Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 2007, n. 6642
[Omissis].
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato l’8 ottobre 1992 la Impresa Edile […] citò a comparire davanti al Tribunale di Vigevano […], chiedendo che fosse condannato a pagarle la somma di Lire 33.061.600, con interessi e rivalutazione monetaria, quale residuo del compenso di lavori di costruzione di una casa di abitazione, che aveva eseguito in appalto su incarico del convenuto. Quest’ultimo si costituì in giudizio, contestando l’esattezza dei conteggi posti a base della domanda, nonché lamentando vizi e difformità di alcune delle opere, sicché chiese, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice alla loro eliminazione e al risarcimento dei danni.
All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza del 3 agosto 2000 il Tribunale respinse la domanda dell’attrice e accolse la riconvenzionale, condannando la Impresa Edile […] a pagare a […] Lire 27.450.379, oltre agli interessi, come rimborso degli importi che risultavano essere stati pagati in più del dovuto all’appaltatrice.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Milano, che con sentenza del 19 luglio 2000 ha rigettato anche la riconvenzionale, ricalcolando in Lire 8.906.706 l’eccedenza che era stata pagata da […] e ritenendo che la Impresa Edile […] non potesse essere condannata a rimborsarla, in mancanza di una domanda formulata a tale titolo.
Il committente [N.d.a.] ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. La Impresa Edile […] si è costituita con controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via incidentale. Sono state presentate memorie dall’una e dall’altra parte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo del ricorso principale […], denunciando la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1667 e 1668 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, si duole del mancato accoglimento, da parte della Corte di appello, della domanda intesa ad ottenere il rimborso dell’eccedenza che era risultato essere stata da lui pagata in più del dovuto alla Impresa Edile […].: sostiene che erroneamente il giudice a quo ha ritenuto che non fosse stata proposta domanda in tale senso, pur se era stata chiesta la condanna della società appaltatrice all’eliminazione dei difetti dell’opera e comunque al risarcimento dei danni per equivalente.
La censura va disattesa.
Si verte nel campo dell’interpretazione della domanda, che è riservata al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma da questi vizi la sentenza impugnata è immune, poiché la Corte di appello ha adeguatamente spiegato le ragioni della propria decisione sul punto, osservando che il committente[N.d.a.], con la sua riconvenzionale, aveva “dimostrato che il suo interesse era quello di ottenere la eliminazione degli asseriti vizi e difformità dei lavori eseguiti, fermo restando quanto già pagato durante la loro esecuzione”, sicché una domanda di rimborso, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, non si poteva “ritenere come implicitamente contenuta in quella di “risarcimento dei danni” per i vizi e difformità delle opere appaltate”. Il diverso e opposto assunto del ricorrente non può costituire valida ragione di cassazione della sentenza impugnata, essendo inibito a questa Corte, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, compiere accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, come quelli cui si dovrebbe dare luogo, per vagliare se rispondesse meglio all’intento del convenuto l’interpretazione che della riconvenzionale aveva dato il giudice di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso il committente [N.d.a.] lamenta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. sotto altro profilo”, per avere la Corte di appello escluso alcune decurtazioni che il Tribunale aveva operato dal credito della Impresa Edile […], mentre esse “non avevano formato oggetto di gravame”, in quanto “controparte si era limitata a insistere sulla bontà del secondo elaborato peritale, non svolgendo alcun tipo di contestazione e impugnazione sui criteri che il Giudice di prime cure aveva seguito al fine di addivenire alla quantificazione del risarcimento del danno”. Neppure questa censura può essere accolta.
Secondo il ricorrente, “è di tutta evidenza, rileggendo i motivi esposti con l’atto di citazione in appello, che la Corte è incorsa in una forzatura”. Si tratterebbe dunque, anche in questo caso, non di un error in procedendo, bensì di erronea interpretazione della domanda, sotto la specie dell’estensione del devolutum (cfr., per tutte, Cass. 6 febbraio 2006 n. 2467). Ma per poter sindacare eventuali vizi di motivazione sul punto della sentenza impugnata sarebbe stato necessario che il ricorrente, in forza del principio di “autosufficienza”, specificasse con precisione il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, anziché rinviare a una sua “rilettura” che in sede di legittimità non è dato compiere, stante la natura del vizio denunciato.
Con il terzo motivo di ricorso il committente [N.d.a.] si duole di “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1659 c.c. nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia”, lamentando che la Corte di appello ha ritenuto che la difformità dal progetto, consistente nell’aumento dell’altezza dei piani, rappresentasse una miglioria e fosse stata richiesta dal committente, desumendolo da deposizioni testimoniali assunte in violazione dell’art. 1659 c.c., il quale stabilisce che le variazioni debbono essere provate per iscritto.
Anche questa censura va disattesa.
La disposizione citata dal ricorrente si riferisce all’ipotesi in cui l’appaltatore di sua iniziativa apporti modificazioni alle modalità di esecuzione dell’opera, mentre quelle ordinate dal committente sono disciplinate dall’art. 1661 c.c., il quale non prescrive la forma scritta, neppure ad probationem, sicché la circostanza può essere provata con ogni mezzo, comprese le presunzioni (v., tra le altre, Cass. 22 aprile 2003 n. 6398). L’ammissione e l’utilizzazione della prova testimoniale in questione non ha quindi comportato la violazione di legge denunciata dal ricorrente. Essendone risultato che era stato lo stesso committente [N.d.a.] a richiedere l’aumento dell’altezza dei piani, correttamente la Corte di appello ha negato che le spese in ipotesi occorrenti, per ripristinare quella prevista originariamente nel progetto, potessero costituire un danno risarcibile.
Con il motivo addotto a sostegno del ricorso incidentale la Impresa Edile […] denuncia che la sentenza impugnata è affetta da “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c… P.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, in quanto la Corte di appello non ha spiegato le ragioni per cui ha fatto proprie le conclusioni della prima consulenza tecnica di ufficio, anche nella parte in cui si basavano su semplici affermazioni del padre del committente [N.d.a.], relative all’esecuzione di alcuni dei lavori in questione da parte di una impresa diversa dall’appaltatrice.
La censura non è fondata.
1 In proposito, nella sentenza impugnata, si è osservato che “la prima relazione è stata redatta sulla base di rilievi in loco da parte del tecnico incaricato, e non già soltanto sulla scorta di quanto riferitogli dal committente o da suo padre”, sicché è stato dato conto in maniera esauriente delle ragioni della decisione. Constatato che sul tema la motivazione non è stata omessa, non è insufficiente né contraddittoria, ogni ulteriore accertamento o valutazione, come quelli che la ricorrente pretende di introdurre nel giudizio di legittimità, esula dai compiti di questa Corte. Entrambi i ricorsi debbono essere pertanto rigettati.
Le spese del giudizio di cassazione vengono compensate tra le parti, stante la reciproca loro soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. [Omissis].