Cassazione Civile, sez. VI – 3, ord.,5 febbraio 2020, n. 2755
[Omissis].
Considerato che:
l’avvocato […] conveniva in giudizio Poste Italiane s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente postale abilitato al servizio telematico on-line;
il Giudice di pace accoglieva la domanda, con pronuncia riformata dal Tribunale secondo cui l’evento di danno, non risultando un malfunzionamento del sistema telematico della società, non poteva addebitarsi alla convenuta, che aveva anzi avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad e-mail non verificate, dovendo invece ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’e-mail volta alla frode poi, infatti, posta in essere;
avverso questa decisione ricorre per cassazione […] sulla base di un unico motivo, corredato da memoria;
resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..
Rilevato che:
con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lg. n. 196 del 2003, art. 31, ratione temporis applicabile, e dell’art. 2729 c.c., poiché il Tribunale avrebbe errato imputando al deducente la prova del mancato funzionamento del sistema telematico della convenuta, omettendo, al contempo, di evincere presuntivamente dai fatti: la mancata predisposizione, da parte della medesima società, d’idonee misure volte a prevenire frodi come quella in esame, tenuto conto che, come risultato, in risposta all’evocata e non filtrata e-mail, erano stati inseriti codice identificativo e password ma, prudentemente, non il codice di dieci cifre necessario all’operazione;
Vista la proposta formulata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
Rilevato che:
ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rinviato alla pubblica udienza per il valore nomofilattico proprio della questione rilevata nella proposta;
il ricorso risulta infatti notificato via PEC al difensore dell’intimata, con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per “casella piena”;
al contempo, l’intimata aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato […], in Roma […];
appaiono prospettabili differenti ricostruzioni, da offrire al contraddittorio proprio dell’udienza pubblica;
1. questa Corte ha chiarito che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo PEC del difensore di fiducia, quale risultante dal ReGIndE, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies — come convertito dalla L. n. 221 del 2012, e modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, convertito a sua volta dalla L. n. 114 del 2014 — non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass., 24/05/2018, n. 12876);
se però la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione, come nel caso, non imputabile al notificante — essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) — allora potrebbe ritenersi che il notificante stesso abbia la facoltà e l’onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/2016, n. 14594, che ha indicato il termine della metà di quello previsto dall’art. 325 c.p.c.; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700);
solo in tal caso potendo conservarsi gli effetti della originaria notifica: in tal senso risulta la pronuncia di Cass., 18/11/2019, n. 29851, secondo cui, anzi, più in generale, in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella PEC, pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e Ss., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u. p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo PEC dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC);
parte ricorrente, in memoria, richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il titolare dell’account di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale sicché nel caso di notifica telematica di atti quali un rigetto di opposizione allo stato passivo, poi impugnato, o la comunicazione dell’avviso di fissazione della udienza di discussione nel giudizio di legittimità, effettuati alla casella di posta elettronica e rifiutati dal sistema con il messaggio di “casella piena”, la notificazione ovvero comunicazione debbono ritenersi regolarmente avvenute giacché, una volta ottenuta dall’ufficio l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC, diventa responsabile della gestione della propria utenza, avendo l’onere non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (Cass., 21/05/2018, n. 12451, che cita Cass. n. 23650 del 2016);
i principi in parola potrebbero ritenersi non confacenti, perché relativi a fattispecie diverse, in cui:
a) risulti indicato a tali fini l’indirizzo telematico;
b) non risulti effettuata una diversa elezione di domicilio fisico;
in questa prospettiva se, cioè, si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non potrebbe per converso imporre al difensore, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia ingenerato opposto affidamento sul luogo elettronico di ricezione appositamente eletto;
2. diversamente, la fattispecie potrebbe essere ricostruita come segue;
il principio per cui il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della casella di posta elettronica del destinatario, è, come detto, un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e ricezione di nuovi messaggi, sicché legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria (cfr. anche Cass., 21/3/2018, n. 7029), è, in effetti, dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel c.p.c. anche in tema di notificazione;
essa potrebbe desumersi dal disposto di cui all’art. 149-bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario; in esso si prevede che “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;
va ricordato che il disposto del D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, stabilisce che “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”;
è dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC;
il disposto del D.M., data la natura secondaria della fonte, non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di casella di PEC satura la notificazione si abbia per perfezionata;
ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione , “rendere disponibile” che figura nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si potrebbe giustificare la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante potrebbe procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato;
in questa prospettiva, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, il disposto del comma 3 di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al “momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2”, si potrebbe prestare a essere inteso nel senso che a tale ricevuta debba equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di PEC “piena”;
tanto implicherebbe che se la consegna non sia potuta effettivamente avvenire nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario, essendo imputabile tale evento a quest’ultimo, l’inserimento medesimo potrebbe ritenersi comunque come perfezionato, sì da equivalere a una consegna effettuata;
questa complessiva ricostruzione potrebbe risultare giustificata anche alla luce dell’art. 138 c.p.c., comma 2, che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere: il lasciare la casella di PEC satura potrebbe equivalere a un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare potrebbe giustificare il considerare la conseguenza di tale condotta come equipollente a una consegna dell’atto;
3. quale terza via ricostruttiva, ferma la cornice normativa sopra delineata, potrebbe infine ritenersi, specie alla luce dell’inerenza al diritto di difesa costituzionalmente tutelato, che la notifica non andata a buon fine per la saturazione della casella in parola, giustificherebbe l’ordine di rinnovo giudiziale della notificazione;
naturalmente tale prospettiva andrebbe coordinata con il principio, parimenti costituzionale, di ragionevole durata del processo.
P.Q.M.
La Corte rinvia alla pubblica udienza.
[Omissis].