Cass. Civ., sez. II,19 aprile 2006, n. 9033
[Omissis].
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 1º marzo 1991, la E. s.n.c. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano la I. s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 19.283.813 oltre accessori, quale saldo del corrispettivo per la esecuzione delle facciate in mattoni para-mano del fabbricato in costruzione in Cologno Monzese, in località […], in forza di un contratto di appalto del 3 agosto 1989.
Con atto notificato il 9 marzo 1991 la B.B. conveniva a sua volta in giudizio la E. s.n.c. per sentirla dichiarare inadempiente a detto contratto, e condannare al risarcimento dei danni, per vizi e difetti dell’opera, alla somma di lire 38.500.000, e, per il ritardo nella consegna, alla somma di lire 25.500.000.
Riuniti i giudizi, all’esito dell’istruzione, il Tribunale di Milano, con sentenza in data 17. dicembre 1997. Riuniti i ricorsi, espletata c.t.u. preceduta da accertamento tecnico preventivo.
Con sentenza 14 maggio 1998, il Tribunale di Milano condannava, operata compensazione con il riconosciuto controcredito della E. s.n.c., quest’ultima al risarcimento dei danni a favore della committente B.B., liquidati in lire 19.216.187 oltre rivalutazione monetaria ed interessi compensativi.
Avverso tale decisione proponeva gravame la E. s.n.c. chiedendo la condanna della I. s.p.a. al pagamento del saldo già richiesto in primo grado e compensato, nonché il rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata da detta impresa. L’appellata società, costituitasi in giudizio, contestava il gravame chiedendone il rigetto.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza in data 31 gennaio 2001 confermava la decisione di primo grado modificando solo la quantificazione degli interessi dovuti dall’appellante che venivano ridotti nella misura legale per il tempo successivo alla sentenza impugnata.
Avverso tale decisione la E. s.n.c. proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La I. s.p.a. resisteva con controricorso illustrato con successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente — denunciando in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1668 c.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione falsa applicazione dell’art. 1667 ss. c.c. nonché degli artt. 1218, 1223, 2729 e 2697 c.c. — si duole che la Corte territoriale abbia accolto la domanda di risarcimento danni avanzata dall’attuale resistente, violando in tal modo il dettato dell’art. 112 c.p.c. e creando una grave commistione tra le tipologie di azioni, previste a tutela del committente dall’art. 1668 c.c., con la conseguenza che la resistente che doveva agire per l’eliminazione dei vizi dell’opera avrebbe ottenuto la condanna della ricorrente al risarcimento dei danni quantificati sulla base degli importi necessari per la eliminazione dei vizi. Precisa, inoltre, la ricorrente che controparte non avrebbe subito alcun danno avendo provveduto ugualmente a vendere gli immobili e che la condanna al risarcimento del danno, emessa in assenza di prove del pregiudizio subito dalla B.B., avrebbe comportato un indebito vantaggio per detta impresa.
La censura, sviluppata sulla base di più profili, è infondata e non merita accoglimento.
Sotto il primo dei dedotti profili devesi, infatti, tener presente che, come ripetutamente evidenziato da questa Corte la tutela apprestata al committente dall’art. 1668 c.c. si inquadra nell’ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l’appaltatore non provveda direttamente alla eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, il committente può sempre chiedere il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell’azione di condanna all’esecuzione specifica, (cfr. Cass., 2 agosto 2002, n. 11602, e, in tal senso, Cass., 18 aprile 2002, n. 5632). Corollario di quanto sopra è che nella decisione impugnata non è dato ravvisare né la violazione dell’art. 112 c.p.c. né quella degli artt. 1218 e 1223 c.c. in quanto i Giudici del merito hanno rispettato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato alla luce dell’istruttoria che ha fornito la prova del danno subito dal committente. Ugualmente non merita accoglimento l’altro profilo del motivo con il quale la ricorrente si duole della valutazione delle risultanze istruttorie in relazione all’accertamento e alla quantificazione del danno. Nella specie, invero, non solo la società ricorrente non sviluppa argomentazioni in diritto sulla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. ma neppure specifica il contenuto di dette risultanze violando in tal modo il principio di autosufficienza del ricorso, nel contrapporre alle valutazioni del complesso delle acquisizioni probatorie effettuate nella sentenza impugnata, prospettazioni della parte su singole risultanze istruttorie che, in quanto tali, sono rimesse al prudente apprezzamento del Giudice di merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità se esaurientemente e logicamente motivato, come, appunto, nella specie.
Con il secondo motivo la società ricorrente — denunziando violazione e falsa applicazione dell’art.115 c.p.c. omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. — si duole che la Corte territoriale ha respinto la richiesta di ammissione dei capitoli di prova indicati nell’atto di appello.
Il motivo non merita accoglimento ed è frutto della commistione tra le tipologie di azioni previste a tutela del committente dall’art.1668 c.c., argomento già trattato nell’esame del primo motivo che basta qui richiamare, senza poi dimenticare che qualsiasi decisione in ordine all’ammissione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice del merito, e non è soggetta al sindacato di legittimità, purché logicamente motivata come nel caso di specie in cui la Corte territoriale, accertata l’esistenza dei vizi, li ha correttamente quantificati senza in alcun modo ledere la c.d. garanzia del diritto alla prova delle parti, di cui all’art. 115 c.p.c.
Per quanto sin qui rilevato nessuno degli esaminati motivi merita accoglimento ed il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese che liquida nella complessiva somma di euro 1.100,00 di cui euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed oneri accessori.
[Omissis].