme dell’ordinamento interno relative alla nullità dei contratti;
- b) il giudice nazionale non è obbligato a desumere automaticamente dalla nullità dell’intesa la nullità dei singoli contratti conclusi in applicazione di detta intesa, posto che non si può escludere che altre sanzioni previste dall’ordinamento interno sui contratti, come l’annullabilità, l’impossibilità di opporre alcune loro clausole, il risarcimento del danno o la ripetizione dell’indebito, siano più idonee a risolvere il caso concreto;
- c) tale facoltà del giudice nazionale di applicare il suo diritto interno alla determinazione delle conseguenze sui singoli contratti individuali conclusi in attuazione di un’intesa nulla per violazione del diritto antitrust, peraltro, incontra il solo limite del rispetto dei principi di effettività e di equivalenza della tutela. In base al primo, gli individui che fanno valere diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione non devono essere svantaggiati rispetto a quelli che invocano situazioni giuridiche soggettive nazionali; in base al secondo, invece, le norme di diritto interno, rilevanti sul piano processuale, non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela dei diritti spettanti in forza del diritto europeo[4].
In linea con le parole dell’Avvocato Generale si è espressa, in un altro procedimento, anche la Commissione secondo cui “non sussiste alcuna base giuridica nel Trattato (…) per affermare che la nullità delle intese anticoncorrenziali “a monte” comporta automaticamente una nullità, e per di più una nullità di diritto nazionale, dei contratti, o di talune clausole di questi, stipulati fra le imprese partecipanti all’intesa con i propri clienti in applicazione dell’intesa stessa”[5].
3.2 – La sorte dei contratti “a valle” e la giurisprudenza della Corte di Cassazione.
La prima, chiara presa di posizione della Corte di Cassazione sul tema della propagazione della nullità dell’intesa “a monte” ai contratti “a valle” si rinviene nella pronuncia n. 9384/03[6] secondo cui il disposto dell’art. 33, comma 2, l. n. 287/1990 “lascia dedurre che se l’accordo antitrust può essere dichiarato nullo, i contratti scaturiti in dipendenza di tale accordo o intesa mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento del danno nei confronti dei distributori da parte degli utenti”.
Successivamente, con la pronuncia n. 2207/2005 le Sezioni Unite hanno stabilito che “la previsione del risarcimento del danno sarebbe meramente retorica se si dovesse ignorare, considerandolo circostanza negoziale distinta dalla “cospirazione anticompetitiva” e come tale estranea al carattere illecito di questa, proprio lo strumento attraverso il quale i partecipi alla intesa realizzano il vantaggio che la legge intende inibire. Se un’intesa fosse ancora luogo nelle intenzioni dei partecipi e non avesse dato ancora ad alcun effetto, mentre vi sarebbe spazio, a parte la difficoltà dell’indagine, per la proibizione e la sanzione da parte dell’AGCM, giacché la legge (…) vieta gli accordi che abbiano per oggetto oltre che per effetto la distorsione della concorrenza, non vi sarebbe interesse da parte di alcuno ad una dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 33 della l. 287/1990, la cui ratio è di togliere alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”. E dunque di impedire il conseguimento del frutto dell’intesa consentendo anche nella prospettiva risarcitoria l’eliminazione dei suoi effetti”. Tale pronuncia delle Sezioni Unite, anziché fugare i dubbi interpretativi, in un certo senso li ha alimentati. Secondo una prima chiave di lettura, infatti, le Sezioni Unite avrebbero chiaramente affermato che, di fronte ad un contratto che costituisce lo strumento attraverso il quale le imprese partecipanti ad un’intesa attuano il loro intento anticoncorrenziale nei rapporti con i terzi, il singolo utente/consumatore, ancorché estraneo all’intesa, può far valere la nullità di quest’ultima al fine togliere alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle” e, nel caso abbia subito un pregiudizio, domandare il risarcimento dei danni. In senso uguale e contrario, per contro, secondo una diversa lettura la pronuncia n. 2207/2005 avrebbe sancito la stessa nullità dei contratti “a valle” sul presupposto che il collegamento funzionale del contratto “a valle” con la volontà anticompetitiva “a monte” renderebbe il primo non scindibile dalla seconda, tanto da poter affermare che il contratto “a valle” altro non è che lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti, giacché è attraverso il contratto “a valle” che l’intesa viene attuata. Conseguentemente, se intesa “a monte” e contratto “a valle” sono la stessa cosa e ne condividono la stessa natura illecita, la nullità della prima non può che riflettersi anche sul secondo.
In tale contesto, tutt’altro che univoco, si inserisce l’ordinanza n. 29810/2017 della Corte di Cassazione la quale, da un lato, si è limitata ad enunciare il principio di diritto intertemporale secondo cui “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla l. n. 287/1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolamentazione o al controllo di quel mercato (…) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscono la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”; dall’altro lato, per contro, in una serie di obiter dicta, si è affermato che: a) il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; b) siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della legge n. 287/90; c) l’art 2 della l. n. 287/90, nella parte in cui dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica, al contrario, la norma in esame ha inteso proibire il fatto della distorsione della concorrenza ancorché frutto di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”; d) qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust.
Sebbene tale ordinanza della Corte di Cassazione sia stata utilizzata da numerosi tribunali come il precedente su cui costruire la teoria della nullità dei contratti “a valle” e, quindi, di tutte le fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, i principali limiti di tale pronuncia sono rappresentati, da un lato, dal fatto che l’ordinanza n. 29810/2017 non chiarisce i presupposti e gli istituti giuridici che consentirebbero alla nullità dell’intesa “a monte” di propagarsi anche ai singoli contratti “a valle; dall’altro lato, dal fatto che nulla viene detto a proposito della natura, totale o parziale, dell’evocata nullità dei contratti “a valle”.
Infine, con la sentenza n. 24044 del 26 settembre 2019 la Corte di Cassazione, richiamando espressamente la sentenza n. 9384/2003, ha sottolineato che dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti (Cass. n. 9384/2003). Inoltre, è stato ribadito che il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui alla l. n. 287 del 1990 secondo l’insegnamento di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207/2005. Secondo la Corte di Cassazione proprio tale pronuncia evidenzierebbe la sostanziale differenza che ricorre tra gli accordi a monte, e cioè le intese, – oggetto di valutazione in merito alla illiceità per violazione della normativa antitrust e sanzionate dalla nullità – ed i contratti stipulati a valle, in relazione ai quali può essere esercitata l’azione risarcitoria. Non solo: in aperta antitesi con la giurisprudenza di merito venutasi a creare a seguito dell’ordinanza n. 29810/2017, la Corte di Cassazione ha sottolineato che tale pronuncia non ha affrontato il peculiare tema della ricaduta degli effetti del provvedimento della Banca di Italia sui contratti stipulati prima del 2 maggio 2005 e che dalla motivazione di detta ordinanza non può farsi discendere, né si può presumere la qualificazione tout court delle Norme Bancarie Uniformi in materia di contratti di fideiussione quali intese illecite, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative, né la nullità in toto dei singoli contratti di fideiussione.
- – La natura della (asserita) nullità dei contratti “a valle”.
All’interno della stessa giurisprudenza di merito favorevole alla tesi della propagazione della nullità dell’intesa anticoncorrenziale” a monte” anche ai contratti “a valle” è, peraltro, ravvisabile un contrasto sul fondamento giuridico di tale nullità, che rispecchia anche la diversità di vedute della dottrina. Secondo la teoria della nullità derivata, infatti, i contratti “a valle” sarebbero nulli a causa di un vizio esogeno, ravvisabile nel collegamento tra i contratti “a valle” e l’intesa “a monte” di cui i primi costituirebbero il momento attuativo sul mercato[7]. Secondo un’altra teoria, invece, i contatti “a valle” sarebbero nulli per un vizio loro proprio, di tipo endogeno, rappresentato vuoi dall’illiceità della causa, vuoi dall’illiceità dell’oggetto che si rifletterebbe in una nullità virtuale per violazione di norme imperative quali devono considerarsi le norme a tutela della concorrenza[8].
A mero titolo esemplificativo, nella pronuncia n. 1510 del 2 settembre 2020[9] la Corte di appello di Bari ha stabilito che la contrarietà dello schema contrattuale adottato dalle banche rispetto alla normativa antitrust comporta che i contratti di fideiussione che si mostrano fedeli a detto schema contrattuale devono essere considerati nulli, essendo caratterizzati da una causa illecita in quanto contraria a norme imperative[10]. Analogamente, secondo il Tribunale di Siena (14 maggio 2019) “il negozio in cui si manifesta l’intesa a valle è nullo per violazione dell’art. 2 l. n. 287/90 ovvero ex art. 1418 c.c. per violazione di norma imperativa”[11]. In base alla sentenza n. 8340 del 4 dicembre 2020 del Tribunale di Napoli, infine, la nullità dei contratti “a valle” non può essere ricollegata né all’illiceità della causa, né all’illiceità dell’oggetto in quanto alla possibilità di invocare l’illiceità della causa vi osta l’assenza del requisito soggettivo rappresentato da un intento condiviso dalle parti, posto che nell’ipotesi del contratto “a valle” una delle parti – il fideiussore – è chiaramente estraneo rispetto all’intesa anticoncorrenziale; mentre quanto alla possibilità di invocare l’illiceità dell’oggetto vi osta il fatto che nei contratti di fideiussione le condizioni contrattuali non sono illecite, posto che ciò che è illecito è il meccanismo attraverso cui viene determinato il contenuto del contratto. Ne consegue, pertanto, che il vizio che colpisce le clausole riproduttive del contenuto del modello ABI sia classificabile come nullità virtuale ex art. 1418, comma 1 c.p.c. per contrarietà a norme imperative di ordine pubblico economico[12].
Al contrario, secondo il Tribunale di Treviso (n. 1623 del 26 luglio 2018[13]) “perché possa affermarsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, conformandone la struttura o il contenuto, ovvero impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali, ad esempio, particolari autorizzazioni amministrative ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in apposti albi o registri. Al di fuori di queste ipotesi, l’inosservanza di norme, pur imperative, che impongano o precludano alle parti taluni comportamenti (e che non siano corredate da specifiche ipotesi di nullità testuali, sovente a matrice protettiva) non può determinare la nullità dell’atto negoziale eventualmente posto in essere in loro violazione”. Con riferimento, invece, alla teoria della nullità derivata, una parte della giurisprudenza ha escluso la possibilità di ravvisare sia un nesso di indissolubile dipendenza dei contratti “a valle” con l’intesa “a monte”, sia un collegamento funzionale in senso tecnico. Quanto al primo, infatti, è stato sottolineato che “le intese mostrano di non costituire un tutt’uno con i contratti a valle e di non essere a questi collegati né per legge né per volontà delle parti e di non rappresentarne in alcun modo un presupposto di esistenza, validità od efficacia”[14]. E ciò è tanto più vero se si considera che l’esistenza di un simile nesso di dipendenza è stata riconosciuta in fattispecie, quali i subcontratti e la delegazione ex art. 1271, comma 2, c.c., che nulla hanno a che vedere con i contratti “a valle” e l’intesa “a monte”. In merito, invece, al collegamento negoziale in senso tecnico è stato escluso che nel caso delle fideiussioni omnibus sia possibile ravvisare un comune intento pratico delle parti e la volontà di queste di dare vita ad un coordinamento teleologico dei contratti in quanto “i contratti fra la singola impresa ed il cliente derivano piuttosto dall’autonomia privata dei contraenti, ovvero da un’autonoma manifestazione di consenso da cui può discendere indubbiamente anche l’eventuale recepimento all’interno del regolamento contrattuale delle singole clausole riproduttive dell’illecita determinazione, ma la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica”[15].
Da ultimo, a rendere ancora più incerta la situazione, sembra aver in parte contribuito anche l’ordinanza n. 6523/2021 della Corte di Cassazione sulla competenza del Tribunale delle imprese a conoscere della nullità dei contratti “a valle”: in tale pronuncia, infatti, l’affermazione secondo cui i contratti “a valle” costituiscono applicazione concreta dell’intesa “a monte” e l’associato corollario per cui tale affermazione rappresenta una inequivoca conferma del nesso funzionale intercorrente tra le stipulazioni a valle e l’intesa anticoncorrenziale vietata si inserisce in un contesto nel quale la Corte di Cassazione tratta della tutela risarcitoria ricordando espressamente la regola secondo cui “spetta il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione delle intese illecite, e ciò finanche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione del mercato di riferimento (v. Cass. n. 29810/17, sulla linea tracciata da Cass. Sez. U n. 2207/05)”. Sennonché, affermare l’esistenza di un nesso funzionale tra intesa “a monte” e contratti “a valle” quale presupposto per giustificare la tesi della propagazione della nullità della prima ai secondi e nel contempo citare le due pronunce che dovrebbero sostenere questa tesi, ma riferendole alla tutela risarcitoria, si rivela non del tutto coerente sotto il profilo dell’apporto nomofilattico.
- – La portata (assoluta o relativa) della dedotta nullità delle fideiussioni omnibus conformi al modello ABI.
Anche ammettendo, senza davvero volerlo concedere, che la nullità delle intese a monte per violazione della normativa (europea o nazionale) antitrust possa propagarsi anche ai contratti “a valle”, l’attuale dibattito giurisprudenziale e dottrinario in atto ancora non è riuscito a chiarire l’effettiva portata di tale nullità.
Secondo una parte della giurisprudenza di merito, tale nullità sarebbe totale e colpirebbe inesorabilmente e nella loro interezza tutti i contratti di fideiussione omnibus contenenti le tre clausole oggetto del provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia. Secondo questa impostazione, pertanto, la gravità delle violazioni in oggetto, in aperto contrasto con i principi fondamentali europei e costituzionali, escluderebbe alla radice la possibilità di sostituire le clausole nulle con la disciplina codicistica, dovendosi, al contrario, sanzionare l’intero agire dei responsabili delle violazioni in oggetto e, quindi, l’intero contratto di garanzia[16].
Secondo un’altra parte della giurisprudenza di merito, per contro, la nullità dell’intesa “a monte” si riverserebbe soltanto sulle tre clausole in questione, con conseguente applicazione della disciplina codicistica in tema di nullità parziale[17]. In base a tale orientamento, infatti, è stato sottolineato che:
- a) il contratto di fideiussione non può dirsi interamente nullo, in quanto, da una parte, la banca avrebbe in ogni caso concluso il contratto, posto che per essa l’alternativa sarebbe stata quella dell’assenza completa di fideiussioni, con minor garanzia dei propri crediti; dall’altra, il fideiussore non può allegare alcuna ragione per cui l’assenza di tali clausole lo avrebbe indotto a non stipulare la fideiussione trattandosi di clausole poste nell’interesse della banca;
- b) è evidente che l’interesse dei fideiussori a garantire la debitrice permanga anche senza la deroga all’art. 1957 c.c. poiché tale garanzia ha consentito alla garantita di continuare ad avere credito sicché se ne deve inferire che i fideiussori avrebbero in ogni caso mantenuto l’interesse a rilasciare la garanzia.
In tale contesto si inserisce, senza peraltro contribuire a dirimere il contrasto giurisprudenziale sopra descritto, la pronuncia della Corte di Cassazione n. n. 24044 del 26 settembre 2019 secondo cui, siccome la Banca d’Italia ha circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nei singoli contratti “a valle”, ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità di detti contratti debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., in tema di nullità parziale. A tale riguardo, infatti, non ha alcun senso eccepire l’impossibilità di provare la decisività delle clausole ai fini della conclusione del contratto, in ragione della predisposizione unilaterale dello schema contrattuale da parte della banca, posto che le clausole in questione erano funzionali all’interesse della banca e non dei fideiussori e che quindi, logicamente, solo la banca avrebbe potuto dolersi della loro espunzione. Va da sé, inoltre, che una decisione che decida di preservare la dichiarazione fideiussoria emendandola delle sole clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidono sulla struttura e sulla causa del contratto, non può pregiudicare la posizione dei garanti, che risulta meglio tutelata proprio in ragione della declaratoria di nullità parziale.
- – L’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021 del 30 aprile 2021 di rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.
La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione mostra di essere perfettamente consapevole sia della portata del contenzioso in materia di fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, sia del fatto che gli ondivaghi orientamenti della giurisprudenza di merito sono strettamente legati ad una serie di interventi del giudice della legittimità rivelatisi tutt’altro che risolutivi.
Al punto 5 dell’ordinanza in rassegna, infatti, si afferma espressamente che i motivi di ricorso articolati dalla banca nel giudizio de quo “sollevano, sotto profili diversi, una questione, quella della sorte dei contratti stipulati in conformità di intese anticoncorrenziali, che ha già costituito più volte oggetto di esame da parte di questa Corte, anche a Sezioni Unite, con esiti interpretativi tutt’altro che univoci e comunque ormai non più adeguati rispetto alla frequenza con cui il fenomeno tende a riproporsi ed alla multiforme tipologia dallo stesso assunta negli anni più recenti”.
La Corte di Cassazione, inoltre, riconosce apertamente il fatto che molti dei principi di diritto dalla stessa enunciati in materia di contratti “a valle” si riferiscono ad un contesto economico – quello dei contratti di assicurazione – completamente diverso da quello bancario, tanto da ammettere che l’applicazione di questi principi al tema delle fideiussioni omnibus è avvenuto “senza approfondirne adeguatamente le ricadute, in relazione alle differenze riscontrabili tra le due fattispecie”. Circostanza, questa, ancor più grave se si considera che è la stessa Corte di Cassazione a sottolineare che nell’ambito del contenzioso antitrust in materia assicurativa la questione della nullità dei contratti “a valle” è sempre rimasta sullo sfondo, tanto che ancor oggi il fondamento di tale nullità risulta “alquanto incerto, oscillando apparentemente tra la contrarietà dell’atto a norme imperative, e segnatamente all’art. 2 della legge n. 287 del 1990, e l’illiceità della causa”.
Da qui la necessità sottolineata dalla Corte di Cassazione di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità ad intese restrittive della concorrenza al fine di valutarne l’effettiva tenuta con specifico riferimento al tema delle fideiussioni omnibus conformi al modello ABI. Nello specifico, tale rimeditazione deve avere ad oggetto i seguenti aspetti:
- a) se la coincidenza, totale o parziale, delle singole clausole contenute nei contratti di fideiussione con quelle di cui al provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno;
- b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo sia della tipologia del vizio, sia della legittimazione a farlo valere;
- c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione;
- d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto di interessi derivante dal contratto.
Si tratta chiaramente di aspetti fondamentali e centrali nell’ambito del contenzioso in materia di fideiussioni omnibus conformi al modello ABI, rispetto al quale l’intervento delle Sezioni Unite potrebbe contribuire a rendere meno aleatorio l’esito di un giudizio, perlomeno con specifico riferimento agli aspetti evidenziati nell’ordinanza in rassegna. Attualmente, infatti, la giurisprudenza di merito offre una casistica eccessivamente ondivaga e poco rispettosa del principio della certezza del diritto: e ciò rappresenta un vulnus che non riguarda soltanto le singole posizioni giuridiche dei contendenti, ma l’intero sistema giuridico.
Non resta, pertanto, che continuare a monitorare attentamente i prossimi passi del Primo Presidente della Corte di Cassazione confidando che l’eventuale, futura pronuncia delle Sezioni Unite possa effettivamente portare un po’ di chiarezza e rigore scientifico nell’interesse di tutti: di coloro che promuovono un giudizio, di coloro che lo subiscono e di coloro che sono chiamati a deciderlo.
[1] www.centroanomaliebancarie.it
[2] www.ilcaso.it
[3] Per un esame della copiosa giurisprudenza in materia di fideiussioni omnibus conformi al modello ABI sia consentito rinviare a S. Bastianon, La nullità antitrust della fideiussione omnibus. Mito o realta?, 2021, KeyEditore.
[4] Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 15 gennaio 1998, ECLI:EU:C:1998:7.
[5] Commissione CE, Osservazioni presentati in forza dell’art. 20 del Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia nella causa pregiudiziale C-266/92, Bruxelles, 1/10/1992, p. 64).
[6] Cass. 11 giugno 2003, n. 9384. La sentenza può leggersi in Danno e resp., 2003, 11, p. 1067, con nota di S. Bastianon, Nullità “a cascata”? Divieti antitrust e tutela del consumatore nonché in Foro it., 2004, I, c. 466, con note di R. Pardolesi, Cartello e contratti dei consumatori: da Leibniz a Sansone?; F. Ferro-Luzzi, Prolegomeni in tema di mercato concorrenziale e «aurea aequitas» (ovvero delle convergenze parallele); G. Guizzi, Struttura concorrenziale del mercato e tutela dei consumatori. Una relazione ancora da esplorare.
[7] A. Bertolotti, Illegittimità di norme bancarie uniformi (NBU) per contrasto con le regole antitrust ed effetti sui contratti a valle: un’ipotesi di soluzione ad un problema dibattuto, in Giur. it., 1997, IV, p. 345.
[8] M. Schinnà, La nullità delle intese anticoncorrenziali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, II, p. 439; C. Lo Surdo, Il diritto della concorrenza tra vecchie e nuove nullità, cit., p. 205; M. Onorato, La nullità delle intese, in I contratti nella concorrenza coordinato da E. Gabrielli e A. Catricalà, nella collana Trattato dei contratti diretta da P. Rescigno e E. Gabrielli, 2011; A. Gentili, La nullità dei contratti a valle come pratica concordata (il caso delle fideiussioni ABI), in Giust. civ., 2019, 4, p. 675; A Guccione, Intese vietate e contratti individuali a valle: alcune considerazioni sulla invalidità derivata, in Giur. comm., 1999, II, p. 449; L Delli Priscoli, La dichiarazione di nullità dell’intesa anticoncorrenziale da parte del giudice ordinario, in Giur. comm., 1999, II, p. 237.
[9] www.expartedebitoris.it
[10] www.expartedebitoris.it
[11] www.ilcaso.it
[12] www.centroanomaliebancarie.it
[13] www.expartecreditoris.it
[14] Tribunale di Treviso, sentenza n. 1623 del 26 luglio 2018; Tribunale Busto Arsizio n. 513 del 26 maggio 2020.
[15] Tribunale di Treviso, sentenza n. 1623 del 26 luglio 2018; Tribunale Busto Arsizio n. 513 del 26 maggio 2020.
[16] Tribunale di Salerno, sentenza n. 3016 del 23 agosto 2018; Tribunale di Salerno, sentenza n. 480 del 5 febbraio 2020; Tribunale di Belluno, sentenza n. 53 del 31 gennaio 2019; Arbitro Bancario Finanziario di Milano, n. 16558 del 4 luglio 2019; Tribunale di Imperia, sentenza n. 238 del 14 maggio 2020; Tribunale di Trapani, sentenza n. 454 del 1° luglio 2020; Tribunale di Matera, sentenza n. 329 del 6 luglio 2020; Corte appello di Bari , sentenza n. 45 del 15 gennaio 2020 e n. 1510 del 2 settembre 2020; Tribunale di Siena, sentenza del 14 maggio 2019; Tribunale di Taranto, sentenza n. 2127 dell’8 agosto 2019; Tribunale di Padova, sentenza dell’ 11 febbraio 2020; Tribunale di Salerno, sentenza del 13 ottobre 2020; Tribunale di Lucca, sentenza del 24 dicembre 2020, n. 1228.
[17] Tribunale di Rovigo, ordinanza 9 settembre 2018; Tribunale di Ancona, sentenza n. 1993 del 17 dicembre 2018; Tribunale di Padova, sentenza del 29 gennaio 2019; Tribunale di Milano, sentenza n. 610 del 23 gennaio 2020, n. 2637 del 28 aprile 2020 e n. 2949 del 25 maggio 2020; Tribunale di Ancona, sentenza n. 1914 del 12 novembre 2019; Tribunale di Lanciano, sentenza n. 168 del 7 luglio 2020; Tribunale di Reggio Emilia, sentenza n. 268 del 4 marzo 2021.