App. Milano, sez. IV, 10 marzo 2015, n. 1075
[Omissis].
In fatto e diritto
Con atto di citazione notificato alla S.a.s. L. & B. di L. A. & C., in data 17.1.2012 la S.r.l. Nord Ovest ha appellato la sentenza n. 764, dell’8.6.11, notificata il 22.12.2011, con cui il Tribunale di Varese ha respinto la domanda dell’allora attore Nord Ovest, di condanna di controparte al risarcimento del danno derivato dall’incendio divampato nella notte tra il 10 e l’11 giugno 2004, nel cantiere in cui l’appellato stava realizzando lavori di ristrutturazione del complesso immobiliare (uffici e magazzino) sito in […] in forza di contratto d’ appalto inter partes, del marzo 2001.
Il primo Giudice ha ritenuto che l’incendio, che ha distrutto o, comunque, gravemente danneggiato la gran parte dei fabbricati oggetto di ristrutturazione, è stato causato da un’azione dolosa posta in essere da terzi ignoti, nonostante l’impresa appaltatrice abbia posto in essere adeguate misure ed opportune cautele; ha peraltro, ha respinto la domanda del committente, di condanna ex contractu, dell’appaltatore, quale custode, ex art. 1177 c.c., in quanto volta “ al pagamento dell’importo necessario a tale ricostruzione, quantificato in € 457.618,58”, “ e non alla ricostruzione dell’edificio danneggiato”, argomentando, per un verso, che “ nulla di specifico è stato dedotto circa la possibilità di ricostruzione — la distruzione o il deterioramento dell’opera in tutto o in parte possono anche determinare un’impossibilità della prestazione, in quanto non sia più possibile rifare l’opera — ed il conseguente permanere dell’obbligazione dell’appaltatore all’esecuzione dell’opera, da ricostruire o da riparare, senza diritto ad alcun aumento di compenso”; e, per altro verso, che l’attore ha introdotto domanda d’ accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di ricostruzione, soltanto nelle conclusioni finali, ma non l’ha esplicitata in quelle dell’atto di citazione, ove è chiesto soltanto l’accertamento dell’esistenza di tale obbligo, prodromico a pronuncia di condanna al risarcimento del danno pari, appunto, all’importo necessario per la ricostruzione dell’immobile appaltato.
Lamenta l’appellante che abbia errato il Tribunale, ritenendo che controparte abbia fornito prova liberatoria circa il verificarsi dell’incendio; sostiene, per contro, che L& B, custode del cantiere ex art. 1177 c.c., è responsabile, ex contractu, del danno derivatone; inoltre, seppur possa dirsi che l’incendio ha causa dolosa, “resta provato” che in cantiere vi erano, in quel momento, “ sia materiali edili provenienti da altri cantieri, nonché due bombole di gas GPL, come hanno constatato gli stessi Vigili del Fuoco nella loro relazione” (appello, pag. 6) e “ detti materiali stavano bruciando quando effettuarono il loro intervento l’11.6.2004”, sicché “ la presenza di detti materiali ha comunque concorso o contributo alla causazione dell’incendio e alla conseguente distruzione dell’edificio” (pag. 7).
Lamenta, altresì, l’appellante che la sentenza non abbia pronunciato alcunché circa la mancata stipula di polizza assicurativa, pur prevista all’art. 8, secondo comma, n. 21, nella Il Parte del contratto d’ appalto inter partes, del marzo 2001, a carico dell’appaltatore” a copertura di qualsivoglia danno alle cose (fabbricati e materiali) nel luogo di esecuzione delle opere e della responsabilità civile verso terzi, e ciò dall’inizio dei lavori, durante il loro corso, fino al compimento del periodo di manutenzione, sollevando in tal modo la Committente da qualsiasi responsabilità ed onere conseguente”.
Lamenta, infine, l’appellante che, a prescindere dall’origine dolosa dell’incendio, un simile evento è comunque posto ex lege a carico dell’appaltatore, dall’art. 1673, primo comma, c.c.. Sicché l’appaltatore è tenuto alla ricostruzione dell’immobile nello status quo ante, senza poter pretendere alcun compenso aggiuntivo (appello, pag. 9). Non avendo provveduto a ricostruire l’immobile, nonostante espressa richiesta del committente in tal senso (doc. 4), l’appellato è tenuto a rifondere il danno derivante dal proprio inadempimento, “costituito dal costo necessario per la ricostruzione dell’immobile nello stato in cui si trovava prima dell’incendio del 10/11.6.2004; danno già quantificato nel corso del procedimento ex art. 696 c.p.c. ante causam nella misura di € 457.618,56” (ivi, pag. 10).
Replica l’appellato negando, anzitutto, d’esser responsabile di violazione alcuna dei doveri connessi alla custodia del cantiere, considerato che, al momento del fatto, anche Nord Ovest ne aveva il possesso, avendo materiale disponibilità delle chiavi d’accesso, “tant’è che il legale rappresentante Sig. […] e le sue maestranze vi si recavano abitualmente, compreso il giorno precedente all’incendio”; inoltre, sottolinea che alla data dell’incendio “il contratto d’appalto in essere tra le parti era sospeso per volere unilaterale del committente”, fin dal dicembre 2002, per disposizione del direttore dei lavori (comparsa, pag. 5); ancora, afferma l’appellato che l’istruttoria ha permesso di stabilire che “per tutto il tempo intercorso tra la sospensione dei lavori e la notte dell’incendio (circa 19 mesi) L& B ha custodito diligentemente il proprio cantiere, ne ha curato la manutenzione e ha eseguito tutte le opere di messa in sicurezza” (pag. 6), mentre non risulta dimostrato il deposito da L& B di materiali in cantiere (pag. 7).
Quanto, poi, alla mancata stipula della polizza assicurativa, l’appellato afferma d’aver stipulato “unicamente una polizza della responsabilità civile per l’eventualità di danni occorsi a persone o cose in occasione dei lavori appaltati per il cantiere di Castronno sapendo che l’assicurazione sull’incendio era stata stipulata direttamente” dalla stessa committente (comparsa, pag. 8).
Quanto, infine, all’inadempimento dell’obbligo legale di ricostruzione, l’appellato afferma che il committente ha disposto la sospensione dei lavori a causa di mancanza di danaro per pagare il prezzo dell’opera, “per un periodo illimitato nel tempo (al momento dell’incendio la sospensione perdurava da 19 mesi) e per cause estranee al cantiere stesso”, perciò “in modo arbitrario e illegittimo”, sicché è da escludere che l’appaltatore abbia abbandonato il cantiere (comparsa, pag. 9, 10).
Ciò che posto, reputa la Corte che l’appello sia infondato.
È noto che, in caso di perimento della cosa per fatto imputabile all’appaltatore, questi è tenuto al rifacimento dell’opera ex novo, senza alcun ulteriore compenso, in applicazione della regola generale per cui l’obbligazione contratta con l’appalto permane fino alla consegna del c.d. opus perfectum; tuttavia, se la cosa perisca per causa non imputabile ad alcuna delle parti, prima che l’opera sia accettata dal committente oppure che questi sia in mora a verificarla, l’art. 1673, primo comma, c.c. prevede quale unico rimedio il rifacimento dell’opera, senza che l’appaltatore abbia perciò diritto ad alcun compenso aggiuntivo rispetto al prezzo pattuito o determinato ex art. 1657 c.c., qualora l’appaltatore abbia fornito la materia, come nel caso concreto, in cui ciò risulta dal citato art. 8, secondo comma, numeri 11 e 20, del contratto d’appalto.
L’appaltatore è, altresì, tenuto all’obbligazione accessoria della custodia della res fino alla consegna della stessa, oltre che per espressa disposizione di legge, ex art. 1177 c.c., anche a norma di contratto inter-partes, ex art. 8, secondo comma, n. 12 senza — cioè, a “provvedere alla sorveglianza e alla chiusura del cantiere”, che deve “essere completamente delimitato con chiusure idonee che lo rendano inaccessibile ai non addetti ai lavori”.
I Vigili del fuoco intervenuti, peraltro, non sono stati in grado di accertare in qual modo gli ignoti autori dell’incendio siano entrati in cantiere per appiccarvelo, né la causa del medesimo— non essendo stato riscontrato alcun elemento atto a dimostrarne l’origine dolosa, ma rimanendo esclusa, peraltro, l’eventualità di innesco spontaneo (informativa 15.6.04) — e neppure la prova orale espletata ha permesso di accertare quali specifiche cautele siano state adottate per impedire l’accesso al cantiere di estranei non autorizzati.
In particolare, dei testi escussi, l’arch. […], indotto dall’appellante, ha dichiarato che “il cantiere risultava chiuso esternamente con un lucchetto. Il portone principale dell’area magazzino risultava chiuso con un lucchetto, mentre le finestre al piano terra erano chiuse con cellophane, non c’erano transenne, che io ricordi. Non ricordo con precisione altre opere di messa in sicurezza del cantiere che io vidi prima dell’incendio”; il sig. […], impiegato dell’appellato, ha dichiarato d’aver constatato in cantiere che “non vi erano transenne verso l’esterno, alcune finestre erano chiuse con il cellophane, altre erano aperte.
Per contro, il geom. […], indotto dall’appellato, ha dichiarato che, mesi prima rispetto alla data dell’incendio, fino a quando ebbe a recarsi in cantiere, “le opere di messa in sicurezza erano integre”, cioè “chiusura delle finestre, parapetti delle scale, parapetti sul ciglio del fiume, lucchetti”; il sig. senza parole […] , in allora operaio alle dipendenze di L& B, ha dichiarato che “il ponteggio era in sicurezza e tutto il cantiere rispondeva a criteri di sicurezza”. Forse
Infine, dalla relazione di CTU, del dicembre 2003, non risulta se in cantiere vi fossero opere idonee ad impedire l’accesso a terzi estranei — quanto alle opere di protezione riscontrate in cantiere — ivi, pag. 36,37 — si tratta di opere provvisionali realizzate soltanto “al fine di evitare possibili pericoli all’interno dell’area di cantiere”.
Peraltro, come emerge dall’impugnata sentenza, anche l’appellante, nella persona del sig. […], aveva in allora la disponibilità delle chiavi del cantiere, sicché lo stesso era in grado di verificare direttamente se le cautele adottate dall’appaltatore fossero adeguate, potendone sollecitare, altrimenti, il miglioramento — ciò che non risulta mai contestato all’appaltatore, in alcuna delle missive spedite prima o dopo l’incendio: in particolare, né in quella datata 19.5.04 (doc. 2), in cui l’A., in esito a sopralluogo del 10 maggio, lamenta soltanto d’aver rinvenuto in cantiere “una gran quantità di rifiuti e materiali di scarto di ogni genere estranei al cantiere medesimo”; né in quelle del 21.6.04 (doc. 3) e del 3.3.05 (doc. 4), nelle quali è semplicemente sollecitato il risarcimento del danno.
Ciò comporta senz’altro l’applicazione al caso concreto del solo disposto dell’art. 1673 c.c., a norma del quale, tuttavia, il committente ha, anzitutto, diritto ad ottenere dall’appaltatore la ricostruzione dell’immobile, senza alcun compenso aggiuntivo — in linea con la dottrina; in senso contrario, Cass. n. 1542/1966, in Giustizia civile, 1966, parte prima, pag. 2202 e seguenti, in particolare, pag. 2205, priva di motivazione sul punto, ma non persuasiva — e, soltanto se l’appaltatore a ciò si rifiuti, il risarcimento del danno per equivalente.
Nel caso concreto, il committente agisce anzitutto per la condanna dell’appaltatore al risarcimento del danno per equivalente, pari al costo di ricostruzione dell’immobile, così come quantificato in relazione di A.T.P. del febbraio 2006 (pag. 16), per € 457.618,56, e, altresì, per la declaratoria dell’obbligo dell’appaltatore di ricostruire l’immobile nello stato in cui si trovava prima dell’incendio del giugno 2004, all’evidenza, tuttavia, esplicitamente correlata alla conseguente condanna al predetto costo di ricostruzione, che costituisce l’effettivo e sostanziale interesse sotteso alla presente azione giudiziale.
Tenuto conto che l’edificazione dell’immobile è stata sospesa, fin dal novembre 2002, su richiesta del committente, “causa il protrarsi dei tempi di erogazione della quota di mutuo” occorrente per finanziare il pagamento del prezzo pattuito (doc. 1 appellato), e, altresì, che non risulta qui ben dimostrata siffatta erogazione, non può dirsi adeguatamente dimostrato il permanere di un interesse attuale del committente stesso alla condanna dell’appaltatore al facere specifico cui anzitutto il committente ha diritto, né, peraltro, che l’appaltatore, pur a fronte di compiutamente dimostrata capacità del committente di pagare il residuo prezzo pattuito per l’appalto, abbia comunque opposto un ingiustificato rifiuto.
Tanto comporta senz’altro il rigetto dell’appello, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite in favore di controparte, liquidate come in dispositivo, secondo criteri del DM n. 55/2014.
PQM
la Corte d’Appello di Milano, Sezione quarta civile, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) respinge l’appello proposto da Nord Ovest s.r.l., con atto di citazione notificato in data 17.1.2012 ad L& B di L. A. & C. s.a.s., avverso la sentenza n. 764/2011, del Tribunale di Varese;
2) condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite in favore dell’appellato, liquidate per il presente grado in € 16.000,00, oltre accessori come per legge.
[Omissis].