Cass. Civ., sez. I, 2 maggio 2006, n.10139

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Cass. Civ., sez. I, 2 maggio 2006, n.10139

[Omissis].

FATTO

La Candida di G. Del Bono s.r.l. che, con contratto del 10 gennaio 1991, all’esito di un procedimento ad evidenza pubblica, aveva avuto affidato in appalto dalla Banca d’Italia il servizio di pulizia di dodici edifici in Roma per due anni, conveniva in giudizio la committente davanti al Tribunale di Roma con citazione notificata il 12 febbraio 1992. L’attrice chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, perché aveva illecitamente dichiarato risolto il contratto, la cui esecuzione era rimasta sospesa alcuni giorni, per effetto di scioperi dei suoi dipendenti.

Secondo la società, anche se il servizio di pulizia non era stato eseguito per causa di forza maggiore, la Banca, che aveva intimato di riprendere l’attività entro un certo termine, alla scadenza dello stesso aveva dichiarato risolto l’appalto a decorrere dal 17 giugno 1991, affidandolo ad altra impresa.

La Banca d’Italia si costituiva e, dedotto di aver dichiarato risolto il contratto in applicazione della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 8 dello stesso atto, cioè per fatto e colpa dell’appaltatrice, chiedeva in riconvenzionale la condanna della attrice al risarcimento dei danni.

L’adito Tribunale, con sentenza 7 luglio 1999, rigettava la domanda principale e accoglieva la riconvenzionale, ritenendo legittima la risoluzione e condannando la s.r.l. La Candida a pagare alla Banca, a titolo di risarcimento dei danni, £. 169.657.000 oltre interessi, svalutazione e spese di lite.

La s.r.l. La Candida proponeva appello avverso la sentenza. Di primo grado, insistendo per la illiceità della risoluzione di diritto e la condanna della Banca d’Italia al risarcimento dei danni o, in subordine, domandando la riduzione delle somme liquidate dal Tribunale a suo carico.

La banca appellata si costituiva resistendo al gravame e chiedendo, in via incidentale, l’aumento del risarcimento liquidato [N.d.a.] dal Tribunale. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5 marzo 2002, ha rigettato i due gravami e ha condannato la s.r.l. La Candida alla metà delle spese del grado. Circa la pretesa non imputabilità dell’inadempimento, dedotta come primo motivo di gravame, per essere dipesa la interruzione del servizio di pulizia da scioperi del personale costituenti causa di forza maggiore, la Corte ha rilevato che la controversia a base dell’astensione dal lavoro era aziendale e non riguardava quindi situazione che l’impresa non poteva affrontare e risolvere.

Incombeva, pertanto, sull’appellante la prova liberatoria della responsabilità per il suo inadempimento, consistente nella dimostrazione del fatto che lo sciopero era immotivato o non conseguiva ad azioni della datrice di lavoro, ma tale prova non era stata fornita.

Appariva, invece, pienamente giustificata l’azione dei lavoratori, tanto che il tentativo della società di usare altro personale suo dipendente per le pulizie oggetto dell’appalto non aveva prodotto risultati, perché pure i sostituti si erano astenuti dal lavoro per solidarietà con gli scioperanti.

Del resto lo stato di agitazione dei dipendenti della società appellante, iniziato solo cinque giorni dopo l’assunzione del servizio, era di certo prevedibile dalla società La Candida che, anche per tale ragione, era da ritenere in colpa, dei trasferimenti dei dipendenti posti in essere senza la previa consultazione delle organizzazioni sindacali e in mancanza della mediazione del competente Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, con il quale l’impresa si era impegnata ad assumere il personale delle impresa che essa aveva sostituito nell’appalto.

In secondo luogo, l’appellante aveva dedotto che la Banca le aveva nascosto che il servizio era stato da poco riorganizzato con riduzione del personale, ma la Corte di merito ha ritenuto onere dell’appaltatrice accertare previamente le modalità di esecuzione del contratto e la convenienza di esso, prescindendo dai precedenti analoghi contratti di altre imprese. Era poi negata dalla Corte di merito la pretesa mancanza di gravità dell’inadempimento prospettata dal gravame, per essere stata la pulizia interrotta solo per pochi giorni e in due dei dodici edifici oggetto del contratto, dato che gli effetti della astensione sui servizi igienici della Banca erano consistiti in uno stato di degrado degli stessi, per il quale si erano avute proteste del personale della committente, che avevano richiamato pure l’attenzione degli organi di vigilanza sanitaria.

La Corte d’appello ha poi ritenuto infondato il motivo d’appello che aveva rilevato l’inefficacia della intimazione ad adempiere, per l’esistenza di un sopravvenuto accordo con i lavoratori di cui la società non aveva dato prova scritta, essendo nel caso rilevante la mera sospensione del servizio di pulizia per dar luogo all’inadempimento dell’obbligazione contrattuale dell’appaltatore.

Ritenuto infondato lo stesso gravame sulla liquidazione dei danni da parte del Tribunale, calcolati in base al nuovo corrispettivo erogato all’impresa di pulizia che aveva sostituito la società appellante, la Corte d’appello ha poi respinto l’impugnazione incidentale della Banca d’Italia, affermando che le altre perdite chieste dall’appellata erano effetto della mera violazione dei suoi doveri di diligenza per ridurre gli effetti pregiudizievoli dell’inadempimento dell’altra parte del contratto.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la s.r.l. La Candida di G. Del Bono con sei motivi e la Banca d’Italia si difende con controricorso.

DIRITTO

Con il primo motivo del ricorso della s.r.l. La Candida deduce la violazione dell’art. 1218c.c., della sentenza di merito che non ha rilevato l’impossibilità dell’adempimento dell’appalto, dovuta a causa di forza maggiore, costituita dallo sciopero dei dipendenti dell’impresa né ha considerato i provati tentativi di far cessare l’astensione dal lavoro da parte dell’appaltatrice che aveva accettato tutte le richieste dei lavoratori sul trasferimento, anche per insufficiente motivazione su detti punti decisici della controversia, ex art. 360, n. 5), c.p.c. Ai sensi dell’art. 1218 c.c., infatti, doveva negarsi che vi fosse stato inadempimento, perché le mancate prestazioni del servizio furono effetto solo dello sciopero e delle azioni di picchettaggio dei lavoratori, contro le quali nulla aveva fatto la stessa Banca d’Italia. Nel caso, quindi, l’inadempimento non era imputabile all’impresa appaltatrice ai sensi dell’art. 1453 c.c., perché essa non poteva imporre l’esecuzione di prestazioni che lo sciopero impediva e, in assenza dell’inadempimento giustificato dalla causa di forza maggiore, non poteva aversi la risoluzione indicata. La Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la ragionevolezza delle pretese dei lavoratori, che furono tutte accolte dalla appaltatrice, la quale aveva assunto i lavoratori dipendenti delle imprese già affidatarie del servizio, pur non essendovi obbligata e, nei primi tre mesi di esecuzione dell’appalto, non aveva adottato nessun atto di riorganizzazione del servizio. La società appaltatrice aveva solo dato inizio a una procedura di consultazione delle organizzazioni sindacali, cui era tenuta per riorganizzare il servizio anche con i dedotti trasferimenti nell’ambito della stessa città di alcuni dipendenti, nessuno dei quali, per i primi tre mesi del rapporto, era stato trasferito in altri luoghi di lavoro. La trattativa, sollecitata più volte dall’inizio di febbraio 1991, per ostacoli posti dalle organizzazioni sindacali, avrebbe avuto inizio il 31 maggio 1991, se la riunione fissata allo scopo non fosse stata disdetta da uno dei sindacati solo due giorni prima. Dopo il fallimento delle trattative con i sindacati, davanti all’Ufficio provinciale del Lavoro, la s.r.l. La Candida aveva dichiarato, in data 5 giugno 1991, che era necessaria la riorganizzazione del lavoro, per la quale si dovevano disporre trasferimenti tra le varie sedi di prestazione dei servizi nella medesima città di Roma, previa intesa con le organizzazioni sindacali al fine di considerare le esigenze dei lavoratori da trasferire. Per effetto dello sciopero, il 12 giugno 1991, l’impresa aveva rinunciato ai trasferimenti e comunicato, in data 14 giugno, la sospensione di essi; non si comprende la colpa dell’impresa nel caso di specie per non aver impedito lo sciopero.

La decisione di trasferire singoli lavoratori fu revocata otto giorni dopo la sua adozione, nonostante la sua legittimità, ai sensi dell’art. 2103c.c., per essere dovuta a ragioni tecniche e comunque per essere i trasferimenti nell’ambito del medesimo Comune e non incidenti in modo rilevante sulla vita dei lavoratori. A escludere la colpa della ricorrente concorreva pure la circostanza che essa aveva chiesto ai sindacati di ridurre al minimo i fastidi ai dipendenti della Banca e aveva inviato sostituti, da altre unità produttive, per lo svolgimento della pulizia indispensabile alla igiene dei luoghi di lavoro. Come emerso dalla prova testimoniale, il picchettaggio aveva impedito ai lavoratori sostituti di pulire i servizi igienici, avendo i testi affermato che “il sig. […]si rifiutava di far entrare i lavoratori ad effettuare l’emergenza” con violazione palese dei doveri della stessa Banca committente di intervenire per consentire all’appaltatrice di svolgere le attività oggetto di contratto, non avendo la committente preso alcuna iniziativa che consentisse alla società l’adempimento del servizio in appalto. La sentenza di merito impugnata, sulla esimente della responsabilità da inadempimento e sulla illiceità della risoluzione non contiene motivazione di sorta in violazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c., ed è poi contraddittoria nel ritenere giustificata l’astensione dal lavoro per il fatto che i lavoratori inviati a sostituire gli scioperanti avevano, per solidarietà, rifiutato a loro volta ogni prestazione. Nessun rilievo è stato dato dai giudici di merito ai molti tentativi dell’appaltatore di eseguire il servizio di pulizia oggetto dell’appalto e di eliminare le ragioni della protesta dei lavoratori. Erroneamente i giudici di merito affermano che l’inizio delle agitazioni dei lavoratori, appena cinque giorni dopo che il servizio era stato assunto dalla ricorrente, cioè il 6 febbraio 1991, provava la consapevolezza, da parte dell’appaltatrice, del rischio che l’obbligazione non poteva essere eseguita con le modalità che essa intendeva adottare. In realtà la società La Candida, con una clausola dell’appalto, ha dato atto solo di conoscere i locali e i luoghi ove le prestazioni dovevano eseguirsi e da ciò non può ricavarsi che essa poteva prevedere le agitazioni che le sue decisioni potevano avere sui lavoratori, non essendo neppure tenuta ad assumerli ed è quindi contraddittorio non aver considerato le iniziative della società per venire incontro alle esigenze dei lavoratori.

Si deduce in secondo luogo la falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., in quanto non costituisce “grave inadempimento” la mancata esecuzione del servizio di pulizia solo per cinque giorni nei quali si era scioperato, rispetto ad un rapporto di due anni regolato dal contratto, anche per insufficiente motivazione della sentenza su tale punto essenziale.

Secondo la Banca la decisione della ricorrente di procedere ai trasferimenti senza consultazione previa dei sindacati, aveva dato luogo a scioperi iniziati a maggio 1991, ma in realtà le astensioni dal lavoro si ebbero solo il 7 e l’11 giugno 1991, mentre la risoluzione fu decisa il successivo 14 giugno. Al limite poteva ritenersi essersi avuto uno sciopero di cinque giorni lavorativi da venerdì 7 a venerdì 14 giugno e solo in tre delle dodici sedi ove l’appalto doveva essere eseguito, con evidente sproporzione tra omesse prestazioni e risoluzione del rapporto. Si era avuto, in realtà, un inadempimento di scarsa rilevanza, sia in rapporto al limitato arco temporale dello sciopero che alle sedi in cui si era attuato, tanto che la stessa Banca aveva chiesto il ripristino dei servizi igienici solo nelle due sedi di Via Nazionale 187 e di Via Milano 53.

Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 1176 c.c., non potendo valutarsi la diligenza nell’adempimento della ricorrente, senza considerare anche il comportamento della committente. Quest’ultima doveva informare la società che la riduzione delle ditte appaltatrici della pulizia, da quindici a cinque, avrebbe comportato una riduzione anche del personale per la quale i cinquanta lavoratori dipendenti delle imprese che in passato avevano svolto il servizio erano già in stato di agitazione prima della conclusione del contratto sottoscritto dalla ricorrente. In ordine a questa circostanza è irrilevante la dichiarazione dell’impresa di conoscere ubicazione, natura e situazione dei locali da pulire, non dovendo per tale motivo avere pure conoscenza della esigenza di riorganizzare il servizio e di dover procedere a trasferimenti intercomunali. La Banca non solo non aveva informato la società dello stato di agitazione dei dipendenti da assumere, ma si era disinteressata delle riunioni dell’impresa con le organizzazioni sindacali per risolvere la vertenza. Per i giudici di merito la colpa dell’appaltatrice era emersa dal fatto stesso della mancata prestazione del servizio di pulizia da parte dei dipendenti che dovevano sostituire gli scioperanti, per solidarietà con questi, mentre lo stato di degrado dei servizi igienici, provocato dalla sospensione delle pulizie, aveva determinato proteste dei dipendenti della Banca. Ciò appare illogico e contraddittorio, rispetto alle limitate conseguenze del breve sciopero descritto.

Con il quarto motivo di ricorso si censura il mancato rilievo dato dalla Corte d’appello alle trattative e alla transazione della Banca con l’appaltatrice, che aveva superato le precedenti contestazioni di inadempienza, con violazione della sentenza impugnata, dell’art. 1967 c.c., pure per insufficienze motivazionali.

Secondo la Corte non vi era prova scritta dell’accordo transattivo, imposta dalla norma citata del codice civile che, peraltro, nel caso era inapplicabile, perché dopo la diffida ad adempiere entro il 14 giugno 2001, il giorno precedente nella riunione seguita alla nota, Banca aveva chiesto alla s.r.l. La Candida di “comunicare il provvedimento (di revoca dei trasferimenti) senza dichiarare la composizione della controversia”.

A tanto aveva ottemperato la ricorrente ma, nonostante la revoca dei trasferimenti, la Banca il 15 giugno 1991 aveva sostituito la società nel servizio con altra impresa; la risoluzione fu decisa dalla banca per avere acquisito certezza che il servizio non sarebbe ripreso neppure nei giorni successivi. La certezza della mancata ripresa del lavoro non poteva essere derivata dalla missiva di uno dei sindacati che aveva affermato l’insufficienza della sospensione dei trasferimenti per chiudere la vertenza, non solo perché la stessa era successiva al nuovo appalto (la missiva è del 17 giugno) ma anche perché proveniva da una sola delle organizzazioni sindacali. Viola la buona fede contrattuale la richiesta della sospensione dei trasferimenti da parte della Banca d’Italia, e la successiva risoluzione ad opera della stessa parte che aveva ottenuto dall’appaltatrice il comportamento alla stessa richiesto.

Nel caso era quindi violativa di legge la stessa diffida ad adempiere e la risoluzione automatica del contratto ritenuta in sede di merito e nessuna motivazione vi è sul punto nella sentenza impugnata che ha rilevato che nel caso “l’unico dato rilevante è costituito dalla sospensione del servizio di pulizia, tale da pregiudicare gravemente l’interesse alla prestazione da parte del committente il”.

Nessuna pronuncia vi è stata in appello sulla richiesta di risarcimento dei danni al Tribunale per la illiceità della diffida ad adempiere e della risoluzione violativa dell’art. 1456 c.c. Il danno subito dalla società era in realtà costituito dal mancato utile d’impresa, desumibile anche dalla riduzione del corrispettivo per l’anno successivo che fu riconosciuto alla impresa che aveva sostituito la ricorrente nel servizio, utile da liquidare nel 30% dell’importo contrattuale. Nel computare l’utile dell’impresa e le somme da corrispondere a questa doveva tenersi conto anche dei costi rilevanti sostenuti per iniziare l’esecuzione del contratto e gli stessi dovevano riconoscersi anche per essere stata illegittima la risoluzione disposta dalla controparte ma sul punto nulla è espressamente affermato nella decisione impugnata.

Secondo la ricorrente, infine, erroneamente si è accolta la domanda di risarcimento della Banca in violazione dell’art. 1227 c.c., in quanto era stata illegittima la risoluzione automatica decisa dalla committente e ingiustamente si era respinta la richiesta di sospensione della sentenza di primo grado oggetto dell’appello. È illogica e contraddittoria anche la motivazione della Corte territoriale senza parole sull’entità dei danni liquidati in favore della banca in primo grado, statuizione che l’impresa aveva specificamente impugnato con il suo gravame.

Secondo l’appello risultava infatti troppo lungo il periodo che il Tribunale aveva ritenuto da risarcire alla banca per le perdite conseguenti all’aumento del corrispettivo dell’appalto, dopo aver rilevato che tale perdita era da risarcire solo per la fase immediatamente successiva all’inadempimento.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La Corte d’appello, in applicazione dell’art 1218 c.c., afferma esattamente che la sospensione del servizio di pulizia, da parte della società ricorrente, ha determinato la presunzione di colpevolezza nell’inadempimento degli obblighi contrattuali dell’appaltatrice la quale, se avesse dato la prova liberatoria di una esimente della sua responsabilità, avrebbe dimostrato l’illegittimità della risoluzione automatica prodotta dalla diffida ad adempiere della Banca d’Italia.

Esattamente si è negato che lo sciopero dei dipendenti dell’appaltatrice, nel corso di una controversia solo aziendale, costituisca “di per sé ed in ogni caso” causa di forza maggiore, che esime dalla responsabilità per inadempimento l’impresa, alla quale non può ritenersi imputabile la sospensione delle prestazioni dedotte in appalto. Se uno sciopero dei lavoratori, nazionale ovvero locale, ma relativo a più aziende e in quanto non può essere impedito dal singolo imprenditore, costituisce di regola esimente dall’eventuale inadempimento di questo nei contratti da lui conclusi, l’astensione dal lavoro in una controversia solo aziendale è invece liberatoria della responsabilità per la mancata esecuzione della prestazione contrattuale solo se si dimostri che essa è illecita o per la sua proclamazione o per il modo in cui è stata realizzata. L’indagine sulla condotta inadempiente è rimessa logicamente al giudice di merito (cfr.: Cass., 11 giugno 1986, n. 3958 e 29 novembre 1988, n. 836) e solo la denuncia di vizi logici o di incongruità in diritto della motivazione della sentenza può determinare la eventuale cassazione.

La società ricorrente afferma che, dopo la conclusione dell’appalto, avendo iniziato il servizio di pulizia con il medesimo personale in forza alle imprese che in precedenza lo avevano svolto, aveva deciso di procedere a modifiche organizzative del lavoro anche con il trasferimento intracomunale di lavoratori da una ad altra unità produttiva.

Pur essendo necessaria la consultazione delle organizzazioni sindacali prima di procedere alla riorganizzazione e ai trasferimenti, dalla sentenza emerge che, prima di qualsiasi effettivo incontro con i sindacati, la ricorrente ha deciso di dar luogo ad alcuni trasferimenti di singoli lavoratori, così cagionando una condotta contrastante con le norma del contratto collettivo di categoria, lo sciopero nei giorni 7 e 11 giugno 1991, che ha dato luogo a una situazione di carente pulizia dei servizi igienici in alcuni uffici della committente e alle proteste dei dipendenti di questa. In tale contesto, nessuna prova è stata data dalla impresa appaltatrice della illiceità dello sciopero e l’accenno in ricorso a picchettaggi, che peraltro non necessariamente sono illeciti, sono irrilevanti, avendo il giudice del merito accertato che gli operai inviati in sostituzione degli scioperanti si astennero dall’eseguire le pulizie di cui all’appalto, non perché costretti da violenze dei loro colleghi scioperanti, ma solo per solidarietà con questi, qualificando per tale verso il picchettaggio dedotto come di mera “persuasione” e quindi lecito.

È, quindi, correttamente e logicamente motivata la sentenza impugnata in ordine alla mancata prova della esimente di responsabilità dell’inadempimento della ricorrente nel caso, non risultando superata la presunzione di colpa che segue nei rapporti obbligatori alla mancata esecuzione della prestazione. Detta colpa risulta, poi, confermata dalle circostanze rilevate in sede di appello, dalla prevedibilità dello sciopero emergente dallo stesso lasso di tempo, di soli cinque giorni, tra l’inizio dell’esecuzione dell’appalto e la dichiarazione dello stato di agitazione dei dipendenti dell’impresa (sulla prevedibilità dello sciopero, elemento di prova della colpa dell’imprenditore, cfr. la citata Cass., 29 novembre 1988, n. 836). Deve, quindi, confermarsi la sentenza di merito nella parte in cui nega vi sia stata la prova di uno sciopero illegittimo, che abbia costituito causa di forza maggiore dell’inadempimento dell’appaltatrice, dovendo l’astensione dal lavoro attribuirsi pure alla condotta della s.r.l. La Candida che ha sospeso il provvedimento che aveva deciso i trasferimenti solo dopo la diffida ad adempiere della Banca e dopo avere dato luogo, con le sue condotte, ad una interruzione dei servizi, considerata inadempimento dal giudice di merito con motivazione logica e immune da vizi giuridici.

Quanto sopra rilevato comporta anche il rigetto del secondo motivo di ricorso, in quanto l’accertamento della misura e dell’entità dell’inadempimento compete al giudice del merito che, nel caso, ha ritenuto irrilevante a tal fine il numero dei giorni di sciopero, deducendo invece la gravità della sospensione del lavoro dalle conseguenze di essa sullo stato dei servizi igienici degradato dalla mancanza di pulizie al punto da avere determinato le proteste dei dipendenti della Banca.

L’importanza e la rilevanza dell’inadempimento devono valutarsi dalla Corte di merito ed è ovvio che un appalto di pulizia serviva a garantire l’uso dei servizi igienici nei locali di lavoro e di accesso al pubblico della committente Banca, il quale ha rilievo essenziale in ordine alla determinazione della gravità della sospensione del servizio.

Sono invece irrilevanti per valutare detta gravità il limitato numero di giorni di sciopero e il fatto che esso ha avuto luogo solo in due dei dodici edifici cui si riferiva il contratto, comunque aperti al pubblico. Il giudice del merito ha esattamente avuto riguardo ai soli effetti della mancanza del servizio appaltato sull’attività bancaria della committente, alla quale sono giunte proteste e contestazioni dal suo stesso personale, per cui deve ritenersi logica e sufficiente la motivazione sulla gravità dell’inadempimento da parte della Corte territoriale.

Dal rigetto dei primi due motivi di ricorso si rileva anche l’infondatezza delle censure in ordine alle insufficienze motivazionali sulla prova dell’esimente dell’inadempimento della ricorrente e della importanza dello stesso ai fini della risoluzione, dovendosi confermare la rilevata negligenza della s.r.l. La Candida nell’assunzione dell’appalto senza tenere conto dei rischi che ciò avrebbe comportato, essendo insito alla conclusione dei contratti del tipo di quello concluso tra le parti l’assunzione dei rischi conseguenti all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’accordo. Non rileva che non vi fosse un obbligo della società di assumere i dipendenti delle imprese di pulizia che in precedenza avevano avuto in appalto il medesimo servizio poi assunto dalla s.r.l. La Candida se, come riconosce nel ricorso, essa, subito dopo l’inizio dell’esecuzione del contratto (febbraio 1991) si era resa conto dell’esigenza di riorganizzare il servizio con il trasferimento ad altre unità produttive di una parte del personale, previe intese con i sindacati, che comunque non si conclusero. Tali iniziative avevano ovviamente provocato l’allarme dei dipendenti, entrati in stato di agitazione; è in tale contesto che, dopo la disdetta di un incontro da una delle organizzazioni sindacali, l’impresa aveva unilateralmente deciso di provvedere ai trasferimenti di singoli lavoratori.

Dalla sentenza impugnata risulta che la indizione di due giorni di sciopero, il 7 e l’11 giugno 1991, dopo la deliberazione dei trasferimenti non concordata, è stata giustificata dalla condotta negligente dell’impresa. Pertanto, esattamente si è rilevato nella sentenza impugnata che la Banca d’Italia ben poteva ritenere inadempiente la s.r.l. La Candida e procedere alla diffida ad adempiere.

Consegue a quanto ora affermato il rigetto del terzo motivo di ricorso, anche per le carenze motivazionali in esso denunciate.

Dallo stesso ricorso risulta negata l’esistenza di una transazione della controversia con la Banca d’Italia, dopo la diffida ad adempiere e prima della scadenza del termine entro il quale, in base a detta intimazione, doveva essere ripreso il servizio.

La Corte d’appello di Roma ha rilevato la mancanza di una prova scritta dell’accordo transattivo che, secondo la ricorrente, sarebbe stato surrogato nel caso dal verbale di riunione tra le parti del contratto, da cui risultava che l’impresa si era impegnata a sospendere la delibera dei trasferimenti intracomunali causa dell’agitazione con superamento conseguente di ogni controversia. Peraltro, la stessa affermazione della ricorrente che una delle organizzazioni sindacali aveva negato che la mera sospensione dei minacciati trasferimenti fosse sufficiente ad impedire la prosecuzione dello sciopero, comprova che nessun accordo che garantisse il servizio di pulizia era stato raggiunto e, quindi, che poteva essere ancora ritenuta efficace e operativa la diffida ad adempiere già pervenuta alla società appaltatrice.

Sul punto, la sentenza impugnata esattamente chiarisce che “l’unico dato rilevante è costituito dalla sospensione del servizio pulizia tale da pregiudicare gravemente l’interesse alla prestazione da parte della committente” (p. 6 sentenza impugnata) e, quindi, il quarto motivo di ricorso è per ogni profilo infondato.

Il quinto motivo di ricorso è infondato per la parte nella quale denuncia l’omessa pronuncia e la motivazione sul rigetto della domanda risarcitoria della ricorrente. In relazione alle altre prospettazioni, relativamente alla misura di quanto era dovuto all’impresa a causa della risoluzione sul presupposto della illiceità di questa, l’accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso comporta l’assorbimento del quinto, perché la riconosciuta esistenza di un inadempimento importante rende legittima l’intimazione ad adempiere e la risoluzione di diritto che retroattivamente fa venir meno il rapporto.

L’eventuale riferimento a prestazioni eseguite prima della risoluzione, per le quali non si sarebbe corrisposto quanto dovuto, costituisce questione di fatto da valutare nel merito e non ammissibile in sede di legittimità.

1 Infine, è infondato anche il sesto motivo di ricorso, avendo la Corte d’appello chiarito che la Banca d’Italia nel caso ha usato l’ordinaria diligenza per limitare le conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento della società, senza indire una nuova gara d’appalto, che avrebbe potuto comportare oneri maggiori per esse e utilizzando l’offerta più vantaggiosa dopo quella della ricorrente. La misura del tempo della maggior spesa da addebitare a titolo di perdita subita dalla creditrice all’impresa inadempiente risulta limitata ad alcuni mesi e ciò costituisce valutazione nel merito delle perdite subite dalla Banca d’Italia, sulla quale nessuna decisiva carenza motivazionale risulta rilevata in sede di impugnativa, con la conseguenza che anche l’ultimo motivo di ricorso è da respingere.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese di questa fase devono porsi a carico della società ricorrente, liquidandosi nella misura di cui in dispositivo.

[Omissis].

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