Cassazione Civile, sezione III , 11 giugno 2014, n. 13243

Share

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. 1. Nel 1991, […] ottenne decreto ingiuntivo di condanna al pagamento della somma di circa 18 milioni di lire in danno di […] per la vendita di carni macellate.

Il Tribunale di Bari accolse l’opposizione del debitore [N.d.a.], che sostenne non aver mai comprato carni dal creditore [N.d.a.] e revocò il decreto opposto; accolse anche la domanda di risarcimento danni dallo stesso proposta, disponendone la liquidazione in separata sede.

Rigettò, invece, l’altra domanda proposta dal debitore [N.d.a.], in sede di opposizione, con la quale questi aveva chiesto il pagamento della ulteriore somma di 57 milioni di lire, sulla base di effetti cambiari protestati.

La Corte di appello di Bari, adita dal […], rigettò l’impugnazione (sentenza del 17 marzo 2008).

  1. 2. Avverso la suddetta sentenza, . […] propone rituale ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il P.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. 1. La Corte di merito, nel rigettare il motivo di impugnazione con il quale era stata dedotta la nullità del giudizio di primo grado per non avere il . […] ricevuto la comunicazione del decreto di assegnazione del giudizio alla sezione stralcio, con anticipazione dell’udienza, ha ritenuto che la comunicazione del biglietto di cancelleria era stata ritualmente notificata all’Avv. […], nel domicilio eletto presso l’Avv. […], nelle mani di persona addetta allo studio e nello studio dove quest’ultimo si era trasferito.
  2. 2. Con il primo motivo di ricorso, articolato mediante due profili di censura, si deduce:
  • la nullità del procedimento e della sentenza, per la violazione degli artt. 134, 156 e 159 c.p.c., nonchè della L. n. 276 del 1997, art. 13, come interpretato dalla Corte costituzionale con ord. n. 130 del 2002;
  • la violazione e falsa applicazione dell’art. 46 c.c. (recte art. 47 c.c.), R.D. n. 37 del 1934, art. 82, artt. 1703 e 1393 c.c.

2.1. Con riferimento al primo profilo di censura il ricorrente sostiene, nella parte esplicativa del motivo, che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto l’Avv. […] come domiciliatario, valutando poi legittima la comunicazione presso il nuovo indirizzo di mente come questi, mentre dal mandato conferito risulterebbe come domiciliatario il procuratore costituito Avv. . In 1 […] e l’indicazione dello studio dell’Avv. […] —  tra parentesi —  non indicherebbe il domiciliatario, ma costituirebbe solo una indicazione per l’ufficiale giudiziario, atteso che l’Avv. […], all’epoca del mandato, faceva parte dello studio di […], mentre successivamente si sarebbe trasferito solo quest’ultimo.

Nel quesito di diritto che conclude il motivo (pag. 12^,13^ del ricorso), ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, la questione è posta rispetto alla legittimità della comunicazione effettuata ad un indirizzo diverso da quello risultante nell’atto contenente il mandato e senza alcun riferimento alla domiciliazione.

2.1.1. Il profilo è inammissibile per la non conferenza del quesito di diritto rispetto alla argomentazione della Corte di merito, che presuppone l’interpretazione dell’atto di domiciliazione. Mentre nessun rilievo deve attribuirsi alle argomentazioni contenute nella parte esplicativa del motivo, atteso che le stesse, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non possono concorrere ad integrare la questione di diritto posta con il quesito; e, anzi, la difformità tra esplicazione e quesito, ingenera solo indeterminatezza in ordine alla questione posta all’attenzione della Corte (ex plurimis, Sez. Un.,14 gennaio 2009, n. 565). 2.

2.2. Con riferimento al secondo profilo di censura, si sostiene che la Corte di appello, nel ritenere che l’Avv. […] aveva eletto domicilio presso l’Avv. […], avrebbe violato le norme di diritto sostanziale che, ai fini della elezione di domicilio presso un procuratore diverso da quello , costituito, richiedono, oltre alla espressa indicazione del domiciliatario, anche l’accettazione di questi mediante sottoscrizione dell’atto processuale con cui è conferita la rappresentanza (quesito pag. 13^/14^ del ricorso).

2.2.1. Il profilo di censura va rigettato.

La tesi sostenuta contrasta con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide.

Infatti, “l’elezione di domicilio (art. 47 c.c., e art. 141 c.p.c.) è un atto giuridico unilaterale che spiega efficacia indipendentemente dal consenso o accettazione del domiciliatario. Ne consegue che, fino a quando non intervenga la revoca dell’elezione, la facoltà del soggetto, nei cui confronti si è eletto domicilio, di notificare validamente gli atti al domiciliatario è indipendente dalla concreta esistenza dell’accordo, che costituisce soltanto un rapporto interno tra eleggente e domiciliatario” ([…] Cass. 28 gennaio 2003, n. 1219).

  1. 3. Nel merito, la Corte di appello, in riferimento alla domanda […] basata sulle cambiali, ha messo in evidenza la falsità della sottoscrizione delle stesse, come risultante dalla consulenza tecnica di primo grado e del processo penale, con conseguente non idoneità a fondare la domanda di condanna alla somma portata da tali effetti. Ha aggiunto che, peraltro, il debito non era stato mai riconosciuto […], atteso che il “provvedere” — riportato sul protesto [N.d.a.] di alcune delle cambiali (undici) a cura del presentatore della cambiale — è di “assoluta genericità ed equivocità”.

Quanto alla somma relativa alla fornitura di carni, la Corte di merito ha rilevato l’assenza di documentazione che potesse dimostrare l’ordine […] nonchè la consegna […] della merce (a prescindere dalla enorme quantità di carni indicata sulla fattura, incompatibile con l’esercizio di una macelleria); circostanza che sarebbe stata dimostrabile con una bolla di accompagnamento. In generale, la Corte ha escluso che dalle testimonianze potesse evincersi un rapporto diretto tra le parti [N.d.a.]; posto che i testi avevano riferito di un ritiro della merce con due camion […] Gravissima nei locali del […] e di rapporti tra le parti[N.d.a.].

  1. 4. Il secondo e il terzo motivo vanno trattati congiuntamente per la stretta connessione.

4.1. Con il secondo motivo, in riferimento alla domanda di pagamento supportata dalle cambiali protestate, per le quali era stato dichiarato “provvedere”, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., e della L. n. 349 del 1973, artt. 4 e 3, in riferimento all’art. 1988 c.c., oltre che tutti i vizi motivazionali.

4.1.1. Manca il quesito di fatto, rispetto al profilo motivazione.

4.1.2. Per la violazione di diritto, anche sulla base del quesito di diritto formulato (pag. 21^ del ricorso), il ricorrente censura la sentenza per non aver attribuito alla dichiarazione “provvedere”, resa dal trattario di una cambiale-tratta al notaio o al pubblico ufficiale che procede al protesto, valore di riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., con le conseguenze in ordine all’onere della prova, dovendosi presumere l’esistenza del rapporto fondamentale, atteso che l’atto di protesto, sulla base delle norme citate, costituisce piena prova delle dichiarazioni del debitore e degli altri fatti che il presentatore riferisce essere avvenuti in sua presenza.

4.2. Con il terzo motivo si deduce omessa e insufficiente motivazione per omesso esame di documenti decisivi (bolla di accompagnamento; fatture , che si assumono esistenti in atti; estratto autentico delle scritture contabili certificanti la regolarità del registro delle fatture; scambio di missive tra i legali, relative alla fornitura di carni e alla cambiali, disconoscimento […] della firma sulle cambiali, che secondo il creditore sarebbero state rilasciate dal […] a fronte dell’accollo di debito del cognato […];…] non contestazione della fornitura di carne); omessa considerazione di prove decisive, in riferimento alla fornitura di merci (altri documenti assunti come esistenti in atti, registro vendite […] e registro acquisti […]).

  1. 5. I motivi, inammissibili per alcuni profili, vanno rigettati;

rispetto alle censure che attengono ai pagherò cambiari, va corretta la motivazione in diritto, e la decisione impugnata resta confermata, ex art. 384 c.p.c., u.c., perchè conforme a diritto.

In estrema sintesi, la Corte di merito, che pure ha erroneamente ritenuto irrilevante il “pagherò” riportato sul protesto delle cambiali, non riconoscendo l’operatività dell’art. 1988 c.c., ha accertato, attraverso la valutazione delle risultanze istruttorie, con accertamento non intaccato dalle censure avanzate con ricorso per cassazione, l’esclusione di ogni rapporto tra le parti[N.d.a.]; quindi, sulla base delle argomentazioni della Corte di merito, risulta la prova contraria […] che il rapporto fondamentale non esisteva, secondo quanto richiesto dall’art. 1988 c.c. per superare la presunzione del rapporto fondamentale a favore del creditore […], scaturente dal “pagherò” esistente sui protesti.

  1. 6. Quanto alla motivazione in diritto della Corte di merito, mentre è corretto che il credito non ha fondamento cartolare, stante la falsità della firma sulle cambiali e la non idoneità del “pagherò” dichiarato in fase di protesto, non è corretto che tale ultima dichiarazione non abbia alcuna valenza.

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, la decisione è certamente non conforme a diritto, poiché, secondo quanto affermato dalla Corte di legittimità —  con principio che si condivide e che si intende ribadire — “la dichiarazione provvedere od altra simile resa, dal trattario di una cambiale tratta non accettata, al notaio o al pubblico ufficiale che procede al protesto, ancorché non equivalga ad accettazione della cambiale in quanto non contenuta nel titolo, ma in un atto da esso distinto, ha valore, comunque, di promessa di pagamento o di riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., onde è idonea ad obbligare il dichiarante, salvo che questi non provi il difetto di causa”. (Cass. 22 marzo 1990, n. 2391). Mentre, “la dichiarazione resa dal debitore al notaio e da questo riprodotta nell’atto pubblico di protesto non ha natura di negozio cambiario ed efficacia di accettazione della cambiale tratta, essendo la dichiarazione priva della forma richiesta, e contenuta in un atto ontologicamente distinto dal titolo cambiario, anche se materialmente collegato a quest’ultimo sul piano documentale attraverso il foglio di allungamento” (Cass. 21 giugno 1969, n. 2208; Cass. 21 aprile 1969, n. 1268).

Quindi, il titolo di credito opera solo come elemento fattuale esterno di individuazione del pagamento promesso, ma, in forza della c.d. “astrazione processuale” risultante dalla promessa di pagamento, è invertito l’onere probatorio circa l’esistenza del rapporto fondamentale e la dichiarazione “pagherò” resa al pubblico ufficiale fa presumere l’esistenza dello stesso e l’obbligo del debitore dichiarante, salva la prova contraria in ordine all’esistenza del rapporto sottostante.

In questi termini va corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Tuttavia, come si è anticipato (p. 3 e 5), la Corte di merito ha ritenuto accertata la prova contraria in ordine alla non esistenza del rapporto fondamentale e le censure rivolte a tali argomentazioni, dal secondo motivo, rispetto ai vizi motivazionali, e dal terzo motivo di ricorso, non sono idonee a scalfirla.

7.1. In tale direzione rileva la mancanza del c.d. quesito di fatto che, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, è richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, nella deduzione di vizi motivazionali con il secondo motivo.

Pure violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per assenza del quesito di fatto, si riscontra nelle critiche, contenute nel terzo motivo, rispetto alla mancata valutazione delle prove testimoniali nella loro interezza.

7.1.1. Rispetto ad altro profilo di censura contenuto nel terzo motivo, l’inammissibilità discende dalla prospettazione di un errore revocatorio.

Si tratta delle censure relative alla mancata valutazione di documenti che sono dedotti dal ricorrente come esistenti negli atti processuali e che, invece, la Corte di appello assume come non esistenti. Si tratta, quindi, della prospettazione di un errore di fatto revocatorio, di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, quale errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, per avere il giudice supposto inesistenti documenti che si assumono ritualmente prodotti ed effettivamente esistenti, che avrebbe potuto farsi valere con lo specifico strumento della revocazione.

7.1.2. Tale profilo di inammissibilità si ripercuote anche su un altro profilo di censura, sempre fatto valere con il terzo motivo.

Il ricorrente (pag. 29^ del ricorso) formula un quesito di diritto a proposito della prova della contabilità tra imprenditori e a proposito delle conseguenze traibili in ordine alla consegna della merce, ecc.

Si tratta di censura che, a prescindere dalla idonea formulazione del quesito, è inammissibile perchè ha per presupposto quei documenti rispetto ai quali è stato denunciato un errore di percezione revocatorio.

Ed in ogni caso, la formulazione del suddetto quesito di diritto è fatta all’interno di un motivo di ricorso in cui non viene dedotto solo difetto di motivazione e non violazione di legge, con conseguente genericità ed inidoneità del motivo di ricorso.

In conclusione, il ricorso deve rigettarsi.

Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

[Omissis].

Newsletter