RILEVATO
che:
Con ordinanza pubblicata l’11 giugno 2013 la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c., l’appello proposto da […] nei confronti di […] avverso sentenza del Tribunale di Nola depositata il 29 ottobre 2012 che ha dichiarato acquistata per usucapione la proprietà di una zonetta di terreno in capo ai danti causa dei signori […]. Avverso la sentenza del Tribunale e l’ordinanza della Corte d’appello hanno proposto ricorso per cassazione […] su un motivo nei confronti di […], i quali hanno resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
- 1. Il ricorso è inammissibile. L’inammissibilità consegue alla tardività della sua proposizione.
L’art. 348-ter c.p.c., comma 3:
“quando è pronunciata l’inammissibilità (dell’appello), contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’art. 327, in quanto compatibile”.
Come rilevato dalle sezioni unite di questa corte (Cass., Se Sez. Un., 25513 del 13 dicembre 2016 e n. 11850 del 15 maggio 2018) il ricorso per cassazione proponibile, ex art. 348-ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza di primo grado, entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello, resa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, ad un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta sia, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso è improcedibile, salvo che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo, la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine c.d. lungo di cui all’art. 327 c.p.c..
È il caso di precisare che il termine di sessanta giorni vale anche quando il ricorso censuri l’ordinanza della Corte d’appello per vizi propri. Se è vero, infatti, che le sezioni unite di questa Corte, componendo contrasto di giurisprudenza (v. Cass., Sez. Un., n. 1914 del 2 febbraio 2016), hanno ammesso che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c., sia ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale, è anche vero che la giurisprudenza ha altresì chiarito (v. Cass. n. 3067 del 6 febbraio 2017 e 20662 del 13 ottobre 2016) che il termine previsto dall’art. 348-ter c.p.c., è applicabile anche all’impugnazione autonoma dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., nei casi in cui questa risulti consentita.
Nel caso di specie, a fronte di dichiarazione in ricorso di mancata comunicazione dell’ordinanza e in presenza di richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio effettuata da parte ricorrente alla Corte d’appello in data 30 dicembre 2013 (ciò che legittima acquisizione di documentazione d’ufficio, non necessaria per quanto in appresso), dell’ordinanza risulta (cfr. attestazione in calce alla stessa) rilasciata copia dalla cancelleria all’avv. […] “per uso impugnazione” in data 23 luglio 2013 (ciò che, secondo l’id quod plerumque accidit, dà probabilmente conto dell’assunta mancata comunicazione d’iniziativa della cancelleria).
In argomento, va data continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui l’estrazione di copia autentica della sentenza è, ai fini del decorso dei termini di impugnazione, una forma equipollente della comunicazione di cancelleria, caratterizzata dagli stessi requisiti di certezza, vertendosi in un’ipotesi in cui la conoscenza è ottenuta in via formale, per essere stata acquisita all’esito di un’attività istituzionale, regolata dalla legge, che impone l’individuazione del soggetto richiedente e di quello che ritira la copia, nonché dell’annotazione della data di rilascio di essa (così Cass. n. 13858 del 1º giugno 2017, n. 9421 dell’11 giugno 2012, n. 24418 del 2 ottobre 2008, n. 24742 del 21 novembre 2006, n. 11319 del 16 giugno 2004, n. 2068 del 23 febbraio 2000 e n. 5230 del 27 maggio 1994; oltre a pronunce non rilevanti in quanto concernenti però attività del cancelliere, v. specificamente Cass. n. 20326 del 4 settembre 2013, che chiarisce che l’equipollenza deve ritenersi sussistente limitatamente all’estrazione di copia per finalità “strettamente contigua” al decorso del termine di decadenza di cui trattasi, ciò che sussiste nel caso di specie ove la copia è stata richiesta per uso “impugnazione”).
Essendo stato il ricorso per cassazione proposto con notifica avviata il 13 gennaio 2014, risulta trascorso il termine di 60 giorni a computarsi dalla predetta data del 20 luglio 2014, pur tenuto conto della sospensione feriale; per cui è inutile verificare se vi fosse stata altra comunicazione in data anteriore.
Resta assorbita ogni disamina di eventuali altre causali di inammissibilità, quale ad es. l’avvenuta impugnazione con l’unico motivo di ricorso — in sostanza — della sola ordinanza della Corte d’appello, in relazione a presunta violazione dell’art. 345 c.p.c.
Dovendosi in definitiva dichiarare inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento a cura della parte ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione a favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
[Omissis].